‘Better Call Saul’: l’inizio della fine | Rolling Stone Italia
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‘Better Call Saul’: l’inizio della fine

È partita su Netflix l’ultima stagione della serie starring Bob Odenkirk. Che si avvicina sempre di più al personaggio che abbiamo conosciuto in ‘Breaking Bad’. Ma la strada è ancora lunga (e bellissima)

‘Better Call Saul’: l’inizio della fine

Bob Odenkirk nella stagione finale di ‘Better Call Saul’

Foto: Netflix

Better Call Saul è finalmente tornata con la prima parte della sesta e ultima stagione. E anche questa stagione comincia come le precedenti: con un flashforward sulla vita solitaria e folle del direttore del centro commerciale Cinnabon di Omaha Gene Takovic, a.k.a. Saul Goodman, a.k.a. Jimmy McGill. Visto che da più di due anni non vediamo un episodio di questa serie pazzesca, forse vi siete dimenticati che la quinta stagione si apriva con Gene – riconosciuto come Saul dal tassista Jeff – che chiamava Ed e gli comunicava l’intenzione di cambiare identità. Ma all’ultimo minuto diceva allo stesso Ed che aveva cambiato idea, e chiudeva con un: “Ci penserò da solo”.

Se questa fosse un’altra stagione come le altre, non avremmo alcun dubbio sul fatto che Gene reagirebbe immediatamente alla minaccia rappresentata da Jeff. Ma questa non è una stagione come le altre: è la fine di Better Call Saul; e cronologicamente parlando, se consideriamo anche El Camino, la fine del mondo di Breaking Bad creato da Peter Gould e Vince Gilligan. Perciò Gould (che ha scritto il primo episodio, intitolato Wine and Roses) e Gilligan (che ha diretto il secondo, Carrot and Stick) stanno serbando il ritorno a Omaha per il finale vero e proprio (o, quantomeno, per un momento da piazzare più in là, nella seconda metà di questa ultima stagione).

Ma Carrot and Stick trova comunque il modo di collocarci già in un mondo post-Breaking Bad. C’è qualcosa che ci riporta agli eventi di Granite State, il penultimo episodio della serie-matrice. Saul Goodman è scomparso dopo che il suo cliente preferito si è rivelato essere lo spacciatore di metadone più celebre del Sud-Ovest, e le autorità hanno mandato una squadra a catalogare tutto quello che c’è in casa di Saul. Ma non abbiamo mai saputo come vive Saul. Ora, finalmente, possiamo forse trovare una risposta. Saul viveva in una villa arredata in modo assurdo, piena di statue, e con tutti i suoi abiti ben ordinati insieme alle cravatte e alle scarpe. E, in una sequenza che sembra rubata a Viale del tramonto, il regista Michael Morris e il direttore della fotografia Marshall Adams ci svelano che ha persino un cesso… dorato.

Ma perché la stagione finale comincia mostrandoci tutto questo? Forse è il modo per proseguire nella suddetta tradizione dei flashforward senza tornare a Gene, almeno finché non sarà assolutamente necessario. O forse perché è l’ultimo “trofeo” che vediamo prima dei titoli di testa, insieme a uno degli oggetti che per Jimmy McGill valeva la pena tenere: un tappo della bottiglia di tequila Zafiro Añejo, che ci riporta al primo episodio della seconda stagione.

Se Better Call Saul era iniziata come la parabola su come un uomo losco ma in definitiva simpatico poteva trasformarsi in un cattivissimo criminale/avvocato, a un certo punto era diventata la storia di come era riuscito a trascinare in questo processo anche l’amore della sua vita, Kim Wexler. Dopo gli sviluppi delle ultime stagioni, in questi nuovi episodi diventa ancora più chiaro quanto Kim sia intenzionata a portare avanti la sua natura di imbrogliona. Lei e Jimmy vogliono far credere che Howard abbia un problema di droga, e spingere così Clifford Main a insabbiare il caso che lo riguarda. Il piano comincia in Wine and Roses e si allarga in Carrot and Stick, dove ritroviamo addirittura Betsy e Craig Kettleman, che avevamo conosciuto nella primissima stagione e che verranno coinvolti in questo nuovo raggiro.

