Ryan Murphy ama prendere ciò che il pubblico crede di sapere e ribaltarlo completamente. Lo ha fatto con la storia di O.J. Simpson, spingendoci a chiederci se la procuratrice Marcia Clark fosse stata ingiustamente diffamata. Lo ha fatto con il caso Clinton-Lewinsky, raccontando la vicenda in modo da riconoscere sia l’interesse sessuale di Monica sia la responsabilità ultima di Bill. E solo l’anno scorso lo ha fatto con i fratelli Menendez, riesaminando la loro storia con tale forza e risonanza che i tribunali della California hanno effettivamente modificato la loro condanna, aprendo la possibilità della libertà condizionata.
Per questo è stato in qualche modo sorprendente scoprire che il nuovo capitolo della serie antologica Monster di Netflix – prodotta da Murphy e, in questo caso, scritta interamente dal suo storico collaboratore Ian Brennan – si sarebbe concentrato sul killer e profanatore di tombe Ed Gein. Sembrava ci fosse ben poco da reinterpretare sul “Macellaio di Plainfield”, com’era soprannominato: un assassino divenuto tristemente noto per essersi vestito con la pelle di cadaveri e per aver riempito la sua casa, nella cittadina di Plainfield, Wisconsin, di macabri oggetti realizzati con parti umane, tra la metà degli anni Quaranta e la metà dei Cinquanta. Dopotutto, è stato l’ispirazione dichiarata per pietre miliari dell’horror come Psycho e Il silenzio degli innocenti (e, come era già accaduto quando Murphy aveva scelto Evan Peters per interpretare il serial killer e cannibale Jeffrey Dahmer, la decisione di affidare il ruolo principale all’affascinante e convenzionalmente attraente Charlie Hunnam ha suscitato qualche perplessità).
Ovviamente, la Ryan Murphy Productions ha trovato il modo. E non solo: per il terzo capitolo di Monster, il team ha aggiunto un colpo di scena. Monster – La storia di Ed Gein non si limita a gettare luce sui crimini del suo protagonista, ma – intrecciando le storie che lo hanno ispirato con quelle che lui stesso ha ispirato – diventa uno specchio rivolto a chi consuma e si lascia affascinare dal genere true crime più macabro.
«L’intera serie punta la macchina da presa direttamente su di noi», ha dichiarato Brennan al sito ufficiale di Netflix, Tudum. «Conta davvero ciò che guardi, le immagini e le storie che scegli di consumare. Ti restano addosso, e hanno un impatto».
Tuttavia, per chi non conosce la storia può essere difficile orientarsi e capire quanto di ciò che viene raccontato su Gein sia romanzato, quanto esagerato e quanto invece incredibilmente vero. Ecco una panoramica per distinguere i fatti dalla finzione.
La madre di Gein era crudele e autoritaria
Il rapporto più importante nella vita di Ed Gein fu quello con sua madre, Augusta Gein (interpretata nella serie da Laurie Metcalf). Augusta era effettivamente una opprimente fanatica religiosa, e proibì ai suoi due figli di avere relazioni con le donne, che considerava peccatrici e dissolute. E anche se non ci sono prove che ripetesse la frase tanto quanto nella serie, pare che gli abbia davvero detto “Solo una madre potrebbe amarti”, come riportato nel libro fondamentale su Gein, Deviant: The Shocking True Story of the Original “Psycho” di Harold Schechter. Come mostrato in Monster, Augusta morì per un ictus dopo essersi infuriata con una donna del posto che riteneva vivesse nel peccato, e dopo la sua morte, nel 1945, Gein tentò (senza riuscirci) di riesumarne il corpo dal cimitero locale.
Gein non fu mai ufficialmente collegato alla morte di suo fratello
Il fratello maggiore di Gein, Henry (interpretato da Hudson Oz), appare brevemente nel primo episodio, solo per essere poi ucciso da Ed. Nella serie, dopo che Henry minaccia di andare a vivere con una donna due volte divorziata, Gein lo colpisce alla testa con un tronco, trascina il corpo sulla proprietà di famiglia e inscena un incendio per bruciarlo. In realtà, Ed sostenne che lui e Henry stavano cercando di spegnere un incendio quando Henry morì (anche se quest’ultimo aveva effettivamente accennato alla possibilità di trasferirsi per vivere con la sua compagna). La polizia escluse il coinvolgimento di terzi e stabilì che la causa ufficiale della morte fosse asfissia dovuta a insufficienza cardiaca. Dopo che i crimini di Ed vennero alla luce il sospetto rimase, ma lui non confessò mai di aver ucciso il fratello.
