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‘La ruota del tempo’ gira, sì, ma non ingrana

La serie osa l'impossibile: raccoglie confronti sbagliati in partenza (con 'Game of Thrones' o 'Il Signore degli anelli') e prova a trasporre in tv un universo letterario a dir poco sterminato. Senza mai convincere fino in fondo

Foto: Amazon Prime Video


«La ruota trama come la ruota brama». Sì, però mica ingrana. Non che fosse facile, per carità. La ruota del tempo è infatti una di quelle serie-evento che, in realtà, dovrebbero essere chiamate serie-kamikaze, perché osano l’impossibile: si auto-suicidano raccogliendo confronti sbagliati in partenza («È il nuovo Game of Thrones», «No, è il nuovo Signore degli anelli», «A me ricorda The Witcher»), provando a trasporre in tv un universo letterario a dir poco sterminato. Chi ha letto anche solo le prime dieci pagine della celebre saga di Robert Jordan lo sa bene. La ruota del tempo non è complessa “solo” perché si snoda in 15 tomi da 700 e rotte pagine l’uno (editi in Italia da Fanucci), ma soprattutto perché lo scrittore tesse un universo fantasy da provetto filosofo mancato. Per dire: alla puntata cinque, che su Amazon è andata in onda il 3 dicembre, tu, spettatore, non hai ancora capito un fico secco del ruolo di questa benedetta ruota. I protagonisti la citano con grande approssimazione, a occhio sembra che c’entrino la predestinazione e la ciclicità del tempo, ma sembra un concetto talmente da Bacio Perugina che alla fine non ci badi.

Peccato che la faccenda sia ben più complessa di così: la percezione del tempo e del destino è “il” tema affrontato da Jordan e viene sviscerato fin da subito nel libro, peraltro in un modo che tu, lettore, non puoi ignorare. Citiamo testualmente: a pagina 20, o giù di lì, apprendiamo che «la ruota del tempo gira e le epoche si susseguono, lasciando ricordi che divengono leggenda; la leggenda sbiadisce nel mito, ma anche il mito è ormai dimenticato quando ritorna l’epoca che lo vide nascere». E ancora: «Il vento non era l’inizio. Non c’è inizio né fine, al girare della ruota del tempo. Ma fu comunque un inizio». Ora, capite bene che pensare di trasporre tutte queste suggestioni visionarie in un linguaggio a misura di telespettatore medio, che fa zapping sul divano mangiando popcorn, era di per sé un’impresa titanica, a maggior ragione se l’indicazione produttiva era: «Mi raccomando, dovete sfornare il nuovo Game of Thrones, o un fantasy che ci assomigli molto». Non poteva che venire fuori un prodotto insipido, alla “vorrei ma non posso”. E infatti…

Il punto non è solo, o tanto, il confronto con il libro originale. In fondo, per restare nel paragone con il precedente di George R.R. Martin, molti si sono appassionati a Game of Thrones su HBO senza avere mai letto il libro, e questa era di fatto l’ambizione anche di Amazon. Il problema è che, anche presa singolarmente, La ruota del tempo affascina ma non conquista mai fino in fondo. Tanto per cominciare, la serie ci impiega un po’ a decidere la propria identità: le prime due puntate sembrano sposare in pieno il genere del coming of age, con questi quattro (poi cinque) pischelli scelti dalla grande e potente Moiraine (Rosamund Pike). Per farla breve: uno di loro è il Drago Rinato, ossia colui/colei che deciderà le sorti dell’umanità. Moiraine ne è certa e c’è da crederle, visto che la nostra è una Aes Sedai, vale a dire una di quelle donne che possono controllare l’Unico Potere che regge il mondo. Praticamente è una strega.

Tuttavia, per una serie di eventi che non staremo qui a riassumere, nel giro di tre puntate la nostra se li perde tutti e quattro per strada. Grandioso. Questo però permette alla serie di imboccare un’altra via: niente più teen drama (e meno male) ma molto più fantasy. Prendono per esempio spazio le figure dei Custodi, ossia questi uomini (uno più bello dell’altro, a cominciare dall’attore Daniel Henney) legati visceralmente alle Aes Sedai. Ognuna di loro ne ha uno: una sorta per l’appunto di custode, abilissimo in battaglia, che prova tutto quello che sente la sua Aes Sedai. Spuntano poi anche i Manti Bianchi, che vanno a caccia di Aes Sedai e hanno per capo un pazzo invasato che mangia animali ancora vivi, e gli zingari Calderai che praticano la non violenza come manco Gandhi, per poi arrivare a vedere il Professore della Casa di carta, Álvaro Morte, in versione folle e super dark (nei panni del potentissimo Logain).

Álvaro Morte è Logain. Foto: Amazon Prime Video

Insomma, più si va avanti e più l’universo si sfaccetta ma non nella direzione giusta perché, anziché appassionarti sempre di più alle vicende dei quattro protagonisti, ti dimentichi di loro e pensi: «Oh, ora sì che inizia la vera storia!». Vorresti sapere di più degli altri, e non di quei quattro giovincelli, ma questo non accade perché, appunto, i protagonisti non sono gli altri. Il che, ne converrete, non è esattamente il massimo… Tra l’altro questo gigantesco bigino della saga di Jordan è pieno zeppo di errori. Per dire, ora i nemici ti sono alle costole ogni due per tre, di notte e di giorno, sulle montagne come in pianura e poi, di colpo, spariscono per episodi interi. Addirittura, in una scena, quando i quattro protagonisti si nascondono in un castello maledetto, i mostri non solo non li inseguono ma nemmeno li aspettano fuori. Quando i nostri escono non c’è infatti nessuno ad attenderli con le armi spianate. Eppure la leggenda di quel maniero parlava chiaro: quei quattro non sarebbero mai resistiti a lungo là dentro…

Il vero peccato originale della serie è però un altro ed è ben più grosso. Passi infatti la semplificazione della saga di Jordan, le sviste così come il mischione di generi e la narrazione a direzioni impazzite, ma un fantasy deve avere degli ottimi effetti speciali: è il minimo sindacale. Tra l’altro siamo nel 2021, mica negli anni ’70: gli strumenti ci sono tutti e il budget di certo non manca. Dunque? Dunque niente. I produttori devono essersi giocati i soldi in scommesse clandestine perché gli effetti speciali sono da discount. Ogni volta che una delle Aes Sedai evoca l’Unico Potere, non puoi fare a meno di pensare che quella scia luminosa che si agita attorno a lei è stata aggiunta in modo maldestro dal responsabile della post produzione. Per non parlare dei castelli: cartapesta allo stato puro, come quelli che incrociate negli asili nido. Tutto appare fintissimo e questo non lo si può perdonare a una serie fantasy.

Foto: Amazon Prime Video

Peccato, perché le potenzialità per fare meglio c’erano tutte. Lo stesso cast non è affatto male: Rosamund Pike è assolutamente in parte, anche se sgrana gli occhi un po’ troppo, così come il resto del cast più giovane, assolutamente credibile (per inciso, Madeleine Madden sembra la versione australiana della nostra Serena Rossi). Così, più che una serie evento, La ruota del tempo si deve accontentare di essere una storia senza infamia e senza lode, che magari crea anche un po’ di dipendenza, e il cui messaggio portante trasuda femminismo. I personaggi femminili la fanno infatti da padroni. Bene, per carità, se non fosse che ci sarebbe stato anche moltissimo altro da raccontare.

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