Benedetto il giorno che t’abbiamo incontrata, Sara Drago | Rolling Stone Italia
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Benedetto il giorno che t’abbiamo incontrata, Sara Drago

Dal teatro al primo ruolo sullo schermo: quello della tosta (ma non stronza) Lea in ‘Call My Agent – Italia’. Dalla Brianza con furore. E un sogno: «Voglio diventare un mostro di bravura, e per farlo sono disposta a tutto»

Benedetto il giorno che t’abbiamo incontrata, Sara Drago

Sara Drago

Foto: Nicola De Rosa

C’è un elefante nella stanza, e allora prendiamolo subito di petto. Quante probabilità c’erano che un’attrice al suo esordio nella serialità interpretasse il ruolo di Camille Cottin nel remake italiano di Dix pour cent (da noi Chiami il mio agente!) e che la questione funzionasse? Poche. E infatti alla fortunata malcapitata con “tantissimo teatro alle spalle” – giusto quei dieci o quindici anni di carriera che spesso precedono la popolarità ma che abbiamo il vizio di minimizzare – è toccata la trappola del personaggio più ambito, che è anche quello più vincolato al format originale. Perché per gli affezionati della prima ora Andréa Martel è una e basta, anche se le cambi nome in Lea Martelli. Ed è vero che Noi aka il remake italiano di This Is Us per molti è una ferita brutta brutta, di quelle da accanimento che giusto i Jalisse possono capire, ma l’elefante nella stanza stavolta è stato domato: Call My Agent – Italia non solo funziona, ma per certi versi si riscatta da certe legnosità di messa in scena e di scrittura che erano sfuggite di mano ai francesi. E succede anche che, a dare una chance a Sara Drago, ci si dimentichi un po’ di Andréa e di Camille. La sua versione è più milanese, più ironica e più umana, ma soprattutto si emancipa dall’originale senza snaturarla. Non era un risultato facile da ottenere. Dietro c’è tutto un giro di appunti, carte d’identità incrociate e correlativi oggettivi (affari tecnici su cui torneremo, tipo quando Drago ha insultato Maurizio Lastrico – che interpreta l’amico e collega Gabriele – durante il provino, ma niente è come sembra).

Insomma, Luca Ribuoli ci ha visto lungo. Tra Sara e il suo personaggio scorre lo stesso sangue caldo di chi il mestiere lo intende in un modo preciso: «Voglio diventare un mostro di bravura e sono disposta a tutto». Le puntate che tiene in piedi insieme a Lastrico, Accorsi e Favino (due dei guest della versione nostrana) regalano alcune delle scene migliori della serie, e come biasimarla se, ai leoni da tastiera che snobbano il remake a priori, lei risponde con un invito ufficiale: «Venite a casa mia, vi preparo una tisana così vi rilassate». Io ve lo dico: Sara Drago è un’attrice vecchio stampo, studia come una pazza e mette in gioco tutto. Ma in testa ha un bersaglio con i volti di tutti quelli che l’hanno ostacolata e offesa fin qui. E sui dardi non risparmia.

Foto: Nicola De Rosa

Dunque Andréa-Lea: era uno sporco lavoro, ma qualcuno doveva pur farlo.
Non me ne parlare. Infatti so che anche Luca ha faticato molto per trovare un’attrice che lo convincesse rispetto al desiderio che aveva.

Però tu l’hai convinto subito, tra moltissime candidate ben più note di te. È vero?
Credo di sì. Io sono arrivata molto tardi nella fase dei casting, che è durata mesi. Ricordo una lunghissima telefonata con Luca qualche giorno prima di andare a fare il provino in presenza, in seguito al selftape. Ero in treno e lui stava chiamando le attrici che aveva opzionato per il callback. Si capiva dalle indicazioni che dava che aveva a cuore delle questioni precise. Cercava un carattere e una determinazione forti, una donna che è sempre lì a rilanciare, sempre in azione, che non si piange mai addosso. Lea è chiaramente una problem solver che però ha anche delle qualità buffe: pur di raggiungere l’obiettivo fa dei gran casini, ma nonostante tutto va avanti. Questo aspetto nella serie francese è esilarante, grazie al lavoro fatto da Camille Cottin.