Adeline Watkins negò di aver mai avuto una relazione con Gein
La rappresentazione nella serie di una donna di nome Adeline Watkins (interpretata da Suzanna Son) come fidanzata di Gein è in gran parte frutto di invenzione. Esisteva davvero una donna con quel nome che viveva a Plainfield all’epoca dei crimini di Gein, ma la reale natura del loro rapporto è incerta. In un’intervista del novembre 1957 al Minneapolis Tribune, Watkins affermò di aver avuto una relazione ventennale con Gein e che lui le avesse chiesto di sposarlo durante il loro ultimo appuntamento, nel febbraio 1955, ma che lei lo avesse rifiutato. Lo descrisse anche come «buono, gentile e dolce». Tuttavia, pochi giorni dopo, contattò il direttore del giornale locale, il Plainfield Sun, negando di aver avuto una relazione con Gein e precisando che erano solo amici, aggiungendo di non averlo conosciuto bene fino al 1954.
La fattoria dei Gein era una casa degli orrori fatiscente
Oltre a concentrarsi sulla famiglia Gein, Monster offre anche uno sguardo all’interno della loro fattoria, sia prima che dopo i crimini di Ed. Sia nella realtà che nella serie, la casa era in rovina negli anni Quaranta e Cinquanta, poiché la famiglia non era riuscita a permettersi alcun lavoro di ristrutturazione dall’anno del trasferimento, nel 1914. Per esempio, non era dotata né di elettricità né di impianto idraulico interno. Monster ricostruisce con accuratezza anche l’interno della fattoria dopo le riesumazioni di Gein – nove corpi di donne – trasformata in un caos da accumulatore seriale, piena di resti umani in scatole e sacchi e di maschere fatte di volti umani appese alle pareti.
Gein era ossessionato da una nazista nota come la “Cagna di Buchenwald”
Secondo Schechter, Gein aveva effettivamente una fascinazione per Ilse Koch, accusata di alcune delle peggiori atrocità dell’Olocausto, tra cui l’uso della pelle umana per realizzare paralumi e rilegature di libri. «La sua immaginazione malata, nutrita dai racconti su Ilse Koch e i suoi manufatti di pelle umana, aveva spinto Gein a dedicarsi alla produzione di oggetti ugualmente ripugnanti», scrive Schechter. E sebbene non sia chiaro se esistesse davvero un fumetto illustrato sulle sue atrocità, come mostrato nella serie, è certo che nel dopoguerra circolassero riviste pulp che descrivevano nei minimi dettagli le accuse contro di lei, accompagnate da affermazioni secondo cui fosse una ninfomane che traeva piacere dalla tortura e dal dolore altrui.
Questa versione caricaturale di Koch è quella presentata in Monster, e in effetti è uno degli elementi che hanno convinto l’attrice tedesca Vicky Krieps – il cui nonno morì nell’Olocausto – ad accettare il ruolo nell’adattamento di Murphy. «Ciò che mi ha aiutata è stato sapere che si basa su un personaggio da fumetto, e quindi che la fantasia di Ed Gein su di lei passa attraverso quel filtro», ha raccontato a Variety. «Questo mi ha liberata, ed è il motivo per cui ho sentito di poterlo fare: stavo interpretando qualcuno di più grande della vita stessa».
Koch non fu mai condannata per aver mutilato i cadaveri delle persone uccise a Buchenwald; anche se furono trovati oggetti raccapriccianti, non esistevano prove del suo coinvolgimento diretto. Fu tuttavia condannata per crimini di guerra e contro l’umanità per il suo ruolo nel campo di concentramento. È improbabile che fosse presente quando gli americani entrarono per liberarlo – come mostrato in Monster – poiché suo marito, direttore del campo, era stato destituito nel 1941 per sospetti di corruzione e appropriazione indebita, ed era stato giustiziato dai tedeschi nel 1945 (Ilse invece morì davvero, come nella serie, suicidandosi nel 1967 nella sua cella nella Germania Ovest occupata dagli americani).
Negli ultimi anni, è emerso un movimento volto a riconsiderare il ruolo di Koch nella guerra. Il libro del 2023 Ilse Koch on Trial: Making the Bitch of Buchenwald sostiene che, sebbene fosse indubbiamente una criminale, la sua figura sessualizzata e mostruosa sia stata esagerata, trasformandola in un capro espiatorio per il popolo tedesco – un modo per attribuire le atrocità dell’Olocausto a un solo individuo.
Koch non era l’unica nazista di cui Gein leggeva. Secondo Schechter, era anche interessato a Irma Grese, nota come la “Iena di Auschwitz”. Gein leggeva inoltre voracemente di «cannibali e cacciatori di teste», scrive Schechter, osservando che era particolarmente affascinato dal processo di rimpicciolimento delle teste.
