‘L’amica geniale’: bilancio di una serie che ha cambiato la tv italiana (e ha raccontato tutti noi) | Rolling Stone Italia
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‘L’amica geniale’: bilancio di una serie che ha cambiato la tv italiana (e ha raccontato tutti noi)

Il pubblico generalista si è sintonizzato su Rai 1 ogni lunedì a guardare una produzione HBO che non ci ha chiesto di parteggiare per nessuno. Non è solo la storia di Lila e Lenù: è un'amicizia che ci riguarda tutti

‘L’amica geniale’: bilancio di una serie che ha cambiato la tv italiana (e ha raccontato tutti noi)

Margherita Mazzucco E Gaia Girace nell'ultimo episodio di 'Storia del nuovo cognome'

Avete presente gli Archie Comics, i fumetti cui si ispira la serie Riverdale? In Italia sono meno noti, ma negli Stati Uniti sono famosi come i Peanuts, al punto che i nomi dei suoi due personaggi femminili principali, Betty e Veronica, servono immediatamente a identificare un preciso tipo di donna. Betty è bionda, fa la cheerleader, è la brava ragazza della porta accanto, un sogno a stelle e strisce anni ’50 di innocente perfezione. Veronica è bruna, sensuale, ha il fascino “esotico” di chi viene dalla grande città, è ricca, incostante, un po’ viziata e snob. In mezzo c’è il protagonista, Archie (lui i capelli ce li ha rossi): le due amiche nei fumetti se lo contendono continuamente, e lui è trascinato, di volta in volta, verso la rassicurante perfezione dell’America’s sweetheart e l’avventuroso fascino della femme fatale.

Ecco, Lenù e Lila non sono Betty e Veronica. Certo, la prima è bionda, la seconda è mora. La prima è timida, accomodante, poco loquace, più brava di quanto sembri a capire quello che gli altri vogliono da lei, e ad aderire al modello sociale che chi le sta attorno, di volta in volta, le richiede. La seconda è irruente, irascibile, consapevole della propria sensualità e di come usarla, testarda, impavida, decisa a piegare il mondo alla propria volontà, spesso incapace di tacere anche quando le converrebbe. Ma: il centro dell’Amica geniale non è un uomo (di qualsivoglia colore di capelli) che le due devono contendersi. No, nemmeno l’infido Nino Sarratore (grazie al cielo). Il centro dell’Amica geniale è qualcosa di più sfuggente, complesso, ambizioso, imprendibile, al punto che in pochi in tv – e in Italia, prima d’ora, nessuno – aveva avuto l’ambizione di provare a farne narrazione: la relazione tra due donne, quello che lega Lila e Lenù. La loro amicizia.



La seconda stagione dell’Amica geniale, conclusasi ieri sera, ha superato perfino la (già notevole) prima. Come le sue protagoniste, è maturata e ha acquisito confidenza col linguaggio e col pubblico. Il regista Saverio Costanzo ha avuto modo di lasciar filtrare, tra le riprese “piane” da fiction in costume, il proprio stile quasi psycho-horror (già dimostrato nei film La solitudine dei numeri primi e Hungry Hearts), per rappresentare la disperata claustrofobia in cui è intrappolata Lila (il profilo di Stefano dietro il vetro smerigliato o l’allungarsi distorto dei corridoi di casa Carracci non ce li dimenticheremo facilmente). I due episodi centrali, diretti dall’Alice Rohrwacher di Lazzaro felice e Le meraviglie, sono stati una parentesi d’inaspettata libertà, con il loro racconto dei fulgidi colori dell’estate e dell’adolescenza e uno snodo cruciale nella vita delle due protagoniste di efficace e struggente delicatezza. L’espediente che fin dall’inizio è stato il più contestato, la voce narrante di Alba Rohrwacher, è diventato un po’ meno invadente, è rimasto solo in quei momenti in cui le parole di Elena Ferrante erano necessarie a sciogliere i nodi più complessi della visione. Per il resto, conoscendo noi ormai così bene Lila, Lenù, il rione, essendo scivolati di nuovo con tale facilità tra la cadenza del dialetto e le bellissime note musicali di Max Richter, abbiamo sempre meno bisogno di didascalie. E il pubblico ha risposto, mantenendo alti gli ascolti, ben oltre i 6 milioni di telespettatori a serata, e questa è una vittoria che attendevamo come l’aria: che il pubblico generalista si sedesse ogni lunedì a guardare su Rai 1 una serie HBO, una serie con i sottotitoli, una serie il cui punto di vista è esclusivamente femminile e che ripercorre la storia d’Italia, il dopoguerra e, in questa stagione, gli anni ’60 del Boom, attraverso gli occhi di chi, quasi sempre, è stato in seconda fila, difficilmente protagonista, al massimo oggetto di desiderio.

