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‘Luna nera’ ha ucciso le streghe a colpi di femminismo

La serie fantasy italiana 'made in Netflix' sembra una soap priva di epica. Che, per l'ansia di gridare il suo messaggio di empowerment, rischia di fare autogol

Spiacenti, ma Luna nera è tutto fuorché quello che avrebbe dovuto essere. E dire che ci saremmo accontentati anche di poco: uno Streghe all’amatriciana, una brutta copia di The Secret Circle. Non chiedevamo certo Game of Thrones. Invece quello che doveva essere il primo grande fantasy italiano di Netflix, zeppo di streghe, intrighi e incantesimi, si è rivelato un incrocio tra Fantaghirò, per spessore narrativo, e Un posto al sole, per l’effetto soap opera. Per carità, Fantaghirò non era niente male. Nel 1991. Trent’anni dopo, scanditi da draghi, sorelle Halliwell e rivisitazioni indemoniate di Sabrina, ci si aspettava francamente qualcosa di più, sia in termini visivi che di tenuta narrativa.

Partiamo dal primo aspetto. Perché funzioni, è importante dare alla storia fantasy un universo esteticamente credibile all’interno del quale muovere i personaggi. Per essere più prosaicamente espliciti: la casa delle streghe deve sembrare una casa delle streghe e non il miglior teatro di posa di Cinecittà. I combattimenti devono emozionare lo spettatore, non strappare sorrisi imbarazzati. Ma, soprattutto, al cattivone di turno, in teoria un mago terribile e potentissimo, non si può affibbiare una pettinatura a scodella da figlio illegittimo di Marco Marzocca (il celebre filippino di Zelig). Vero è che noi italiani non vantiamo una lunga tradizione nel fantasy: i difetti sopra citati potrebbero essere considerati peccati veniali. Con il tempo, e con più budget, si faranno probabilmente scenografie più credibili e delle vere sequenze action. Sulla storia, però, non ci sono scusanti: scomodate pure gli inquisitori, ma qui siamo ben oltre il peccato veniale.

La protagonista della serie è una ragazza del Seicento, con il nome più inquietante del mondo: Ade (la Antonia Fotaras di Skam Italia e Il nome della rosa). Indovinate? Esatto, la nostra percepisce l’arrivo della morte. Non l’avreste mai detto, vero, da una che si chiama Ade? Ma tant’è. La fanciulla fa la levatrice insieme alla nonna ottantenne: la ragazza ha talento da vendere, ma decisamente poco tatto. Durante il parto della regina, tra una doglia e un grido disperato, Ade pensa bene di dire a sua maestà che il figlio, per il quale sta passando le pene dell’inferno, morirà appena vedrà la luce. La regina si arrabbia come una biscia, si convince di avere davanti una strega malvagia (come darle torto?), ma non fa in tempo a dirlo perché sviene addormentata: un sonno che dura suppergiù per i 45 minuti della prima puntata. Durante i quali la nonna fa credere di essere lei, la strega. Siamo nel Seicento, il che vuol dire una sola cosa: il rogo. Gli abitanti non riescono però ad abbrustolirla: grazie all’intervento silenzioso di tre donne, inizia magicamente a piovere. La vecchia muore comunque, per via delle inalazioni del fumo, ma almeno il suo corpo non è bruciato. No, non è un particolare trascurabile, come si capirà in seguito. Nel frattempo, la prima puntata è quasi finita e la regina si sveglia. «La strega è la ragazza», informa. Scatta subito la caccia ad Ade, braccata dai Benandanti, il cui motto è: «Il coraggio ci governi, la fede ci arda». Sono cattolici, hanno delle maschere orribili e non si capisce come la mostruosa armatura li aiuti a cogliere il nemico di sorpresa: si fanno notare nell’arco di chilometri. Ade comunque non si fa acchiappare: fugge, insieme al fratellino Valente, nel bosco. La nonna, prima di consegnarsi alle guardie, aveva raccomandato alla nipote di andare nel folto della foresta, dove avrebbe ricevuto aiuto, e di proteggere sia il fratellino che il Libro del Regno. Nel bosco, Ade fa la conoscenza di quattro donne, di cui tre sono streghe: Tebe, Persepolis, Leptis, Janara. Da qui in poi, la trama inizia a prendere una piega incasinata.

Tanto per cominciare, non si capisce quale sia la missione delle streghe, visto che cambia almeno tre volte nelll’arco delle sei puntate. All’inizio le protagoniste sostengono che, in qualità di maghe, devono difendere la «barriera che divide i morti dai vivi». Se questa cade arrivano i non meglio precisati Furiosi. La cosa suona inquietante, per cui siamo solidali e tifiamo per loro. Poi, però, arriva un nuovo aggiornamento: il vero scopo esistenziale di una strega è «creare un mondo nuovo, col volto di donna». Bene, ne prendiamo nota. Dopodiché salta fuori che no, la vera priorità è un’altra: trovare l’Eletta, «l’unica che ci salverà tutti». Pare sia Ade ma, sul finale, arriva il (telefonatissimo) colpo di scena. D’altronde, che cosa ci si poteva aspettare da un ragazzino che, fin dalla prima inquadratura, disegna ossessivamente lune nere?


E il Libro del Regno? È importantissimo e vitale, guai se finisce nelle mani sbagliate: eppure se lo perdono a ogni pie’ sospinto. Ai protagonisti cade di mano nei modi più fantozziani, mentre le sceneggiatrici sembrano dimenticarselo per strada. Alla fine delle sei puntate, infatti, l’utilità del manoscritto magico è pari a zero: con o senza, gli eventi sarebbero andati più o meno nello stesso modo. Come se non bastasse, Ade è pronta a mettere in discussione tutta la faccenda (il libro, l’incolumità del fratello, le 3.450 missioni delle streghe…) per un tizio che conosce da 30 secondi e che dopo 40 le chiede di sposarla. Avanti, non scherziamo.

La vera falla narrativa però è un’altra: la storia manca di epicità. Le atmosfere fiabesche di Luna nera vengono cannibalizzate (anziché valorizzate) dal reiterato, e semplicistico, messaggio femminista, dispensato attraverso dialoghi da Baci Perugina per sole donne. Si va da «L’antica sapienza è custodita dalle donne» all’evergreen «Conosci te stessa: abbiamo tutti una forza, dobbiamo solo scoprirla e non averne paura», passando per riflessioni cosmiche: «Sai quanto è difficile essere una donna, vivere in questo mondo, volere di più e per questo venire uccisa?». Amen. Non che sia sbagliato, per carità. È semplicemente troppo: troppo esplicito, troppo insistito, quasi fosse una marchetta del girl power. E dire che, per fare le cose per bene, ci si era premurati di mettere in piedi una squadra rigorosamente al femminile: Luna nera si ispira all’omonimo romanzo della scrittrice Tiziana Triana, è stata sceneggiata da Francesca Manieri, Laura Paolucci e Vanessa Picciarelli e diretta da un trittico di registe capitanato da Francesca Comencini (le altre due sono Susanna Nicchiarelli e Paola Randi). Il gineceo creativo pare aver però trasformato la fiaba in una storia a tesi, volta a dimostrare la superiorità delle donne. Inavvertitamente, hanno ucciso le streghe a colpi di femminismo. Che peccato.

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