Gein profanò davvero tombe e collezionò “trofei” dai corpi
La rappresentazione del trattamento riservato da Gein ai corpi delle donne riesumate da un cimitero locale oscilla tra realtà e finzione. Gein confessò di aver profanato le tombe di nove donne, come viene mostrato nella serie. In modo inquietante, anche le scene che ritraggono i “trofei” da lui prelevati e collezionati da quei cadaveri affondano le radici nella verità. Per esempio, nella fattoria dei Gein la polizia trovò una scatola contenente nove vulve, un “abito da donna” (un gilet fatto con il busto femminile e pantaloni ricavati dalle gambe), diverse maschere di volti umani, quattro sedie rivestite di pelle umana e ciotole ottenute da metà di teschi.
Gein probabilmente non era un necrofilo
Non esistono prove che l’ossessione di Gein per i cadaveri di donne comprendesse una componente sessuale. Mentre in Monster viene mostrato nell’atto di compiere necrofilia con almeno un cadavere, nella realtà Gein negò quell’accusa, spiegando che l’odore dei corpi gli risultava ripugnante. Non vi sono inoltre prove che fosse un cannibale o che avesse distribuito carne umana ai vicini spacciandola per selvaggina, come mostrato nella serie. Come ha spiegato Chloë Manon, co-proprietaria e curatrice del Graveface Museum (una collezione di reperti legati al true crime a Savannah, Georgia), a Rolling Stone US, delle nove donne riesumate da Gein, la maggior parte era già stata imbalsamata, il che rende altamente improbabile che avesse mai consumato rapporti sessuali con quei corpi.
Solo due omicidi sono stati attribuiti con certezza a Gein
Anche se nella serie viene mostrato mentre commette numerosi omicidi, si sa con certezza che Gein uccise solo due persone: la barista Mary Hogan, sua amica, e Bernice Worden, proprietaria del negozio di ferramenta locale. Fu processato solo per l’omicidio di Hogan e, sebbene inizialmente dichiarato colpevole, un’udienza successiva stabilì che non era colpevole per infermità e fu condannato a trascorrere il resto della sua vita in un istituto per criminali affetti da disturbi mentali. Per quanto riguarda l’omicidio di Hogan, Gein confessò il crimine. Vale la pena notare che le due donne erano fisicamente molto simili – di mezza età e robuste – alla defunta madre di Gein (nella serie, questo aspetto non emerge chiaramente: Metcalf appare minuta accanto alla corporatura più imponente di Hunnam).
È possibile che Gein abbia ucciso suo fratello, ma tutti gli altri omicidi raccontati in Monster sono una pura invenzione, usata per drammatizzare il suo impatto sull’immaginario horror americano. Più volte, nel corso della serie, il “vero” Ed viene trasportato in scenari presi direttamente dai film che avrebbe ispirato: Psycho e Non aprite quella porta. Lo si vede assumere le loro sembianze, pugnalare Adeline a morte in stile Psycho (anche se quella scena, com’è noto, non mostrava alcuna violenza esplicita) e inseguire una coppia di cacciatori attraverso un campo brandendo una motosega.
Le autorità non hanno mai attribuito la scomparsa di Evelyn Hartley a Gein
Evelyn Hartley, interpretata nella serie da Addison Rae, era realmente una giovane donna scomparsa mentre faceva da babysitter in Wisconsin. Tuttavia, la sua sparizione avvenne a circa due ore di distanza da dove viveva Gein, e nel 1957 l’uomo fu completamente scagionato da ogni coinvolgimento. Il suo rapimento e la tortura di Hartley in Monster sono dunque una pura invenzione. Molti spettatori avranno pensato che fosse una licenza creativa anche il dettaglio del Gein “babysitter”, ma secondo Schechter, in effetti, accudiva davvero i bambini del vicinato, e pare che si dilettasse anche in qualche gioco di prestigio. Ma tutto ciò avvenne prima della morte della madre, e molto tempo prima che iniziasse a dissotterrare cadaveri.
Gein fu diagnosticato schizofrenico
In Monster, la diagnosi di schizofrenia serve a spiegare le sue azioni. Nella realtà, ricevette la stessa diagnosi nel dicembre 1957, subito dopo il suo arresto, avvenuto un mese prima. Fu la conclusione condivisa da un gruppo di sei medici che lo sottopose a una lunga serie di interrogatori e valutazioni psicologiche. Gli specialisti arrivarono a diagnosticare la schizofrenia poiché Gein continuava a sentire la voce della madre dopo la sua morte, vedeva volti tra le foglie, soffriva di deliri e non riusciva a distinguere il bene dal male. La commissione stabilì quindi che fosse “legalmente pazzo” e “non idoneo a sostenere un processo” (un decennio più tardi Gein sarebbe stato processato, e un giudice lo avrebbe dichiarato non colpevole per infermità mentale).
