Rolling Stone Italia

‘Il problema dei 3 corpi’ è una grande occasione mancata

I creatori di 'Game of Thrones' David Benioff e D.B. Weiss tornano ad adattare una fonte letteraria altrettanto impegnativa: 'Remembrance of Earth's Past' di Cixin Liu. Ma non riescono a decifrarne davvero il codice

Foto: Ed Miller/Netflix

Per anni i fan della saga fantasy Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin hanno creduto che i libri non potessero essere adattati per lo schermo. C’erano troppi personaggi, sparsi in più continenti e in storie che avrebbero impiegato anni per intersecarsi. E gran parte della trama è stata ispirata da eventi accaduti decenni, se non secoli, prima dell’azione contemporanea. Era un compito impossibile, pensavano tutti. Nessuno ci sarebbe riuscito.

Poi sono arrivati David Benioff e D.B. Weiss. Game of Thrones (targato HBO) è stato un successo globale, realizzato su scala così epica che era inimmaginabile la Tv potesse raggiungere. Benioff e Weiss hanno dovuto snellire la narrazione tentacolare di Martin qua e là, ma tendenzialmente sono stati in grado di soddisfare sia i lettori che i profani – fino, almeno, alle ultime problematiche due stagioni e al disastroso finale della serie, che alcuni hanno attribuito al burnout creativo e altri al fatto che gli showrunner non avessero più i libri di Martin a cui fare riferimento (*).

(*) Propendo per la tesi del burnout, in parte perché Martin ha raccontato ai suoi colleghi gran parte di ciò che aveva pianificato nei due romanzi conclusivi ancora incompiuti. Anche se alcune parti della storia non possono essere giustificate in alcun modo – “Chi ha una storia migliore di Bran lo Spezzato?” –, gran parte dei problemi del finale derivavano dalla compressione di vari archi narrativi e personaggi in pochissimi episodi. Di più: Benioff e Weiss hanno dichiarato che avrebbero preferito non realizzare affatto quelle stagioni, ma racchiudere tutto in una trilogia di film, il che avrebbe dato loro ancora meno tempo per concludere a dovere.

Non avremmo quindi potuto fare una colpa a Benioff e Weiss se avessero voluto affrontare una sfida meno complicata con la loro nuova serie. E invece – questa volta in collaborazione con Alexander Woo – hanno cercato ancora di adattare qualcosa di inadattabile con Il problema dei 3 corpi (su Netflix), un’epopea di fantascienza ramificatissima – basata sulla trilogia Remembrance of Earth’s Past dell’autore cinese Cixin Liu – sull’umanità che si prepara all’arrivo di una forza extraterrestre ostile. Ho letto solo il primo romanzo, Il problema dei tre corpi appunto, ed è roba hard-core perfino nel genere della fantascienza più hard-core: pesante nella teoria, tortuoso nella trama, quasi inesistente nella caratterizzazione. Gran parte si svolge all’interno di un gioco di realtà virtuale in cui i player visitano diverse epoche della Storia umana nel tentativo di risolvere un problema di astrofisica. Il libro rimbalza avanti e indietro tra il presente e le conseguenze della Rivoluzione Culturale cinese; Wang Miao, il protagonista della sezione moderna del romanzo, si qualifica a malapena come avente due dimensioni. I libri fanno scalpore in tutto il mondo, ma nessuno li legge per i personaggi, quando i personaggi sono quasi sempre ciò che appassiona il pubblico alle serie. Nonostante tutti gli attacchi di draghi e le orde di zombie di ghiaccio, a qualcuno sarebbe importato di Game of Thrones se non avesse adorato Arya Stark, Tyrion Lannister e tante altre figure vividissime che Benioff e Weiss hanno ricevuto in dono da George R.R. Martin?

La cosa più positiva che posso dire del Problema dei 3 corpi è che è un adattamento molto, molto intelligente. Benioff, Weiss e Woo (tra gli sceneggiatori di True Blood e creatore della seconda stagione dell’antologia horror The Terror) hanno fatto tutto il possibile per fondere le grandi idee dei libri con personaggi che hanno personalità e vite interiori ben definite, anziché lasciare che esistessero soltanto per essere funzionali alla trama. Ma anche con queste varie deviazioni intelligenti dal materiale originale, la prima stagione della serie è nella migliore delle ipotesi un dramma abbastanza mediocre. E sebbene lo spettacolo interplanetario sia pensato per essere grandioso, ben poco si avvicina a replicare lo stupore che abbiamo provato anche per qualcosa di relativamente semplice come Cersei che fa esplodere tutti i suoi nemici nel Grande Tempio di Baelor.

Laddove il libro è una storia incredibilmente cinese, la serie si divide tra Cina e Inghilterra (*). Inizia sempre con la Rivoluzione Culturale e una scena d’apertura, tratta direttamente dal libro, che non potrebbe ricordare di più la morte di Ned Stark: la giovane astrofisica Ye Wenjie (Zine Tseng) è inorridita nel vedere suo padre, un professore, che viene ucciso su un palco di fronte a una folla assetata di sangue. Mentre osserviamo la vita di Wenjie all’indomani di questa tragedia – e il suo esilio nella natura selvaggia per aver sposato i princìpi della scienza occidentale – vediamo anche come gli effetti a catena del suo lavoro si manifestino nella Londra del XXI secolo.

(*) Sebbene molti degli attori provengano dalla Cina o abbiano origini cinesi, il cambiamento nell’orientamento geografico sarà estremo per chiunque abbia letto i libri. A un certo punto, a uno dei personaggi cino-britannici viene chiesto di un vecchio detto di Sun Tzu; quello alza le spalle e dice: “Non lo so. Sono di Manchester”.