Quando hai capito di averlo convinto?
Ero a Roma da pochissimo e quello credo fosse il mio primo provino. Piccola premessa divertente: quando sono arrivata mi hanno mandato subito dal costumista e dalla truccatrice, e appena i reparti mi hanno sentita parlare hanno sgranato gli occhi: “No, ma è lei!”. La mia ansia da prestazione è salita alle stelle, ma mi hanno anche fatto capire che potevo giocarmi le mie carte. E invece il provino è iniziato con Luca che mi ha bloccata dopo qualche secondo: “No, sei troppo teatrale”. Capirai, quello è l’incubo di ogni attore che viene dal teatro. Poi però io e Maurizio Lastrico abbiamo provato la prima scena insieme, quella di Lea e Gabriele al bar. Luca mi ha chiesto di non attenermi più alle battute: “Voglio che inventi”. Quindi mi sono staccata dall’idea che avevo in testa e dall’immagine di Camille Cottin, e ho provato a giocare da Sara.

E Sara come gioca?
Ho iniziato ad attaccare Maurizio utilizzando cose reali e sono andata a spingere: “Ma ci pensi?”, lo incalzavo, “ma vedi che faccia hai? Sembri invecchiato. E quella pancia che hai messo su? Ti sei lasciato andare”. Lui mi ha tirato fuori uno sguardo che non ti dico, avrà pensato che ero fuori di testa. Ma ovviamente è un grande attore ed è stato al gioco. Il provino è decollato lì.

Questa improvvisazione che ti ha salvato la pelle arriva dallo stesso teatro che ti rendeva troppo teatrale?
Assolutamente sì. E ti dico anche da chi: dalla mia maestra Cristina Pezzoli, che ho amato tantissimo e che purtroppo è venuta a mancare nel 2020. Pedagoga e regista teatrale di dimensioni enormi. Questo tipo di esercizio si chiama “utilizzo del correlativo oggettivo”. Prendo un fatto reale, come può essere notare la faccia un po’ stanca di Maurizio, e ci gioco fino all’estremo per provocare qualcosa di vero nel mio partner. Io e Maurizio abbiamo lavorato spesso così anche durante le riprese.

I vostri Lea e Gabriele non mi hanno fatto rimpiangere gli Andréa e Gabriel francesi. A te?
Io posso dirti che per me l’incontro con Maurizio è stata tantissima roba, in termini di crescita. Una volta eravamo incastrati in una scena notturna in hotel e dovevamo litigare (è l’epilogo della puntata con Stefano Accorsi, incentrata su Drago e Lastrico, nda). Sono andata in tilt, non so perché, e infatti abbiamo ripetuto la scena tantissime volte. Eppure Maurizio mi dava sempre un gancio diverso per partire – a proposito di correlativo oggettivo – alle volte anche insultandomi. Era sudatissimo, ha dato tutto per aiutarmi in quell’occasione. Perché da quel primo provino è come se ci fossimo detti: “Adesso vale tutto. Mettiamo in campo qualsiasi cosa per raggiungere il risultato”. E qui si tratta di teatro, sì.

Vanessa Scalera ha fatto qui su Rolling un appello irresistibile: “Si tira in ballo il successo, come se quello che al successo ti ci ha portato fosse di qualità inferiore, come se il fine ultimo del mestiere dell’attore dovesse essere la fama. Nessun attore dovrebbe più usare la parola gavetta”. Oggi sei nel limbo che separa la cosiddetta gavetta dal successo: ti stai liberando da una zavorra, oppure…?
Nessuna zavorra, per me non esiste questa differenza né questo gradino. D’improvviso sei su Sky e ti vede il mondo, come se fossi diventata attrice ieri. E naturalmente non è così. Ma comprendo che chi non fa il nostro mestiere abbia questa idea dell’attore che, se non è noto, allora non lavora. Io però sono d’accordo con Vanessa. Tra l’altro lo vorrei fare anch’io un appello: se Call My Agent – Italia andrà avanti con le altre stagioni, vorrei rappresentare ufficialmente Vanessa. Scalera, vuoi essere una mia assistita?

