‘Dark Matter’: la recensione della serie Apple con Joel Edgerton e Jennifer Connelly | Rolling Stone Italia
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‘Dark Matter’: di tutti questi multiversi non ne possiamo più

La nuova serie Apple starring Joel Edgerton e Jennifer Connelly è tratta da un bestseller di successo di parecchi anni fa, ma arriva in clamoroso ritardo rispetto a tutti i “mondi” che (dal MCU in giù) abbiamo già visto e stravisto. E nove ore per questa storia sono decisamente troppe

‘Dark Matter’: di tutti questi multiversi non ne possiamo più

Joel Edgerton in ‘Dark Matter’

Foto: Apple TV+

Nella nuova miniserie di Apple TV+ Dark Matter, Joel Edgerton interpreta Jason Dessen, un insegnante di scienze che viene rapito da una versione di sé stesso proveniente da una realtà parallela. Quest’altro Jason – chiamato Jason2 – è un magnate miliardario, ma invidioso della vita più semplice di Jason1, marito di Daniela (Jennifer Connelly) e padre di Charlie (Oakes Fegley). Jason2 si scambia con Jason1 e, mentre Jason1 cerca di ritrovare la strada di casa, deve esplorare una linea temporale alternativa dopo l’altra. In alcune, i cambiamenti rispetto al suo mondo sono minimi, ad esempio il bar del suo quartiere di Chicago ha un nome diverso. In altri, i cambiamenti sono enormi, tra cui diversi mondi post-apocalittici.

L’unica realtà che Dark Matter non può visitare, però, è quella in cui il suo pubblico non ha visto nessun film o serie del Marvel Cinematic Universe, Rick and Morty, i film dello Spider-Verse, Everything Everywhere All At Once e tutte le altre esplorazioni del multiverso degli ultimi anni.

La serie è adattata da Blake Crouch dal suo romanzo bestseller (l’autore ha già adattato per la televisione altri due suoi libri a metà degli anni ’10: Wayward Pines e Good Behavior). Il concetto di multiverso – mondi in cui ogni decisione, per quanto piccola, ha il potenziale di portare a un universo separato rispetto a quello che conosciamo – non era del tutto sconosciuto quando il libro è stato pubblicato nel 2016, soprattutto negli ambienti nerd. Ormai, però, ha raggiunto la completa saturazione culturale pop, tanto che anche i non addetti ai lavori probabilmente si spazientiranno quando Jason dovrà spiegare la teoria multiversale ad altri personaggi.

Il romanzo è stato un successo (una collega, dopo avermi sentito nominare la serie durante una riunione, si è illuminata e ha dichiarato che era il suo libro preferito in assoluto), e forse il materiale era appassionante in quella forma, soprattutto quando l’idea era ancora relativamente, be’, nuova. Ma in una realtà in cui deve condividere questa particolare premessa con tanti altri film e serie, è insipido come il guardaroba da padre di mezza età di Jason1. Ci sono alcuni momenti riusciti verso la fine della stagione, composta da nove episodi in totale, ma non abbastanza da giustificare un viaggio così lungo.

Non è difficile capire perché così tanti sceneggiatori e showrunner siano attratti dal multiverso (si veda anche il dramma Counterpart, che schiera due diversi J.K. Simmons, e perfino Constellation sempre di Apple, che ha avuto il suo finale di stagione solo poche settimane fa). È un concetto dalle infinite possibilità, che permette agli scrittori di raccontare tutte le lotte interne con cui i loro personaggi devono fare i conti (*). Ma anche se Jason1 viaggia da un mondo all’altro con l’aiuto della fidanzata di Jason2, Amanda (Alice Braga), Dark Matter fatica a sfruttare le possibilità offerte dalla sua premessa.

(*) E per i grandi franchise come il MCU, offre una carta “Uscite gratis di prigione” del Monopoli per cui qualsiasi personaggio morto può essere riportato in scena come variante, a patto che l’attore sia disposto a riprendere il ruolo. Ma questo riduce anche la posta in gioco, ed è uno dei tanti motivi per cui il pubblico sembra molto meno interessato alla saga del multiverso post-Endgame rispetto a quella precedente.

