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Jeremy Renner, l’eterno secondo che è diventato primo

Una carriera in salita, nonostante le tante nomination e i ruoli in film cult: su tutti, ‘The Hurt Locker’ di Kathryn Bigelow. Fino a un’annata, questa, in cui dimostra finalmente quello che è. Da protagonista assoluto. Vedi ‘Hawkeye’ e la sorpresa ‘Mayor of Kingstown’

Foto: Paramount+

Bisognerebbe aprire una parentesi – spoiler, l’apriremo – sull’avanzata degli Avengers non-supereroi, personaggi “normali”, o comunque non dotati di superpoteri, che stanno conquistando ruoli di primo piano all’interno del Marvel Cinematic Universe. Teniamo lì per un attimo questa considerazione, e torniamo a noi, ossia a Jeremy Renner, o se preferite Occhio di Falco.

Californiano, classe 1971, origini irlandesi e tedesche, dopo aver studiato criminologia al college il buon Jeremy decide di mollare baracca e burattini e di iscriversi alla scuola di recitazione dell’American Conservatory Theatre. Il sogno è quello di tanti, diventare attore: all’inizio macina spot pubblicitari, particine in vari film per la televisione e serie tv; per arrotondare lavora pure come truccatore finché nel 2002 non arriva la classica grande occasione. Per lui si chiama Dahmer – Il cannibale di Milwaukee, film diretto da David Jacobson in cui interpreta il serial killer statunitense Jeffrey Dahmer, uno con una faccetta tanto carina che tra i suoi hobby annoverava necrofilia, squartamento e, appunto, cannibalismo.

Renner si fa notare, riceve una candidatura agli Independent Spirit Awards, e da lì fioccano altri titoli: è in S.W.A.T. – Squadra speciale anticrimine, accanto a Colin Farrell e Samuel L. Jackson; in Ingannevole è il cuore più di ogni cosa di Asia Argento; in 28 settimane dopo, sequel di 28 giorni dopo di Danny Boyle; in L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, con Brad Pitt e Casey Affleck.

Jeremy Renner in ‘The Hurt Locker’ di Kathryn Bigelow (2008). Foto: Warner Bros.

Tutti ruoli di secondo piano, finché nel 2008 non arriva quella giustona di Kathryn Bigelow, che lo vuole come protagonista in The Hurt Locker, per il quale vince un National Board of Review Awards 2009 per la miglior rivelazione maschile e ottiene la sua prima candidatura all’Oscar come miglior attore (nota a margine: Bigelow nel 2010 si porterà a casa due statuette – miglior film e miglior regia – lasciando a bocca asciutta l’ex marito James Cameron, che con il suo Avatar doveva essere l’asso pigliatutto di quell’edizione). Due anni dopo il copione si ripete con The Town di Ben Affleck: Renner ottiene la sua prima candidatura ai Golden Globe come miglior attore non protagonista, insieme alla seconda consecutiva agli Oscar; l’Hollywood Reporter scrive di lui come di «uno dei giovani attori pronti a conquistare le vette di Hollywood». Jeremy è uno della serie «squadra che vince non si cambia», ossia che – a differenza di altri A-lister – ha una cifra ben precisa e non sembra volersi prendere troppi rischi per uscire dalla propria comfort zone. Avete in mente un personaggio tormentato, magari un po’ musone, perennemente in sbattimento e con scarso senso dell’umorismo? Fantastico, citofonate Renner e male che vada vi beccate una candidatura.

Nel 2012, dopo Mission: Impossible – Protocollo fantasma di Brad Bird e The Bourne Legacy di Tony Gilroy, fa una breve apparizione in Thor di Kenneth Branagh come Clint Barton/Occhio di Falco, il tormentato (aridaje) arciere redentosi da un passato criminoso con un arsenale di frecce per qualsiasi necessità. Clint Barton assume via via sempre più importanza nei successivi film del Marvel Cinematic Universe – The Avengers (2012), Avengers: Age of Ultron (2015), Captain America: Civil War (2016) e Avengers: Endgame (2019) – nonostante la perplessità che serpeggia tra noi avengeriani: per salvare la Terra abbiamo davvero bisogno di un tizio con arco e frecce? Leggi: contro Ultron, Thanos e compagnia cantante, cosa può fare un agente dello S.H.I.E.L.D. dotato sì di una mira infallibile, ma anche di un’arma tra le più lente e meno efficaci mai concepite? Mistero della fede.