Anche sui social network L’amica geniale è stata seguitissima. A partire da quei famosi episodi di Ischia, in tanti hanno sentito l’esigenza di schierarsi: #TeamLila o #TeamLenù? I giudizi sono diventati spesso accuse: cattiva Lila, che sfotte Lenù dopo la festa a casa della professoressa! Crudele Lila a “rubarle” il fidanzato! Sì, ma che tonta Lenù, perché non si dà una mossa, perché non fa qualcosa? Ah, ma come osa “concedersi” (tra molte virgolette) a quel viscido di Donato Sarratore? E leggere i quaderni che Lila le ha affidato facendosi promettere di non aprirli mai? Lila/Lenù non è davvero una buona amica!

Ma Lenù e Lila non sono Betty e Veronica: non sono “tipi” di donne opposti l’una all’altra, modelli alternativi a cui scegliere di aderire, o da preferire. Sono, prima di tutto, personaggi complessi, molto più spessi di uno stereotipo bidimensionale, così veri che ci sembra di poterli toccare, o incontrare per strada. Sono un cumulo di contraddizioni, come chiunque di noi, e ogni loro scelta, ogni loro errore, ha una storia, un senso che dipende dal loro passato e dal contesto in cui vivono. È una questione di carattere – questo, sì, opposto e complementare, fin da quando si conoscono, bambine, a scuola – e poi di ambiente, esperienze, conflitti, opportunità: se c’è qualcosa che sta in mezzo, tra Lila e Lenù, non è un ragazzo, non è Nino Sarratore, ma l’accesso alla conoscenza, allo studio, all’esercizio intellettuale, e dunque alla formazione e all’esplorazione di se stesse. Lila ne ha bisogno come dell’acqua un’assetata, fin da quella volta in cui suo padre la gettò dalla finestra proibendole di continuare la scuola. Chiede a Lenù di studiare da lei, la invidia per l’accesso a un mondo intellettuale in cui lei non entrerà mai, la stessa infatuazione per Nino è determinata dal fatto che lui è la rappresentazione di (e, lei spera, un portale per) quell’universo inaccessibile.

Lenù, invece, più acuta e sensibile di quanto lei stessa creda, è divorata dalla consapevolezza – come dice anche nell’ultimo episodio – di essere sempre “quasi”: di non farcela mai del tutto, di essere sempre indietro di un pezzettino, mai completamente all’altezza del contesto, mai pienamente abbandonata ai sentimenti propri e altrui. Ma qui, come spettatori, noi abbiamo un vantaggio. Perché quello che ci raccontano Ferrante e Costanzo non è solo l’evolversi delle biografie delle due protagoniste, ma tutto quello che sta loro attorno: il classismo dei borghesi nei confronti della “plebe” del rione, il malcelato disprezzo per i meridionali che incontra Elena una volta a Pisa, il sessismo costante dei professori, l’ombra della povertà che alimenta come un mostro scuro la sua cronica insicurezza. E, per Lila, la violenza domestica quotidiana, lo stupro coniugale considerato norma, gli sguardi degli altri che si abbassano silenziosi davanti ai lividi e alle botte, i pettegolezzi che le danno della strega e un’unica strada possibile concessa a una donna, cioè il matrimonio e la maternità. Tutto questo informa ogni scelta e ogni errore di Lenù e Lila: è una gabbia che la prima prova a scavare con la lenta pazienza dell’acqua, mentre la seconda a bruciare, bruciandosi, con la temeraria incandescenza del fuoco.



E poi, più di tutto, L’amica geniale è la storia della loro amicizia. Pensateci, l’amicizia in tv e al cinema non è qualcosa che vediamo così spesso: in genere è una presenza, data per scontata, qualcosa che c’è e basta, oppure di punto in bianco non c’è più. Ma un’amicizia come quella tra Lila e Lenù è qualcosa di vivo, multiforme e, ancora una volta, complesso. È uno specchio in cui si riflettono l’un l’altra, è allo stesso tempo competizione e reciproca stima e desiderio di protezione, è il vero motivo per cui Lenù si laurea con 110 e lode e Lila continua a cercarsi nei libri invece di cedere al conformismo. Sta tutto nel titolo: Lila e Lenù sono l’amica geniale l’una dell’altra (Lenù riconosce Lila come tale fin da piccola; Lila dice a Lenù: «Tu sei la mia amica geniale, devi diventare più brava di tutti, maschi e femmine»), e in quel corrersi incontro sorridenti nel prefinale dell’ultimo episodio di questa seconda stagione, in quel riconoscersi e ritrovarsi, c’è tutto il senso di questa smisurata storia. E c’è il nostro fare il tifo, non per l’una o per l’altra, ma per loro.