In Wine and Roses, vediamo la tazza con scritto “World’s 2nd Best Lawyer” (“Il secondo miglior avvocato del mondo”, ndt) con il buco di una pallottola. Era un regalo che Kim aveva fatto a Jimmy in un’epoca ben più innocente, e ora sembra il simbolo della vita che si sono lasciati alle spalle. All’inizio di quest’ultima stagione, Jimmy sembra ancora più lontano dall’essere Saul Goodman di quanto non lo sia mai stato. Ha un modo di fare più morbido e delicato, mentre Kim sembra essere la truffatrice più diabolica. Sia nell’incipit che in una successiva scena ambientata in tribunale, è come se vedessimo gli abiti di Saul separati dal corpo di Jimmy. È un’identità che si è messo addosso, ma che non corrisponde del tutto all’uomo che vediamo in questa serie. È come se Kim fosse diventata il vero Saul Goodman, e usasse Jimmy come suo rappresentante. A un certo punto la sentiamo descrivere lo studio ideale di Saul, ed è più o meno quello in cui lo abbiamo visto in Breaking Bad. È lei che sta costruendo la leggenda di Saul, e lui sembra quasi restio a seguirla. Questa è la donna di cui Jimmy si è innamorato, ma lei sembra essersi invece innamorata di una versione idealizzata di Jimmy: è Saul l’uomo che fa per lei. (Che grandissimo attore drammatico è Bob Odenkirk! Che grandissima attrice drammatica è Rhea Seehorn!).

La cosa davvero spaventosa da considerare, se siete affezionati a questi due personaggi, è che mancano solo 11 episodi alla fine, e Jimmy non è ancora nemmeno lontanamente vicino al Saul che abbiamo conosciuto in Breaking Bad. A volte ce lo ricorda, ma bisogna che succeda ancora qualcosa di veramente brutto per farlo passare dall’uomo che vediamo ora a quello che costruisce quella pacchianissima villa coi soldi fatti con la droga e gli omicidi.

Rhea Seehorn è Kim Wexler. Foto: Netflix

Se Jimmy e Mike avevano condiviso la maggior parte degli ultimi episodi della stagione 5, dove le loro storie erano quasi sempre intrecciate, qui invece sono del tutto separati: vediamo Mike per un attimo quando Jimmy e Kim lasciano l’ufficio dei Kettelman alla fine di Carrot and Stick. Perciò, almeno ora, la storyline dell’avvocato è più presente di quella del cartello della droga. Nacho e Lalo sono ancora nell’aria, ma l’attenzione è puntata tutta su Jimmy.

Come spesso succede in Better Call Saul, la trama si muove con estrema lentezza. Ma sia questa serie che Breaking Bad sono molto precise nel descrivere i personaggi e il loro modo di entrare o uscire dalle situazioni in cui si trovano invischiati, e la bellezza sta proprio nel seguire con attenzione – e tutti i dettagli possibili – queste singole storie. In questo caso, anche se non sono ancora determinanti nell’azione, è bellissimo osservare tutta la storyline di Nacho nel motel (e quella di Gus che lo vuole morto a tutti i costi). Allo stesso tempo, è difficile seguire tutte le mosse e le contromosse di Nacho, Gus e Mike.

All’inizio di Carrot and Stick, Jimmy propone a Kim un piano per fregare Cliff Main, e lo fa come quando Walter White aveva spiegato a Jesse l’operazione per far fuori Tuco. È un modo, quello di Better Call Saul come quello di Breaking Bad, per cominciare ogni stagione con quella lentezza di cui parlavamo, ma senza mai risultare noiosa. È bellissimo che questa serie sia tornata, e sarà difficilissimo seguirla fino alla fine – soprattutto se succederà qualcosa di brutto a Kim.

Da Rolling Stone USA