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Chissenefrega di Rai Uno, ‘Rocco Schiavone’ sta meglio dov’è

Per la terza stagione della serie con Marco Giallini, abbiamo parlato con il creatore Antonio Manzini: «La mancata promozione su Rai Due ha eliminato il rischio di eventuali richieste di smussare il personaggio: le avrei trovate fastidiose»

Ha militato per due anni su Rai Due. Doveva essere promosso su Rai Uno. Ma alla fine, ieri sera, ce lo siamo ritrovati comunque sul secondo canale. Canna in bocca, bavero alzato ed espressione crucciata, Rocco Schiavone indagava su un nuovo caso (un fattaccio di preti e regolamento di conti) come al suo solito. Giusto Aosta sembrava più fredda del solito. Dunque? Dunque non si capisce cosa sia successo. C’è chi sostiene che sia tutta una questione di canne (mica può andare su Rai Uno un vicequestore che fuma, vi pare?), chi di politica o di opportunità editoriale (Rai Due è “birichina” secondo il direttore Carlo Freccero, Rai Uno no e paga pegno). Probabilmente potevano risparmiarci tutta questa “rottura di coj…”, come la definirebbe Schiavone, ed evitare di annunciare, per poi smentire, il passaggio della serie da Rai Due a Rai Uno. Giusto per incasinarci meno le idee. Anche perché, comunque la mettiate, Rocco Schiavone poteva essere una bella scommessa per la rete ammiraglia che, negli ultimi anni, si sta sempre più aprendo alle storie originali e coraggiose.

Certo, c’è la questione non trascurabile del “Rocco cannaiolo” e del Rocco che ruba e va a prostitute nonostante sia un vicequestore in forza alla Polizia di Stato. Su questo ci torneremo più avanti. Per ora ci preme mettere a fuoco un altro aspetto: Rocco Schiavone è molto più di Schiavone e del suo bravissimo e talentuoso interprete, Marco Giallini. La vera protagonista infatti è la solitudine: fisica e relazionale. Un sentimento di sospensione esistenziale che tanto ha a che fare con il senso di morte e, per questo, ci affascina e ci spaventa allo stesso tempo. Se la serie ha successo non è tanto e solo perché godiamo nell’ascoltare le rispostacce di Giallini o ci piace seguirlo nelle indagini, quanto semmai perché ci riconosciamo in quella sua vertigine esistenziale, colma di abbandono e tristezza. Più seguiamo la storia e più sospettiamo che il lutto di Schiavone (la perdita della moglie, ndr) amplifichi la sua solitudine, che tuttavia esisterebbe comunque, a prescindere dal passato. «Da bambino qualcuno mi ha detto che si nasce da soli e si muore da soli: penso che tutto sia iniziato da lì», conferma a Rolling Stone Antonio Manzini, co-sceneggiatore e autori dei libri che hanno ispirato la serie, «La solitudine è un dato esistenziale oggettivo: per la maggior parte della vita si sta un po’ soli sul cuore del mondo, per citare un verso di Quasimodo. “È difficile assaporare la gioia perché questa è un sentimento che si può provare solo in comunità con altre persone. Bene che va, si può arrivare alla felicità personale. I social, poi, hanno dato il colpo di grazia…».

Rocco Schiavone altro non è che un lungo viaggio dentro il tunnel della solitudine, esasperata dalle fredde temperature di Aosta. «Tutti i personaggi, non solo il protagonista, sono soli», sottolinea Manzini. Si sente abbandonato al proprio destino il bambino vicino di casa di Schiavone, Gabriele, trascurato dalla mamma assente; sola è Caterina, l’ex fiamma di Schiavone (salvata da uno stupro grazie a un uomo di malaffare) che si è rivelata poi una spia; fragili si riscoprono gli amici traditi di Schiavone che, senza il loro compare, si muovono smarriti per Roma. Non è da meno la new entry Valeria Solarino: interpreta la giornalista Sandra, con un matrimonio fallito alle spalle. “È nientemeno che l’ex moglie di Costa. Solitudine dunque, ma anche morte. «Mi rompe molto le palle il fatto che, prima o poi, dobbiamo morire», ammette Manzini. «Trovo che la natura abbia fatto proprio una cafonata nel decidere che a un certo punto ce ne dobbiamo andare: la vita è così meravigliosa! Eppure la fine incombe e noi corriamo verso di lei. Lo trovo profondamente ingiusto e, per questo, sono ateo». Tutte tematiche che Rai Uno avrebbe potuto sposare.

Marco Giallini e Valeria Solarino in ‘Rocco Schiavone 3’

Quanto alla natura politicamente scorretta del personaggio, Manzini non si è certo risparmiato. Anzi, sembra quasi si sia divertito nello sporcare l’immagine da “duro e puro” tipica dei maschi alfa che appartengono alle forze dell’ordine. «Il fatto è che non credo nell’uomo duro e puro», ribatte Manzini. «Quando da giovane leggevo i libri sui cavalieri senza macchia e senza paura, li trovavo noiosi perché inverosimili. Mi piace molto di più raccontare un essere umano pieno di difetti e contraddizioni, proprio come noi». Naturalmente la sua scelta di campo lo ha esposto alle critiche: lo scandalo per il vicequestore corrotto era esploso prima con l’uscita del libro e poi, in modo decisamente più amplificato, con la serie tv. «Me l’aspettavo, ognuno fa il proprio lavoro. Trovo solo curioso che ci si scandalizzi sempre per la canna e non per il fatto che Schiavone si macchi di frode. D’altronde è anche vero che in questo Paese si ruba con molta facilità…», spiega divertito. «Quanto alla canna, non c’è alcuna provocazione o messaggio pro-droga sotteso. Semplicemente è un elemento che mi aiutava a caratterizzare Schiavone come un bambinone: per la mia generazione la canna era il passatempo, o meglio il vizio, al quale ci si abbandonava ai tempi del liceo».

L’impressione effettivamente è che non ci sia nulla di gratuito nelle scelte narrative di Manzini. La stessa prima puntata di Rocco Schiavone 3 lo dimostra: si apriva con la morte di un prete che, peraltro, aveva rotto il sigillo dei voti. Da casa chiunque avrà pensato: “Era pedofilo”. Invece no. L’autore non ha battuto la trita strada del prete brutto & porcellone, ma ci ha narrato di un sacerdote che, per permettere l’arresto di un padre omicida, ha svelato quanto da lui ammesso in confessionale. Una violazione sacramentale, in nome della giustizia. In seguito a questa scelta il sacerdote si è “spretato” per coerenza etica.

Peccato dunque per la mancata promozione su Rai Uno. «Per me è meglio così», replica invece Manzini. «Non ho la più pallida idea di cosa sia successo: nessuno mi ha interpellato in merito al cambio di rete e ho l’impressione che Rai Uno abbia fatto tutto da sola. In ogni caso, andando su Rai Due abbiamo eliminato alla radice il rischio di eventuali richieste di smussare il personaggio: le avrei trovate fastidiose. Non amo edulcorare». Tra l’altro, se lo scrittore ha accettato di firmare la sceneggiatura (insieme a Maurizio Careddu) è proprio perché voleva assicurarsi che la serie non tradisse lo spirito dei libri e del loro protagonista. Se gli si chiede se c’è riuscito, risponde: «Abbastanza». Che non è poco, visti i presupposti. Di certo ha guadagnato un interprete, Marco Giallini, che ha reso iconico Schiavone.

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