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‘La regina del flow’: amore, sete di vendetta e reggaeton

Storia di un successo internazionale passato in sordina: la serie (telenovela, pardon) si è piazzata nelle prime posizioni per visualizzazioni su Netflix in più di venti Paesi, ma quasi nessuno ne parla

Foto: Netflix


Prendete una sedicenne a cavallo tra la fine degli anni ’90 e i primissimi 2000 in uno dei quartieri più malfamati di Medellín, fatela innamorare del nipote di uno dei più influenti boss della malavita colombiana e aggiungeteci pure un talento innegabile per la musica. Evitando di fare spoiler, sappiate che le cose si complicano (ovviamente!) prima di subito e, senza che ve ne accorgiate, siete già arrivati al dodicesimo episodio della prima stagione della Regina del flow. Specialmente se non siete cresciuti a pane e telenovelas vi renderete conto di quanto una storia raccontata in questo modo (con colpi di scena assurdi e momenti di rivelazioni incredibili) possa creare dipendenza, facendovi chiedere dalla tv e da Netflix se siete ancora lì a guardare.

Se nel 2019 La reina del flow, così in originale, prodotta dalla colombiana Caracol Television e Sony Pictures Television, si è conquistata un Emmy come miglior telenovela ci sarà un motivo. O meglio, di motivi ce ne sono tanti: l’intreccio si snoda tra volontà di farsi giustizia, passioni travolgenti e relazioni di parentela più tossiche che mai, come nella tradizione di qualsiasi telenovela che si rispetti, con il ritmo del reggaeton che pervade e dà la direzione alla storia, tra morti che ritornano e vivi che non sono chi pensano di essere.

Insomma, un classico del genere, tra amore e sete di vendetta. E fin qui nessuna sorpresa, ma i conti non tornano quando si prendono in considerazione i dati delle visualizzazioni della serie e quanto poco (o niente) se ne stia parlando. Tanto per farvi capire la portata del successo della serie, quando è uscita la seconda stagione a novembre 2021, La regina del flow si è piazzata al secondo posto della classifica delle serie non in lingua inglese più viste al mondo, superando anche Squid Game, con più di 38.640.000 ore di visualizzazioni, dopo solo dieci giorni dall’uscita.

La serie si è piazzata al terzo posto delle più viste in Francia, negli Stati Uniti e anche in Italia; in Spagna e nella maggioranza dei Paesi dove lo spagnolo è la lingua nazionale è schizzata direttamente alla prima posizione, eppure la stampa non ne ha parlato quasi per nulla. Il suo successo si basa sul passaparola (sia in real life che sui vari social) e in patria ancora adesso, a tre mesi dall’uscita della seconda stagione, gli influencer continuano a condividere stories in cui mostrano a che puntata sono arrivati della storia di Yeimy Montoya, Juancho, El Pez Koi e Charly Flow, parlando spagnolo con un improbabile accento colombiano – come quando qualcuno con un forte accento di Bassano del Grappa o di Roma, per esempio, prova a imitare Gennaro Savastano di Gomorra o Lila dell’Amica geniale, per farvi capire l’effetto che fanno, chiamando tutti “princesas y parceros”, equivalente di “guaglioni e guaglioncielle”.

Ma per quale motivo questo successo incredibile non viene sbandierato ai quattro venti, come successo nel caso della Casa di carta, Narcos o, appunto, Squid Game? Forse perché, trattandosi di una vera e propria telenovela, si guarda ma non si dice? Bisognerebbe parlarne solo per tutti gli errori commessi nelle varie puntate (come ci hanno insegnato le splendide parodie delle telenovelas sudamericane del trio Lopez, Marchesini e Solenghi) o anche solamente per sottolineare il fatto che le canzoni della colonna sonora, con milioni di riproduzioni su Spotify e YouTube, non sono cantate dagli attori che interpretano i personaggi, ma da cantanti che restano nell’ombra…

Oppure non se ne parla perché il reggaeton che la fa da padrone non è sufficientemente cool, o perché essendo prodotto da una televisione colombiana non si tratta di un prodotto abbastanza in? La stessa Netflix è rimasta sorpresa dall’impatto sul pubblico dell’uscita della seconda stagione, che non è stata neanche pubblicizzata. Non è una serie “rapida”: si tratta comunque di una soap opera composta da due stagioni di più di 80 puntate ciascuna, con episodi di 45 minuti l’uno, che punta a conquistare anche la generazione abituata allo streaming che non ha passato i suoi pomeriggi davanti alla televisione per vedere una puntata al giorno della propria soap opera preferita, mettendosi a registrare su VHS le puntate che per un motivo o per un altro avrebbe perso.

La serie strizza chiaramente l’occhio al pubblico fan del genere reggaeton non solo coinvolgendo artisti come Sebastián Yatra, Karol G, Paty Cantú, Joey Montana o Manuel Turizo (che canta la sigla della serie), che vestono i loro panni nella finzione scenica, ma anche con le ispirazioni artistiche che hanno dato vita ai personaggi principali. L’attrice che interpreta Yeimy, Carolina Ramírez, ha dichiarato in un’intervista a El Espectador di essersi ispirata a Jennifer Lopez e a Ivy Queen, artista portoricana, con una “spolverata” di Karol G per dare vita al suo personaggio. L’attore Carlos Torres (volto noto agli appassionati di serie tv sudamericane), ha rivelato di aver preso spunto da artisti come J Balvin, Maluma, Piso 21 e Reykon per il suo Charly Flow.

Che siate già abituati al genere o che sia la prima vera e propria telenovela che vedrete, la sfida sarà smettere di canticchiare le canzoni della colonna sonora che accompagnano costantemente le storie dei personaggi. In quanto telenovela può creare dipendenza; ma, in quanto telenovela incentrata sull’industria colombiana del reggaeton, se iniziate ad ascoltare le canzoni della colonna sonora e non siete già fan del tipo di musica, può creare problemi all’algoritmo di Spotify quando si tratterà di consigliarvi canzoni in futuro.

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