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I 25 anni di ‘South Park’: auguri, brutti bastardi

Si festeggia su Comedy Central (complici Luca Ravenna ed Edoardo Ferrario) il quarto di secolo di una delle serie più cult di sempre. Ecco perché non ci sarà mai niente di simile

Foto: Comedy Central

Una stagione fa, una delle prime puntate: il papà di Butters mette in punizione uno dei leader politici mondiali. No, non Donald Trump, a cui fu dedicata praticamente interamente (e profeticamente) la ventesima stagione, ma Vladimir Putin, reo di voler compulsivamente invadere Paesi sovrani. South Park sapeva tutto prima. South Park sa sempre tutto prima. Negli anni in cui la fine della storia e della guerra fredda – già ci abbiamo creduto tutti, ma non loro che prima dell’invasione russa in Ucraina già scrivevano l’episodio che presto vedremo, Back to the Cold War – ci aveva inondato di politicamente corretto, Trey e Parker, i due geniali autori del cartone superbastardo, spogliavano le nostre ipocrisie.

Mentre il massimo dell’anticonformismo erano I Simpson (su pista dal 1987), loro dirigevano, montavano, producevano cortometraggi (che poi finiranno a pezzetti nelle sigle delle prime quattro stagioni) come Jesus vs. Frosty e Jesus vs. Santa, quest’ultima rivalità cardine di tutta la serie. E li proponevano a Fox. L’arrivo a Comedy Central, nel 1997, di Kenny, Cartman e soci fu inevitabile, fin dalle prime puntate si era capito che non avrebbe potuto essere un prodotto mainstream. E adesso su Comedy Central va in onda in esclusiva l’ultima stagione (ogni giovedì alle 23), accompagnata da due testimonial d’eccezione: i volti della nuova stand-up comedy italiana Luca Ravenna ed Edoardo Ferrario, che nel loro podcast di grande successo Cachemire – Un podcast morbidissimo hanno dato spazio anche alla serie, e che ora firmano la puntata speciale Cachemire Podcast – South Park Special (disponibile sul canale YouTube di Comedy Central).

Il successo di South Park fu immediato, i personaggi e l’animazione e caratterizzazione stilizzata diventarono subito iconici, le loro battute sporche e feroci, i loro attacchi ai luoghi comuni, a ogni tipo di istituzione e religione, la loro violenza – esorcizzata dall’esagerazione e proprio da quella tecnica raffinata ma volutamente infantile – li spedirono in seconda serata e con promo ghettizzati nella migliore delle ipotesi fino alle 19. Non parliamo del merchandising, tra i più ambiti della serialità televisiva, proibito per anni in scuole, consultori, centri di recupero giovanile. Hanno fatto incazzare tutti, ma come sempre i più permalosi sono stati quelli di Scientology. Nella decima stagione questo portò alla morte di Chef, personaggio fino a quel momento centrale, doppiato da Isaac Hayes. L’attore se ne volle andare per protesta contro la satira religiosa che riteneva eccessiva. Loro prontamente ne ammazzarono l’avatar e di fronte alle proteste sue e dell’immancabile Tom Cruise, Trey e Matt risposero seraficamente: “Isaac ha fatto bei soldi con noi finché c’era da irridere ebrei, cristiani e musulmani” (e non furono più delicati con la Cina quando li censurò, irridendo nel contempo la più accomodante NBA).

Perché South Park non conosce alleati – guardate i dem, anche gli intoccabili, ridicolizzati, a volte uccisi, sempre sbugiardati – né qualcosa su cui non ha il coraggio di scherzare. Rappresenta perfettamente i suoi due autori, da sempre e per sempre fuori dai salotti buoni di Hollywood (nonostante un film del 1999 da quasi 100 milioni di dollari di incasso) e dei giganti televisivi. La loro adesione al progetto e ai personaggi è talmente totale che metà di loro sono doppiati proprio da Trey (soprattutto) e Matt.