Dark Matter — Official Trailer | Apple TV+

Ci sono stati altri ruoli in cui Edgerton è stato un ordinary man molto convincente (in particolare quando ha interpretato un altro insegnante di scienze, nel film di arti marziali del 2011 Warrior). Purtroppo questo non è uno di quelli. Nessuna delle due versioni di Jason emerge dallo schermo. E anche se Jason2 ha più successo ed è teoricamente più spietato, non sembra esserci alcuna differenza tra i due (*). Vivono persino nella stessa casa vicino ai binari della linea L, nonostante Jason2 sia molto più ricco e non sia sposato.

(*) C’è un momento particolare – quando Jason deve scegliere se continuare a perseguire una scoperta scientifica che potrebbe fargli guadagnare una fortuna o mandarlo in bancarotta, oppure impegnarsi a costruire una famiglia con Daniela – che non è esattamente la backstory di Walter White in Breaking Bad, ma è abbastanza vicino che è facile immaginare un Bryan Cranston più giovane che interpreta entrambi i ruoli, trovando maggiore profondità e contrasti. Come minimo, però, Crouch, Edgerton e compagnia avrebbero dovuto trovare una differenziazione più chiara tra i due rispetto al semplice fatto che Jason1 viene picchiato per gran parte della stagione.

Jennifer Connelly si impegna un po’ di più nell’interpretare le tante Daniela, che si distinguono non solo per le diverse acconciature, ma anche per il fatto che l’attrice cambia ogni volta il suo linguaggio del corpo per far capire che tutte le altre versioni non sono la donna che Jason1 conosce così bene. Purtroppo, le altre Daniela sono più interessanti della moglie di Jason1, ma appaiono relativamente poco, lasciando a Connelly un ruolo di contorno. Alla star di A Beautiful Mind vengono date alcune scene di spessore alla fine della stagione che ci ricordano perché è un premio Oscar, ma non è abbastanza.

E se i personaggi e i loro conflitti non sono entusiasmanti, il multiverso stesso non è molto più inventivo. Molti dei mondi visitati da Jason1 e Amanda sono così completamente diversi tra loro che la coppia vi rimane solo per pochi minuti, se non per niente. Alcune delle soste più lunghe hanno a malapena un legame emotivo con la vita di Jason; forse il mondo più interessante, un paradiso progressista dove tutti credono nella scienza e dove la fusione fredda ha risolto la crisi climatica, è solo un luogo in cui Amanda porta Jason perché ha bisogno di una tregua dagli orrori delle altre realtà (nel complesso si tratta di una serie cupa: la prima cosa che assomiglia vagamente a una battuta arriva solo a metà del quinto episodio). I loro viaggi procedono per tentativi ed errori e richiedono molto più tempo di quanto sia giustificato, oltre a prolungare inutilmente il periodo in cui Daniela ignora che l’uomo che divide il suo letto non è in realtà suo marito.

A un certo punto s’era pensato di far diventare Dark Matter un film, e sarebbe stato decisamente meglio: nove ore sembrano una punizione. E anche quando le puntate successive cominciano finalmente a sfruttare la stravaganza della premessa iniziale, l’idea del multiverso viene però introdotta così male che ci vogliono più scene in due doversi episodi diversi prima che sia completamente chiaro cosa stia succedendo. Troppo della trama precedente è così telegrafica che il pubblico è perennemente in anticipo rispetto ai personaggi; alla fine lo scambio avviene, ma in modo troppo maldestro perché la sorpresa possa essere colta in pieno.

La serie ha anche una delle sequenze d’apertura più inerti che abbia mai visto: un uomo che si muove in un magazzino buio con una torcia elettrica e alla fine si imbatte in una grande scatola. Non si capisce chi sia quest’uomo, cosa sia la scatola, se la stia trovando per la prima volta, perché gli interessi o perché dovrebbe interessarci. Scopriremo che l’uomo è uno dei due Jason, e che la scatola è il dispositivo che Jason2 ha costruito per viaggiare nel multiverso. Ma sul momento, è così priva di intrigo o di contesto che non ha senso come punto da iniziare il nostro viaggio. Purtroppo, è un’anticipazione di ciò che verrà: un sacco di confusione, che non ripaga minimamente di tutto il tempo speso.

Da Rolling Stone US