Jeremy Renner comunque non è destinato a una vita da comprimario a recuperar pallon… ehm, ruoli non principali: dopo American Hustle – L’apparenza inganna di David O. Russel (con l’allegra combriccola composta da Christian Bale, Bradley Cooper, Jennifer Lawrence e Amy Adams), nel 2016 torna al cinema con Arrival, stavolta protagonista a fianco di Amy Adams e diretto da Denis Villeneuve: il drammone sci-fi, presentato in concorso a Venezia, mette d’accordo critica e pubblico, e viene candidato come miglior film agli Oscar dell’anno successivo. Dopo la candidatura come miglior attore ai Satellite Awards per la parte di Cory Lambert, esperto cacciatore di animali predatori in I segreti di Wind River di Taylor Sheridan, la strada è spianata.

Jeremy Renner in ‘Hawkeye’. Foto: Mary Cybulski/Marvel Studios

Nel 2021 mette a segno due colpacci: prima con Mayor of Kingstown («Not to be confused with Mare of Easttown», avverte Wikipedia), serie di Paramount+ co-creata da Taylor Sheridan a metà tra crime, dramma e thriller, con uno dei più alti quantitativi di «Fuck» mai registrati nella storia televisiva. Infine, con la miniserie Hawkeye (il 21 dicembre su Disney+ va in onda il finale di stagione), dove torna a vestire i panni di Clint Barton/Occhio di Falco: dieci mesi dopo gli eventi di Avengers: Endgame, il nostro si mette a lavorare insieme alla giovane Kate Bishop (Hailee Steinfeld) per affrontare i nemici del suo passato, nonché un’agguerritissima Yelena Belova (Florence Pugh, forse la cosa migliore della serie) assetata di vendetta. L’arciere delle meraviglie prende finalmente il controllo della narrativa e si ritrova al centro di sei episodi interamente a lui dedicati: certo, quella macchina da soldi che sono diventati i Marvel Studios vogliono spremere tutti gli Avenger finora relegati a ruoli di secondo piano, ma sotto sotto credo ci sia dell’altro – e qui mi riallaccio alla premessa iniziale.

Clint Barton/Occhio di Falco, The Falcon, Natasha Romanoff, la stessa Yelena Belova sono personaggi “normali”, incapaci di alterare la realtà come Wanda Maximoff o di ingannare il multiverso alla Loki, con le sue innumerevoli varianti temporali. Tutti loro, probabilmente, rispondono al bisogno dello spettatore moderno, per il quale l’oggetto di visione (sia esso i Ferragnez, sia esso un Avenger) deve in qualche modo assomigliargli, essere (potenzialmente) come lui e non più di lui. In tal senso, il Jeremy Renner di Hawkeye è perfetto: bastonato dalla vita, disilluso, padre assente, e persino mezzo sordo (che così ci giochiamo anche la carta della disabilità, che poker!).

C’è da domandarsi se e quanto possano comunque essere considerati dei supereroi: senza i superpoteri e le supercazzole spazio-temporali, gli Avenger non diventano dei semplici protagonisti di semplici film d’azione? Personalmente nutro dei dubbi, ma bando alle ciance, d’altronde siamo qui per Clint Barton, che senza mai cambiare espressione è riuscito a compiere la profezia dell’Hollywood Reporter: bravo Jeremy Renner, non ti sei bruciato presto, né te ne sei andato facendo posto, goditi la piazza centrale del podio e regalacelo un sorriso, ogni tanto.

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