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‘Il commissario Montalbano’ non può fare a meno di Zingaretti (e viceversa)

Salvo Montalbano è Luca Zingaretti, come Don Matteo è Terence Hill. Con il vantaggio che l'attore non deve certo reinventarsi, perché la serie non ha cambiato di un millimetro la propria grammatica. E per questo funziona ancora

Foto: Duccio Giordano

Che camurria. Proprio quando Rai 1 si stava ubriacando di ascolti, ancora ebbra degli after di Sanremo e del successo riscosso con L’amica geniale, arriva Luca Zingaretti a dire, di persona personalmente: «Spiacenti, ma forse abbandono Montalbano». I prossimi episodi della serie, previsti il 9 e il 16 marzo su Rai 1 (e per la prima volta in anteprima al cinema il 24, 25, 26 febbraio), potrebbero dunque essere gli ultimi interpretati dall’attore. Panico? In realtà mica tanto. A conti fatti, è davvero difficile che una cosa del genere possa accadere perché, molto prosaicamente, non conviene a nessuno. Soprattutto, non conviene a Zingaretti.

È chiaro che Il commissario Montalbano non può esistere senza il proprio storico interprete. Salvo Montalbano è Luca Zingaretti, come Don Matteo è Terence Hill: è il doppio filo che lega, bene o male, tutti gli attori di quelle fiction che portano nel titolo il nome del protagonista. Persi loro, addio serie dalle uova d’oro. Sarebbe infatti impensabile introdurre un altro volto al posto di Zingaretti. La Rai non avrebbe dunque alcuna convenienza in un re-casting, da nessun punto di vista, a maggior ragione adesso che la serie ha già perso due dei suoi padri fondatori, ossia lo scrittore Andrea Camilleri e il regista Alberto Sironi. I primi di febbraio, peraltro, è morto anche lo scenografo Luciano Ricceri. L’uscita di Zingaretti sarebbe la mazzata finale. Anzi, la pietra tombale. Il rischio di snaturare il prodotto sarebbe infatti altissimo.

Allo stesso tempo, però, nemmeno a Zingaretti conviene lasciare Vigata, le ammazzatine e le arancine al ragù. Perché, diciamocelo, l’attore continuerebbe ad avere la stessa gigantesca notorietà senza calarsi, a cadenza annuale, nei panni di Salvo? Temiamo di no. Montalbano non si è infatti limitato a lanciare Zingaretti: lo tiene ancora artisticamente in vita. Intendiamoci: l’attore ha talento da vendere ed è pure un sex symbol (il che aiuta). Però altrove non è riuscito a distinguersi come, per l’appunto, in questa fiction. A dirlo è lo stesso curriculum vitae dell’attore. Sobbalzate forse dalla sedia se vi citiamo il film Il vegetale, che ha interpretato con Fabio Rovazzi. O Asterix & Obelix al servizio di Sua Maestà, la commedia Tuttapposto oppure Perez? Ecco, appunto. Queste sue interpretazioni non hanno lasciato traccia. Invece ogni volta che Zingaretti mette piede in Sicilia gli basta acciuffare un paio di criminali per diventare una superstar, inchiodando al divano mezza Italia.

Il tutto, peraltro, con un modesto dispendio di energie da parte di Zingaretti, che non deve certo reinventarsi di volta in volta. Anzi. Semmai è vero il contrario. Nell’arco degli anni, Il commissario Montalbano ha mantenuto inalterati i propri stilemi narrativi. In mezzo a una produzione seriale sempre più adrenalinica, sincopata, criptica, con rimandi che vai-a-capire-cosa-diavolo-vogliano-dire, Montalbano non ha cambiato di un millimetro la propria grammatica: il ritmo narrativo è rilassato oggi come allora; la regia indugia sui paesaggi manco fosse Linea Verde e guai a correre dietro a un sospettato senza prima aver bevuto un caffè, preferibilmente con panna. Quello narrato è insomma un altro mondo seriale. Se nel 1999, come ricordato dalla direttrice di Rai Fiction Tinny Andreatta, Il commissario Montalbano aveva dettato un parametro qualitativo al quale il resto della produzione Rai era chiamata ad adeguarsi, in seguito la serie è rimasta ferma lì, mentre il mondo è andato avanti.

Foto: Duccio Giordano

Ma va bene così: il pubblico è fedele e vuole quell’universo narrativo, quella lentezza di racconto, quella rassicurante certezza che il giallo si snoderà con calma e chiarezza. Non esiste al mondo un telespettatore che si sia perso durante l’iter delle indagini: non appena arriva una svolta improvvisa, Salvo o uno dei suoi fedelissimi ricapitola prontamente quanto accaduto e i motivi per cui una cosa lo convince o lo insospettisce. Per non parlare dell’etica di Salvo: pur affondando nei mali del mondo, il commissario non si lascia corrompere vantando un’integrità morale di altri tempi. Non cede alla cannetta per dimenticare, non è scostante, non scende a patti con il crimine: insomma, non fa nulla di tutto quello che vediamo fare ai suoi colleghi commissari, poliziotti e detective nelle serie tv italiane e straniere. È una mosca bianca. Letteralmente. L’impressione è che Montalbano venga visto a prescindere: se c’è Zingaretti e se la storia è un adattamento di un libro di Camilleri, il pubblico ci sta. D’altronde perdersi Il commissario Montalbano in tv – a patto che abbia le caratteristiche di cui sopra – sarebbe come saltare Natale il 25 dicembre: non si può. Fa parte della cultura. È un pezzo d’Italia: magari antica, dal sapore vintage, ma comunque pur sempre un pezzo d’Italia, dai valori forse oggi perduti ma mai dimenticati.

Il che per un attore è grasso che cola: Zingaretti non deve fare altro se non chiudere gli occhi, entrare nei panni di Salvo e inserire il pilota automatico. In fondo, dopo tutti questi anni, conosce il personaggio come le proprie tasche. E qui arriviamo al punto. Solo un folle mollerebbe un personaggio il cui rapporto costi/benefici è così favorevole, a meno di non avere nel cassetto un piano B all’altezza. Forse anche per questo le reazioni alle dichiarazioni dell’attore non sono state accese. Quando, in conferenza stampa, Zingaretti ha spiegato di voler prendersi del tempo per capire se continuare o meno con Montalbano, sui volti dei dirigenti Rai è apparso solo un leggero pallore. Nulla che facesse pensare a un serio infarto aziendale. Lo stesso produttore della Palomar, che di fatto ha nel Commissario Montalbano il suo (unico?) vero successo, ha fatto spallucce dicendo: «Sono un situazionista, vedremo il da farsi una volta che Zingaretti prenderà la sua decisione». Ma come? E gli share stellari garantiti da Montalbano? Non è l’unico e il solo capace di sfondare persino in replica, con un paio di ammazzatine, il muro del 30% di share? Sì, lo è. Così come è anche l’unico a tenere in pugno Zingaretti. Lo sanno bene sia i vertici Rai sia la Palomar che, per l’appunto, sono ragionevolmente ottimisti sul futuro della serie.

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