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‘Death to 2020’ è un buon vaccino contro l’anno di me*da appena passato

E, si spera, contro la nostra stupidità. O forse il mockumentary Netflix dell’inventore di ‘Black Mirror’ è qui per dirci, tra un favoloso Samuel L. Jackson e un gigantesco Hugh Grant, che restiamo del tutto irrecuperabili

Foto: Netflix

Il punto non è se Death to 2020, appena arrivato su Netflix, è bello o brutto. Quel che preme a Charlie Brooker, cioè il tipo che s’è inventato il distopicissimo Black Mirror, è farci leggere l’ultimo distopicissimo anno come fosse una delle sue distopicissime storie (perdonate l’uso smodato dell’aggettivo: giuro che non userò resiliente). È bello e brutto il 2020, se mai. Anche bello, sì, se lo guardiamo come fa la “persona media”, uno dei favolosi intervistati di questo mockumentary: cioè, in un binge-watching ridotto a un’ora di sintesi tragicomica. E distopicissima, appunto.

È, soprattutto, spaventoso, e siamo spaventosi noi. Lo siamo diventati, lo siamo sempre stati, chi lo sa. Certo è che rare volte, di questi tempi, il tasso di immedesimazione nei personaggi di qualsivoglia copione è stato più alto di così. Siamo tutti schifosamente uguali alle tipologie umane scelte per raccontare l’annus horribilis, e a suo modo esilarante, appena finito. I miei preferiti sono la soccer mom che crede a tutto quello che legge online («Bravo quel dottor Fauci, peccato sia un attore») e il content provider (sic) che fa tutto ciò che socialmente (nel senso di social) bisogna fare, dal quadrato nero #BlackLivesMatter in giù. Ma non perché gl’importano davvero quei temi, per un solo motivo: «Io so di essere solidale con queste cause, ma gli altri lo sanno che io lo sono?». È per gli altri che oggi si fa tutto, che si diventa attivisti con due storie su Instagram, che si segue la conversazione (perdonate pure questo orribile calco) e tutte le regole del salotto virtuale. Fino alla scena forse migliore del film, quella in cui questo youtuber millennial bianco, dopo l’omicidio di George Floyd, va in giro per ore con la macchina urlando dal megafono: «Io sono con voi! Io sono voi! Io sono nero!».

L’altro punto di questo distopicissimo speciale di fine 2020 è farci capire che sì, quello appena passato è stato un anno di merda: ma non è che il prossimo prometta meglio. Se Trump è più blackmirroriano dei politici di Black Mirror, il buon Biden è dipinto come un amabile vecchietto su cui poter contare fino a un certo punto. Per non dire del fatto che l’informazione sarà sempre più “bolla” e narcisa (il giornalista del New Yorkerly News, cioè il fenomenale Samuel L. Jackson); che il senso della storia l’hanno perso pure gli storici (Hugh Grant, sempre più un gigante); che con la scienza ci riempiamo la bocca, ma di base non ce ne frega un fico secco (il regista che mette «immagini che distraggano il pubblico» quando parla il ricercatore di laboratorio, cretino anche lui); e che l’unica àncora di salvezza resta la solita – e quasi centenaria – regina Elisabetta (Tracey Ullman, splendida, perché non hanno preso direttamente lei per The Crown?).

L’unica ragione per cui il 2021 promette bene è il vaccino anti-Covid: io ho già il braccio pronto per quello vero, nel frattempo questo Death to 2020 è un buon surrogato. Iniettandoci, in un’ora appena, tutta la nostra stupidità, potrebbe forse fornirci gli anticorpi per sconfiggerla. È una speranza vana, si capisce. Vado a fare la mia Best Nine su Instagram, ad essere intelligente ci penserò poi.

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