Benvenuti nell’era della scolarizzazione degli scemi (fatta dagli scemi) | Rolling Stone Italia
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Benvenuti nell’era della scolarizzazione degli scemi (fatta dagli scemi)

‘Storia delle parolacce’ e ‘Fran Lebowitz – Una vita a New York’, entrambi su Netflix, sono due (bellissimi) esempi contro i giovani divulgatori dell’internet

Benvenuti nell’era della scolarizzazione degli scemi (fatta dagli scemi)

Nicolas Cage in ‘Storia delle parolacce’

Foto: Netflix

Tre titoli ora su Netflix m’hanno condotto a un pensiero uguale e contrario: viviamo nell’era degli scemi; com’era bello il mondo senza gli scemi (o in cui, quantomeno, gli scemi si nascondevano meglio).

Il primo è Storia delle parolacce, gradevole serietta da guardare mentre si svuota la lavastoviglie con l’host Nicolas Cage (sempre grande) che spiega l’origine di fuck, e bitch, e shit. Non è una serie fatta da e per gli scemi, però è confezionata come le cose (scusate: i format) che confezionano oggi le divulgatrici e i divulgatori dell’internet (si chiamano così), late millennial o ragazzini Generazione Z che scoprono ogni giorno l’acqua calda e sentono l’urgenza di dire agli altri che scotta.

C’è in corso, forse l’avete vista anche voi, una nuova scolarizzazione a misura di scemi, appunto. Gente che spesso sa poco, ma che quel poco lo vuole divulgare (pardon) a quelli che ne sanno ancora meno. Lo fa con i videoselfie, con le infografiche, con il tag al divulgatore più followato di loro nelle storie di Instagram (dài che ci spunta un repost, dài che mi faccio qualche follower in più anch’io), con gli screenshot dei titoli dei giornali americani (perché gli esperti veri è lì che stanno sempre, col loro attestato di First Certificate). Tanti piccoli maestri Manzi, che il maestro Manzi manco sanno chi è perché “non c’eravamo”: non c’ero nemmeno io, all’epoca del maestro Manzi, ma una volta le cose s’imparavano pure senza schemini.

Storie delle parolacce, dicevo, è divertente, furbetto, spedito, affatto scemo, ma fa impressione che oggigiorno sia tutto uno spiegone, una lezione facile facile coi disegnetti, altrimenti – questo, immagino, è il timore di chi scrive e produce – noi pubblico scemo non capiremmo. Qua si parla di dick e pussy, ma non fa differenza: succede lo stesso con la politica, i libri, la cucina gourmet.

Martin Scorsese e Fran Lebowitz in ‘Fran Lebowitz – Una vita a New York’. Foto: Netflix

Il secondo titolo è Fran Lebowitz – Una vita a New York, impertinente traduzione dell’originale Pretend It’s a City, lunga intervista di Martin Scorsese (dopo il precedente Public Speaking, 2010) all’amica, splendida scrittrice splendidamente inattiva. Ma è, soprattutto, un lungo film sulla loro città e sul loro tempo. Che è un tempo qui riportato per quello che era, e per come si viveva: senza spiegoni. Lebowitz cita Charlie Mingus o Leonard Bernstein e, incredibile!, non c’è nessun cartello a dirci chi fossero. Così andava il mondo allora: si capitava in un posto, si vedeva gente, si facevano cose, si studiava, si sceglievano i propri maestri (anche Manzi, perché no).

Una vita a New York piacerà moltissimo anche agli scemi. Perché è Netflix, perché c’è New York, perché c’è la firma di Scorsese (qualunque cosa abbia diretto prima costui: quello, agli scemi, non importa mai; l’importante è sempre il qui e l’ora, il trending topic del momento). Piacerà anche agli scemi che a New York non ci sono stati manco una settimana nella loro vita – ci pagano troppo poco per il nostro lavoro di divulgatori!, ti diranno loro – ma che sanno spiegartela benissimo perché hanno visto Sex and the City e I Soprano, come del resto sanno spiegarti l’America tutta: nei giorni scorsi, non c’è stato scemo che non abbia usato la prima scena di The Newsroom – «No, l’America non è il più grande Paese del mondo», diceva Jeff Daniels – per commentare l’assalto degli uomini lupo al Campidoglio. Aaron Sorkin è un genio anche perché sicuramente morirebbe di vergogna, a sapere di essere utilizzato dagli scemi come libro di testo.

L’ultimo titolo, di cui però si è già detto e scritto in tutti i luoghi e i laghi, è SanPa, la vera cartina di tornasole per gli scemi di oggi. Il commento più in voga su social e affini è: non si capisce se Muccioli è buono o cattivo! Il giudizio resta sospeso! Dov’è la ragione e dove sta il torto! C’è, nelle loro parole, questo tono di somma sorpresa che fa spavento, perché i buoni documentari (e questo indubbiamente lo è) così dovrebbero essere. Forse gli scemi ne hanno visti troppo pochi (probabile) o forse la colpa è proprio l’abitudine allo spiegone, il bisogno di avere sempre qualcuno o qualcosa che ti dica, con le freccette e i numeretti, com’è andata (e cosa devi pensare, e da che parte devi stare). Grazie alle luci e alle tenebre di San Patrignano, gli scemi hanno scoperto che la vita ha più sfumature di un’infografica su Instagram, e sono andati in tilt. Fran Lebowitz si farebbe una risata, e Martin Scorsese con lei. Nicolas Cage direbbe: fuck.