Gli showrunner hanno sostanzialmente diviso Wang Miao in più personaggi, tutti parte di un gruppo di amici che si sono incontrati da studenti a Oxford. Saul (Jovan Adepo) è un genio dal rendimento scarso, che lavora ancora come assistente di ricerca perché preferisce sballarsi e dormire in giro anziché approfittare di un intelletto da cui persino i suoi brillanti amici sembrano intimiditi. Auggie (Eiza González) è un prodigio dell’ingegneria sull’orlo di un enorme passo avanti nella tecnologia delle nanofibre. Jin (Jess Hong) è un fisico curioso, Jack (John Bradley, Samwell Tarly in Game of Thrones) ha fatto fortuna usando il suo background scientifico per sviluppare un’azienda di snack e Will (Alex Sharp) si sente in imbarazzo all’idea di insegnare scienze ai liceali. Ci sono vari conflitti interpersonali – Will ha da tempo una cotta per Jin, mentre Saul e Auggie si sono frequentati ripetutamente nel corso degli anni – che creano altre complicazioni man mano che ognuno di loro apprende gradualmente dell’invasione aliena. All’inizio vengono sorvegliati in segreto dall’ex poliziotto Clarence (Benedict Wong) e dal misterioso faccendiere Wade (Liam Cunningham, un altro veterano – Davos Seaworth – di GoT). Ma col tempo, tutti loro vengono coinvolti nelle conseguenze delle azioni di Ye Wenjie, attraverso una cospirazione nel presente che include il solitario miliardario Mike Evans (Jonathan Pryce, tra le altre cose l’Alto Passero in Thrones e il principe Filippo del finale di The Crown) e l’enigmatica e pericolosa Tatiana (Marlo Kelly).

Eiza González, Jess Hong, Saamer Usmani, Jovan Adepo e Alex Sharp in ‘Il problema dei 3 corpi’. Foto: Ed Miller/Netflix

Nessuno di questi personaggi ha la profondità o la vivacità di quelli di Westeros, ma sembrano tutti persone reali e sono interpretati da un cast eccellente. Introdurre anche soltanto un po’ di umanità nella storia fa miracoli ovunque. C’è ancora una discreta quantità di tempo trascorso all’interno del gioco VR, ad esempio, ma quelle scene qui sono molto meno noiose, perché Jin è il player principale e Jess Hong rende palpabile il piacere che Jin prova nell’essere all’interno di questo bizzarro costrutto virtuale. (Inoltre Jack alla fine riesce a unirsi a lei, e John Bradley è un ottimo comic relief.) Clarence e Wade, nel frattempo, potrebbero esistere interamente per portare avanti la storia, soprattutto perché ognuno di loro possiede un livello di autorità che trascende le barriere di nazione o classe, ma Wong e Cunningham trovano il modo di essere percepiti come se ognuno di loro esistesse molto prima di questi ruoli.

Non importa quanto i creatori affinino i dettagli, perché non possono fare molto con l’astrazione al centro della storia. Gli alieni, ci viene ripetutamente detto, sono a circa 450 anni di distanza, a quel punto tutti coloro che attualmente si trovano sul pianeta Terra, e tutti i figli, nipoti o pronipoti che potrebbero avere saranno morti da tempo. (Be’, quasi tutti; questa è fantascienza, dopotutto, e ci sono modi in cui le persone possono restare in giro per molto tempo anche se dovrebbero trovarsi diversi metri sotto terra.) Vari personaggi si chiedono perché qualcuno dovrebbe preoccuparsi di qualcosa che non li influenzerà o non toccherà nessuno dei loro cari, mentre altri come Wade insistono nel dire che lo devono alle generazioni future, anche in un futuro così lontano. Potete leggerlo come una metafora del cambiamento climatico, soprattutto perché Ye Wenjie trova grande ispirazione in Primavera silenziosa, il libro rivoluzionario di Rachel Carson sul danno che l’umanità sta arrecando al mondo naturale. Ma come opera di finzione drammatica, Il problema dei 3 corpi non è mai abbastanza convincente sul motivo per cui il suo quintetto centrale dovrebbe starci dentro, e di conseguenza perché anche al pubblico dovrebbe fregare qualcosa.

Con i personaggi decenti ma non avvincenti e una trama principale asciutta, questa è quindi un po’ l’ultima cosa cui la serie può potenzialmente affidarsi. Ce ne sono alcuni, ma non abbastanza – e non sono tutti efficaci come dovrebbero essere. C’è una straordinaria sequenza d’azione a metà stagione in cui vediamo le nanofibre di Auggie impiegate in un uso per il quale non sono state progettate, e alcune altre immagini memorabili come uno stormo di uccelli che volano verso la morte dentro un radiotelescopio cinese. Ma molte delle scene più grandiose, come 30 milioni di soldati cinesi che si muovono all’unisono come parte del gioco VR, sono più emozionanti nella concezione che nella loro resa finale.

A un certo punto, uno dei membri della cospirazione è sorpreso mentre si rende conto che gli alieni non capiscono il concetto di menzogna. Tenta di collegarlo alla finzione, solo per rendersi conto che anche loro non capiscono la narrazione. Benioff, Weiss e Woo hanno una comprensione molto chiara di ciò che stanno narrando. Ma possono arrivare solo a un certo punto per rendere interessante questa particolare storia sul mezzo che preferiscono: il piccolo schermo.

Da Rolling Stone US

Iscriviti