Quoto e riferisco. A quanti provini “per un ruolo femminile irriverente tipo Fleabag” ti hanno scartata prima di vincere questo?
Tipo Fleabag nessuno. Forse dopo dodici anni di duro lavoro sono stata fortunata, a Roma ho beccato subito il ruolo fico. Devi sapere che io seguo due matti geniali che leggono i tarocchi, Fulvio Vanacore e Matteo Salimbene. Fulvio è un regista che viene dal teatro e a un certo punto ha deciso di dedicare la sua vita ai tarocchi: mi aveva fatto una mega lettura prima di partire per Roma, e ti giuro che mi aveva mostrato esattamente tutto quello che poi è successo.

Ai tarocchi non resisto. Che cosa avevano visto?
Tante donne, e adesso sono circondata da colleghe preziose per me, a partire dalla mia agente Donatella Franciosi. E poi mi avevano anticipato un grande salto.

Sara Drago è Lea in ‘Call My Agent – Italia’. Foto: Sara Petraglia/Sky

Il salto in questione comprendeva una doppia sfida: mantenere i tratti vincenti di Andréa e, allo stesso tempo, trovare un canale di comunicazione originale con Lea. Dove ti sei infilata?
Eh, bellissima domanda (ride). Ho fatto un lavoro di traduzione: ho stilato una carta d’identità del personaggio, a partire dagli aggettivi e dal lavoro di studio fatto da Camille Cottin. Poi l’ho incrociata con una carta d’identità tirata fuori con Luca Ribuoli e il prezioso Sergio Valastro, il mio acting coach, finché purtroppo non è venuto a mancare anche a lui durante le riprese (la prima puntata della serie è dedicata proprio a Sergio, nda). Sì, questa è anche una storia di bellissime presenze che se ne vanno.

Lea descritta in una battuta: “È una belva ma anche un fenomeno”. Vale a dire che rischiavi la macchietta della stronza geniale, cosa che invece Camille Cottin ha scongiurato brillantemente.
Avevo molta paura di cadere in quello che dici, infatti. Il timore di essere solo una stronza mi ha perseguitato fino all’ultima posa. Credo che a salvarmi sia stato il gancio dell’ironia, che fortunatamente Lea possiede. Per aiutarmi ho pensato spesso al personaggio di Miranda nel Diavolo veste Prada: ispirarsi a Meryl Streep è sempre una buona idea.

Credo che la tua puntata migliore sia quella con Accorsi. C’è una vostra scena in macchina – il delirio idealista di due workaholic del cinema – in cui siete esattamente sulla stessa frequenza. Concordi?
Sì. Sono cresciuta alla velocità della luce sul set, e quell’episodio è arrivato più avanti. Ma è vero che con Stefano c’è stata un’alchimia bellissima dall’inizio. Mi ha messo immediatamente a mio agio, ha accorciato le distanze, abbiamo scherzato e abbiamo riso. E poi credo che a livello di scrittura quella sia la puntata che più racchiude l’anima della serie. Con Picchio (il soprannome di Pierfrancesco Favino, nda) invece ho un piccolo rimpianto: è la prima guest star con cui mi sono ritrovata a girare ed ero ancora un po’ confusa.

Per rimanere in tema guest, infatti, sembra che temessi più Favino che Sorrentino.
Ti devo dire la verità: sì. Sorrentino è uno dei pochi registi di cui ho rivisto i film svariate volte, Youth in particolare. Però con lui avevo più un’ansia fuori dal set, nel dovermi relazionare con un maestro del genere. Con Picchio invece si trattava di un autogiudizio attoriale: sarò all’altezza di dividere la scena con un mostro di bravura come lui? D’altronde anch’io sono un’attrice e voglio diventare un mostro. E farò di tutto perché questo avvenga. E poi lui me lo ha detto subito: “Quello che stai facendo è molto difficile, perché il tuo personaggio si relaziona con un personaggio che non sta più in relazione con nessuno”. In quel momento Favino si era perso nel ruolo di Che Guevara, e aveva talmente smarrito il senso della realtà che andava costruita una non-relazione scenica. Però quella tra un’agente e un suo assistito è anche una relazione d’amore, di stima e di cura.