Non si contano gli episodi di censura, denunce, proteste pubbliche. Talmente tanti che i due hanno aperto un sito in cui, gratis, potete (ri)vedere tutti gli episodi. Integralmente. In quasi tutti i paesi del mondo, infatti, South Park è stato rimontato e ricucito. Ma incredibilmente l’Italia è tra quelli che hanno proposto la serie nella sua sostanziale integrità. Già, proprio il nostro bacchettonissimo Paese supercattolico è stato tra i più liberali. Anche se la verità è più prosaica: siamo meno puritani e più paraculi, è vero, ma soprattutto da noi South Park è stato un grande successo, ma di nicchia. Andava spesso dopo mezzanotte, in giorni casuali (stessa sorte di West Wing) e fondamentalmente non è mai stato capito da quei geni che lo mettevano in palinsesto. Troppo raffinato, e poi nel frattempo eravamo intenti a difendere la sessualità dei nostri preadolescenti da Sailor Moon (si, è successo davvero).

Anche il mondo della musica ha i fan e gli haters di South Park. Ed Sheeran racconta che l’episodio sui pel di carota – Cartman in un’esercitazione oratoria in classe li paragona a vampiri, le vittime gli dipingono capelli e lentiggini e lui, invece di trarre una lezione dalla cosa, decide di affermare la supremazia dei rossi su tutte le altre etnie tricologiche proponendo pogrom per i no ginger – gli ha rovinato la vita. Prima lo prendevano in giro solo in Inghilterra, da quella puntata della nona stagione lo fecero in tutto il mondo. Tanti sono stati i musicisti presi in giro direttamente, disegnati nelle varie stagioni (ma non i Primus che ne hanno firmato la sigla): Kanye West, Puff Daddy, Bono, Alanis Morissette, Michael Jackson, Lorde (che l’ha presa così bene da imitare la sua imitazione, così come in una puntata fece persino… Game of Thrones!), Will Smith, Robert Smith (somigliante in modo inquietante allo Sean Penn di Sorrentino, ma immaginato prima), Elton John, Enrique Iglesias, Jennifer Lopez, Britney Spears, Missy Elliot, i Radiohead, Ozzy Osbourne. Alcuni più volte, e di volta in volta invecchiati. Loro, non i personaggi sempre uguali, perché nella continuity scopriamo a un certo punto che le continue morti di Kenny – che nella quarta stagione diventa egli stesso un cantante: i suoi decessi migliori sono quelli della prima – hanno corrotto il tessuto spazio temporale dell’universo di South Park. Spiegazione della fanbase mai smentita dagli autori.

Universo che vivrà ancora a lungo, forse per sempre, come Kenny. Non abbiamo fatto in tempo a far loro gli auguri per le nozze d’argento che l’anno scorso, poco dopo una puntata vaccini contro il Covid, imperdibile, è stato annunciato che si arriverà almeno a 30 stagioni. A cui aggiungere 14 film per le piattaforme, il primo dei quali è South Park: Post Covid, in cui Stan e Kyle sono adulti (perché Matt e Trey amano contraddire tutto e tutti, anche se stessi: nulla è sacro, neanche la loro creazione). Tutto questo per la modica cifra di 900 milioni di dollari. E senza neanche la scusa degli alti costi di produzione iniziali: il primo episodio dello show richiese infatti tre mesi e mezzo di lavoro per un costo complessivo di circa 300mila dollari. La lavorazione fu così lunga perché Parker e Stone, a causa del particolare tipo di animazione, dovettero letteralmente ritagliare a mano centinaia e centinaia di modelli di cartone diversi, con tanto di varianti di movimento ed espressione e sangue fatto coi pennarelli. Per gli episodi successivi si utilizzarono quindi i modelli creati per il pilota, riducendo di moltissimo sia il tempo che i costi di montaggio. Ora c’è un programma proprietario che fa tutto il lavoro.

Auguri South Park, e 100 di queste stagioni. Ci abbiamo provato a far capire cosa sei stato per l’immaginario collettivo politicamente (ricordate la puntata su Obama, girata al buio e senza certezza della vittoria di Barack?), socialmente, artisticamente, religiosamente, qualunquemente. Ma la verità è che come South Park non c’era, non c’è e non ci sarà nulla. Unico, inimitabile, irresistibile e insopportabile. Brutti bastardi.

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