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È stata l’America a creare le Kardashian o sono state le Kardashian a creare l’America?

Il 14 ottobre del 2007 andava in onda la prima puntata di ‘Keeping Up with the Kardashians’, il reality show sulle sorelle più famose del mondo che ha cambiato la tv. E che ha anticipato tutto: anche le nostre vite

Foto: Dimitrios Kambouris/Getty Images for The Business of Fashion

La domanda è marzulliana, lo so. E, già che ci sono, dirò pure che propendo di più per la seconda ipotesi, ché le Kardashian – l’hanno detto in tanti prima di me, purtroppo, ma facciamo come se – sono l’equivalente americano della Royal Family. (Tecnicamente sarebbero “i Kardashian”, d’accordo, ma almeno per stavolta vince l’articolo femminile.) Oggi, tredici anni fa, andava in onda la puntata numero uno di Keeping Up with the Kardashians – o KUWTK, per chi va di fretta –, il reality che ha reso obsoleti tutti i reality fino a diventarlo a sua volta, e che infatti giustamente si fermerà con la ventesima e ultima stagione, in onda nel 2021.

In oltre un decennio, di botox, protesi e acido ialuronico dentro seni, sederi, labbra e zigomi ne sono stati iniettati parecchi. Dal sex tape di Kim guarda caso trapelato poco prima del lancio del reality – forse una manovra pubblicitaria, ma anche un utile promemoria per noi ragazze: in vista del coito, requisire sempre telefoni o telecamere altrui – al cambio di sesso di Bruce (ora Caitlyn Jenner) in un’epoca in cui scrivere su Instagram «Trans Lives Matter» e sentirsi di colpo attivisti moderni non faceva ancora figo. Le Kardashian sono state le reali anticipatrici di tutti gli argomenti di conversazione che hanno tenuto banco in America (azzardo: nel mondo) dal momento che i social hanno cominciato a invadere la nostra quotidianità. Hanno dato il via al culto senza vergogna dell’immagine; hanno fondato la religione del selfie; hanno intavolato un discorso concreto sulla transessualità e sulla fluidità di genere; hanno innalzato il matriarcato a vette mai più raggiunte; hanno dimostrato alle lagnose femministe cancellettiste cos’è il vero empowerment femminile; hanno contribuito a normalizzare le coppie miste e interraziali, nonostante qualcuno le abbia accusate di blackfishing e di appropriazione dell’estetica afroamericana (quanto tempo da perdere avete voi che v’offendete).

A torto, essendo entrambi figli della reality tv, la bizzarra ascesa e l’onnipresenza delle Kardashian è stata paragonata alla presidenza di Donald Trump. A torto, perché Trump s’è arricchito grazie all’eredità di papà Fred, in una maniera di matrice prettamente europea, mentre Kris, Kim, Khloé e le varie sorelle – pur non essendo mai state povere – hanno guadagnato miliardi di dollari (ri)facendosi da sole e poi vendendosi a peso d’oro, secondo una logica che non potrebbe essere più americana. Nulla pare intaccare, o aver intaccato, la loro popolarità: non lo squinternato fratello Rob, che come qualsiasi uomo colpevole di non attenersi alle direttive della momager Kris è stato relegato a un ruolo di terzo piano; non i lecca-lecca che sopprimono l’appetito o le guaine che strizzano la vita compromettendo le funzioni vitali, mentre qualsiasi magazine o celebrity inneggia alla body positivity e all’accettazione dei nostri corpi.

Le Kardashian-Jenner (ormai è più preciso chiamarle così) non sono woke, non sono icone femministe, ma non sono nemmeno le stupide narcisiste prive di talento o cervello che gli intellettuali dell’ultim’ora si ostinano a dipingere. Sono, semplicemente, capitalismo in forma umana, e kardashianizzano ogni cosa capiti loro sotto tiro. Dai fidanzati e mariti (rammento per i disattenti: Kanye West, forse il più grande musicista del XXI secolo, inizialmente non voleva comparire in KUWTK, poi pure lui c’è cascato), passando per la giurisprudenza (Kim che tiene conferenze alla Casa Bianca e ci rende partecipi dei suoi sforzi per riformare il sistema penale), arrivando ai marchi commerciali (Calvin Klein, Pepsi), inclusi quelli di proprietà (Kylie Cosmetics e SKIMS, linea di intimo modellante: perché la parola d’ordine, si diceva, non è accettarsi, bensì rimodellarsi).

Snocciolare un paio di numeri per credere: ciascun membro della famiglia guadagna fino a un milione di dollari ogni volta che promuove un prodotto sui social; la più giovane, Kylie, ha fatto perdere a Snapchat 1,3 miliardi quando ha twittato «Dunque qualcun altro non apre più Snapchat o sono solo io? Uh, è così triste!»; Kendall nel 2019 avrebbe messo da parte un gruzzoletto pari a 26,5 milioni con 53 post sponsorizzati su Instagram. Dopo aver spremuto – e prosciugato – il potenziale dei reality, le Kardashian-Jenner si sono trasformate in una potentissima società media grazie ai social, rendendo così inutile il loro programma televisivo e creando una lista infinita di aspiranti influencer e celebrity che vorrebbero emularle, senza riuscirci: d’altronde anche qui da noi di Chiara Ferragni ce n’è una, il resto è misero rumore di fondo.

Ma torniamo per un attimo a KUWTK. Per quanto fosse, e per quanto sia tuttora, in gran parte scritto, non ha mai rinunciato a una componente carissima al pubblico americano: il drama. Il punto è che si trattava di un drama talmente assurdo, paradossale, a tratti folle da risultare irresistibilmente divertente: le Kardashian-Jenner non volevano mostrare soltanto la versione presentabile e aspirazionale delle proprie vite, volevano mostrare tutto, vulnerabilità e irragionevolezze incluse. I 72 giorni di matrimonio di Kim con Kris Humphries, ossia quando i preparativi durano più delle nozze stesse; la sua piagnucolosa, angosciata e intensissima ricostruzione della rapina subita a Parigi; le infedeltà dei fidanzati e dei mariti delle sorelle; gli orecchini di diamanti persi durante una nuotata nell’oceano; le liti tra Kim e Khloé a colpi di borsettate in faccia perché la prima aveva comprato una Bentley e alla seconda non poteva fregar di meno.

Tra bisticci infuocati, intuizioni geniali e drammi a non finire, il clan Kardashian-Jenner ha plasmato e cibato un’ampia fetta d’America sensibilissima al fascino del potere dinastico, di una ricchezza pressoché illimitata e di una cafonaggine allegra e spensierata, in cui è più facile immedesimarsi: ho i soldi, ma non significa che debba avere gusto, e ciò in un certo senso mi rende più vicina ai poveracci come te. Non è chiaro cosa riserverà il futuro ai membri della famiglia, quando KUWTK abbandonerà il piccolo schermo. Ma c’è da scommettere che – avendo dato prova di sapersi abilmente evolvere con i tempi – ognuna di loro troverà un modo per rimanere sotto i riflettori. Ultimamente in molti stanno speculando sulle potenziali ambizioni politiche di Kim, soprattutto dopo l’arresto della corsa – be’, corsa è un eufemismo – del marito. «I guess, never say never», ha replicato lei quando le è stato chiesto se si sarebbe mai candidata alla presidenza. Fossi in Michelle Obama, starei già tremando.

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