Gein era ossessionato da una donna transgender di nome Christine Jorgensen
Monster include anche la storia di Christine Jorgensen, donna transgender che aveva servito nell’esercito statunitense durante la Seconda guerra mondiale, si era recata in Danimarca nel 1950 per sottoporsi a trattamenti di affermazione di genere ed era diventata una celebrità al suo ritorno negli Stati Uniti. Nella serie, Adeline mostra a Gein un articolo di giornale su Jorgensen, e lui rimane immediatamente affascinato dalla sua vita e dalla sua transizione.
Più avanti nella serie, Gein ha un’allucinazione in cui conversa con Christine Jorgensen, e i due discutono di identità sessuale. Gein afferma di credere di essere “transessuale” – il termine allora usato per ciò che oggi definiremmo transgender – e Jorgensen gli spiega che in realtà è ginefilico, parola che descrive qualcuno che, a prescindere dal proprio genere, prova un’attrazione così intensa per il corpo femminile da desiderare di “essere dentro di esso”. Non sappiamo se questa sia mai stata una diagnosi realmente attribuita a Gein, ma gli autori della serie volevano fortemente includere questo elemento per prendere le distanze dal dibattito contemporaneo sulla comunità trans.
«Era molto importante per noi tracciare quella distinzione, dire: “Guardate, si tratta di due cose completamente diverse”», ha raccontato Brennan a Tudum. «Ed è stato bello poterlo mettere in bocca a Christine Jorgensen».
Secondo il libro di Schechter, Gein era effettivamente a conoscenza della storia di Jorgensen e ne era affascinato, grazie alla grande copertura mediatica della sua transizione. «Fin da bambino, aveva spesso fantasticato di diventare una ragazza e immaginava come sarebbe stato avere organi sessuali femminili al posto del pene», scrive Schechter.
Gein non ebbe mai rapporti con altri famosi assassini
Negli episodi finali – in modo ingegnoso, ma anche potenzialmente fuorviante – la serie si intreccia con un’altra grande produzione true crime di Netflix: Mindhunter. La serie, andata in onda dal 2017 al 2019, raccontava i primi anni dell’Unità di Scienze Comportamentali dell’FBI, in cui due agenti – nella finzione, Holden Ford e Bill Tench – giravano il Paese intervistando celebri assassini come Ed Kemper e Richard Speck, per costruire un profilo psicologico del serial killer.
Ford e Tench erano ispirati agli agenti reali Robert Ressler e John Douglas, e in Monster i due vengono mostrati mentre intervistano alcuni degli stessi criminali. Quando parlano con Jerry Brudos, alias il “Lust Killer” (interpretato in entrambe le serie dall’attore Happy Anderson), questi ammette di essere stato ispirato da Gein. Subito dopo compare Richard Speck (Tobias Jelinek), noto per aver ucciso otto studentesse infermiere in una casa nei sobborghi di Chicago alla fine degli anni Sessanta (forse lo ricordate dalla prima stagione di American Horror Story). Lo vediamo mentre compie atti sessuali in cambio di droga in prigione, raccontando al suo cliente di aver sempre ammirato Gein. Addirittura lo si vede scrivergli lettere da fan.
In realtà, non esiste alcuna prova che il vero Speck abbia mai avuto una corrispondenza con Gein, né che lo ammirasse. «Non sono come nessun altro», disse a un giornalista nel 1978. «Sono un mostro».
In Monster, gli agenti Ressler e Douglas interrogano Gein, che li aiuta a catturare un serial killer ancora a piede libero: Ted Bundy (interpretato da John T. O’Brien). Nella realtà, Bundy fu arrestato per un normale controllo stradale, e sebbene Douglas abbia effettivamente incontrato Gein, l’esperienza non si rivelò particolarmente utile. «Ho avuto l’opportunità di incontrarlo brevemente, ma Gein era così psicotico che non fu una vera intervista», raccontò nel 2017. «Non come quelle che ho fatto in seguito con altri serial killer. Era surreale: lavorava nel laboratorio di pelletteria della prigione, al Mendota State Mental Institution». Questo passaggio narrativo sembra quindi essere un modo per gli autori di Monster di ribaltare la dinamica de Il silenzio degli innocenti, dove Hannibal Lecter aiuta l’FBI a catturare un altro assassino, Buffalo Bill – ispirato, ironicamente, proprio a Ed Gein.
Alla fine, come gran parte dell’opera di Ryan Murphy, Monster si rivela un’indagine sull’intreccio americano tra crimine, ossessione e fama. Con una presa piuttosto libera sulla verità.








