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Costantino della Gherardesca è sopravvalutato

La sua conduzione è una delle grandi novità del rispolvero di 'The Voice', il talent show Rai. Eppure l’ironia tagliente del presentatore di 'Pechino Express' o il fatto di rappresentare a suo modo un unicum nel panorama tv non dovrebbero automaticamente renderlo un conduttore con la C maiuscola.

Altro che Voyager. I misteri di Raidue non sono quelli di Roberto Giacobbo, che sull’ignoto ha costruito la sua fama, ma quelli legati all’ascesa vorticosa di Costantino della Gherardesca. Da prezzemolino freak dei salotti televisivi a personaggio di punta acclamato dalla critica, Costantino ha fatto di tutto e ha avuto di più. Eppure l’ironia tagliente, una certa dialettica o il fatto di rappresentare a suo modo un unicum nel panorama tv non dovrebbero automaticamente renderlo un conduttore con la C maiuscola.

Scoperto da Piero Chiambretti nei primi anni duemila, la svolta risale al 2012 con la partecipazione come concorrente a Pechino Express. In coppia col nipote Barù, si fa notare diventando uno dei personaggio cult dell’edizione.

Le sue battute sempre sarcastiche e i suoi modi anche goffi di affrontare lo scomodo viaggio lo fanno entrare nelle simpatie del pubblico, soprattutto quello cosidetto ‘radical chic’, e anche della Rai che lo promuove a conduttore. Via Emanuele Filiberto, arriva Costantino e Pechino Express conquista l’intellighentia. Fiumi di inchiostro per tessere le lodi sue e del programma e nessuna menzione sugli ascolti della seconda stagione che restano pressappoco gli stessi della prima guidata dal criticatissimo erede Savoia.

E’ comunque innegabile che lo zampino di Costantino sia servito a dare un’impronta riconoscibile al programma e che sia bravo in quel che fa. Il problema piuttosto è che si sono confusi i meriti del reality, realizzato a regola da arte, con quelli del conduttore. Da qui una spaventosa sopravvalutazione. Progressivamente, inoltre, la sua ironia comincia ad accartocciarsi su se stessa, nutrendosi ripetutamente di doppi sensi e autocelebrazioni. Gli autori lo sostengono e aiutano a definire il personaggio, esponente della comunità LGBT, in un circolo vizioso a tinte arcobaleno. Esempio lampante è l’ultima edizione di Pechino Express che sembra costruita per assecondare quella nicchia rumorosa sui social network, che ha portato in alto Costantino, e finisce per rasentare il flop.

L’ex Maga Maghella di Markette, nel frattempo, si è fatto amici anche a Discovery dove ha collezionato una serie di esperienze fallimentari che probabilmente ricordano solo a Milano quartiere Porta Venezia. E, proprio sul canale Nove, tira un bello sgambetto alla Rai, diventando il narratore della versione americana di Boss in Incognito, il docureality che aveva lasciato su Raidue con il disappunto dei vertici della rete.

Ma Costantino piace ai giovani, dicono, e va forte sui social e questo in una tv pubblica bisognosa di rifarsi l’immagine, e che ancora non si orienta con i meccanismi 2.0, basta per essere coccolati. A ciò si aggiungono gli stretti rapporti dell’uomo con la potente casa di produzione Magnolia, in precedenza nelle mani di Ilaria Dallatana, direttore di Raidue sino allo scorso autunno.

Così per volere della top manager di Parma a maggio 2017 è autore e conduttore di Secondo Costa, programma in cui vorrebbe raccontare i grandi temi della vita dal suo punto di vista e con l’ausilio di esperienze dirette. Il pubblico di Raidue, però, non premia la versione di Costantino un po’ maître à penser e un po’ Kim Kardashian.

Niente paura però, per lui c’è l’ennesima avventura, ancora nel segno dell’autoreferenzialità, vero fil rouge della sua televisione, fatta poco per gli spettatori e molto per gli amici. Il discendente del Conte Ugolino, stavolta, è promosso in prime time con Le Spose di Costantino. Lo share precipita al di sotto del 3% ma il programma, non si sa perché, non viene sospeso e arriva tranquillo alla quarta e ultima puntata. Intervistato da Libero, il conduttore dichiara che il nuovo show non era stato realizzato per fare grandi ascolti e che il suo obiettivo era la divulgazione. Divulgare cosa non è dato sapere. Il programma dovrebbe essere un docu-reality ma sembra una fiction di quarto ordine, vorrebbe essere politicamente scorretto ma se sei sempre politicamente scorretto alla fine diventi banale e le tue provocazioni risultano gratuite.

Dulcis in fundo, arriviamo al mistero più grande: The Voice. Ebbene sì, è la conduzione di Costantino una delle grandi novità per il delicato rispolvero del talent show, dopo un anno di pausa. Tuttavia non sono (solo) i flop, che lo precedono, a renderlo inadatto sulla carta ma la sua incapacità di parlare il linguaggio nazionalpopolare e il fatto di aver costruito una carriera sul dissacrare determinati meccanismi sui quali poggia un talent. Non solo, le sue qualità hanno trovato terreno fertile in programmi realizzati in esterna e registrati, condurre The Voice in un grande studio non è come lanciare dei servizi a Pechino. In Rai pare abbiano insistito non poco per averlo, confermando una triste teoria che, anche nella democrazia del telecomando, basta piacere alla gente che piace (e decide) per avere opportunità.

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