Foto: Nicola De Rosa

Brianza. Mamma ragioneria, papà muratore, ballerini di boogie per diletto. Da dove nasce il desiderio di diventare “un mostro” d’attrice?
Credo che ognuno di noi abbia un destino che deve solo scoprire, magari proprio andando a caccia dei segni, a proposito di tarocchi. Nella mia famiglia c’è sempre stata una grande forza: penso a mio padre, che è un esempio di forza fisica incredibile. Da lui e da mia mamma ho preso questa determinazione, per quanto loro abbiano costruito altro nella vita. E poi l’incontro con i miei maestri è stato illuminante: ricordo ancora la mia insegnante di musica alle scuole medie, una donna appassionatissima che ci faceva studiare musical e che mi ha fatto partire la scintilla. Sai, la Brianza è un luogo un po’ anonimo, che se non ti appiattisce l’immaginazione crea una fuga interessante. Se cresci lì è paradossalmente più facile crearti l’idea di un mondo lontano e diverso.

Al ruolo in Call My Agent ci sei arrivata disincantata o non hai avuto il tempo di scoprire il disincanto?
Io ho fatto una fatica pazzesca, Chiara. La paura del fallimento è un mostro che ha cercato di mozzicarmi le chiappe un sacco di volte. Non si tratta di riconoscimento, ma di possibilità. Il teatro è un ghetto, le occasioni sono poche, ci sono le categorie come nel calcio. E non è detto che se hai il talento per giocare in Serie A riesci ad arrivarci, per tante ragioni che difficilmente hanno a che fare con il talento. Credo sia ancora meno democratico del cinema.

Te ne hanno combinate un po’, eh?
Non ti nego che ho certi volti che sono sempre lì, in testa. Li guardo e dentro di me penso: “Un giorno arriverò al punto in cui voglio. Allora riguarderò i tuoi occhi, ripenserò alle cose che mi hai detto in un certo momento e ti dirò: grazie, ora ciao”.

La cosa peggiore che non perdoni?
Lavoravo in un teatro da molto tempo, avevo una paga che ora te la dico e ti metti a ridere: sessantacinque euro lordi al giorno. E non ero un’attrice uscita il giorno prima dall’accademia. Al terzo anno che lavoravo lì ho provato a chiedere dieci euro in più, e questo mi ha guardato e mi ha detto: “Stai al tuo posto. Questa è una vetrina, devi solo ringraziare di essere qua”. L’ho trovato di una cattiveria e di una violenza incredibili.

Dovresti mandargli un cesto regalo con i soldi che hai preso per Call My Agent.
(Ride) Lo farò veramente.

Sara Drago/Lea con Maurizio Lastrico/Gabriele. Foto: Sara Petraglia/Sky

Ma rispetto al carnevale d’attori che la serie racconta, tu che assistita sei?
Io sono A come Ansia. Ci lavoro tanto, ma non lo nascondo. Però è anche vero che sono sempre sul pezzo, produco spesso del materiale che non mi viene richiesto. Sono perfezionista, scrupolosa, cerco di aiutare la mia agente a farmi lavorare.

Mi stai dicendo che sei la combo micidiale tra Stefano Accorsi ed Emanuela Fanelli?
(Ride) Mi assumo la responsabilità di questa crasi. Mi piace.

Sono andata a leggere i primi commenti degli italiani sul web. Due motivi di preoccupazione su tutti: il remake, a priori, sempre e comunque. E poi tu, ovvero il personaggio di Andréa, considerato intoccabile. Per caso vuoi rassicurarli?
Tranquilli, conquisterò il vostro cuore con la mia brianzosità, ammesso che si dica così. Senti, puoi rassicurarli tu?

Be’, esiste anche Call My Agent – Bollywood, gli direi che possono sempre guardare quella.
(Ride) Io la vedrò tutta. Comunque li ho letti anche io certi commenti, uno in particolare diceva: “Sarà sicuramente una patacca”. Va bene: e allora vattene anche a quel paese, ma che problema hai? In famiglia, con la tua compagna, sul lavoro? Insomma, perché ce l’hai tanto con noi? Vieni a casa mia, ti faccio una tisana e poi guardati la serie.

Ecco, direi che li abbiamo tranquillizzati. Ti rigiro la domanda che fai alla tua assistente in fase di colloquio: questo lavoro lo possono fare solo gli amanti del cinema e i disperati: tu quale sei?
Ovviamente una disperata. Ma una disperata innamorata del cinema.

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Fotografo: Nicola De Rosa
Stylist: Samanta Pardini
Look: Stella McCartney
Shoes: Giuseppe Zanotti
Hair & Makeup: Lucia Orazi