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«Forse non sono un buon attore, ma qualsiasi cosa avessi fatto sarebbe stata peggio». Modestia vera o finta? Perché Sean Connery non solo è stato un buon attore (anzi: ottimo), ma è ad oggi una delle ultime leggende del cinema. Da James Bond (e chi se no?) agli action movie anni ’90, ecco la sua carriera in (super) sintesi. In un giorno non casuale: oggi l’eterno agente segreto al servizio di Sua Maestà compie 90 anni. Si vive solo due volte: ma questa vita (e questa carriera) è già stata immensa da sola.
Il primo James Bond non si scorda mai. Soprattutto se riesce a tenere insieme l’eleganza da gentleman e la ruvidezza sexy-proletaria connaturate all’agente creato da Ian Fleming: dopo Sean, nessun altro attore ha saputo raggiungere questo equilibrio. Impossibile scegliere un solo titolo in tutta la saga: facciamo che la licenza di diventare una delle più grandi star di tutti i tempi vale dal primo (Agente 007 – Licenza di uccidere) all’ultimo (Mai dire mai: che però non è un “installment” ufficiale) degli episodi di cui è stato protagonista?
E poi venne Alfred. Il film del mancato ritorno sulle scene dell’adorata Grace Kelly (la protagonista finì per essere la Tippi Hedren degli Uccelli) è anche uno dei primi successi post-Bond di Connery. Che improvvidamente chiese a Hitchcock di leggere il copione. Quando gli fu replicato che un simile privilegio non era concesso nemmeno all’amico Cary Grant, Sean rispose: «Io non sono Cary Grant». Forse è solo una leggenda, ma ci piace credere che sia vera.
Dopo il boom globale di Agente 007 – Missione Goldfinger, arriva un dramma bellico che è tutto fuorché glam. Alla regia c’è il sommo Sidney Lumet, ma il linguaggio è più che mai rigoroso (almeno quanto il bianco e nero scelto per la splendida fotografia). Connery è Joe Roberts, soldato inglese prigioniero in un campo di prigionia del Nordafrica. Una delle interpretazioni più sensibili del nostro: e anche delle più dimenticate.
Ormai l’attore inglese (pardon: scozzese) più famoso del mondo era davvero uno dei re del grande schermo. E questa è di certo la più regale delle sue interpretazioni. Anzi, divina. Nel (falso) biopic dello scrittore “coloniale” Rudyard Kipling diretto dal grande John Huston, Sean è l’ex sergente dell’esercito britannico scambiato per un dio da una popolazione che vive al confine tra Afghanistan e Pakistan. Chi più di lui...
Altro caposaldo dell’immaginario inglese, altro film che ancora oggi molti non conoscono (o hanno dimenticato). Il Robin Hood di Connery non è l’eroe action-popolare a cui eravamo abituati, ma una figura ormai âgée sospesa tra bilanci esistenziali e un mito costretto a tramontare. E con l’amore immutato per la sua Marian, una altrettanto matura (ma mai sfiorita) Audrey Hepburn. L’attore tornerà (brevemente) 15 anni dopo sul luogo del delitto: in Robin Hood – Principe dei ladri sarà un magnifico Riccardo Cuor di Leone. Un’autocitazione da vero signore.
Dal bestseller del nostro Umberto Eco, un film che per fama ha rischiato di superare l’originale. Merito anche della prova di Sean, qui nei panni dall’amatissimo frate francescano Guglielmo di Baskerville, maestro spirituale e “poliziesco” di Adso da Melk (un giovanissimo Christian Slater). Uno spettacolo classico che si affida anche alla bravura e all’esperienza del suo protagonista (e all’amore che il pubblico nutre nei suoi confronti), e che a suo modo non invecchia: quante volte l’avete visto nel ciclo “I Bellissimi di Retequattro” (e quante altre volte lo rivedreste di nuovo)?
Prima e ultima nomination agli Oscar (come non protagonista), prima e ultima vittoria. Il vecchio poliziotto Jim Malone cui dà volto l’attore è il più tenero dei membri della squadra arruolata da Eliot Ness/Kevin Costner. Nonché il protagonista di alcune delle sequenze più memorabili del film, compresa quella della sua morte (perdonate lo spoiler), perfettamente orchestrata dalla mano di De Palma. Una statuetta tardiva, a quasi 60 anni: ma per fortuna è arrivata.
Da saga a saga: James Bond diventa il papà di Indiana Jones, e tanto basta a sancire il cult. E chi se ne importa dei 12 anni appena di differenza tra lui e Harrison Ford. Henry Jones Sr., padre dell’eroe di Spielberg/Lucas e anche lui archeologo con zero voglia di pensione, è una spalla perfetta, e sorprendentemente comica. E, tra Venezia e la Giordania, il suo interprete si diverte a rifare quasi un tour alla 007. Per lui non è l’ultima crociata: Sean ha ancora molto da dare al cinema.
Un altro “bellissimo di Retequattro” (pardon) che è anche uno dei thriller più tradizionali e insieme più solidi degli anni ’90. E un titolo con cui Connery può confermare – ce ne fosse stato bisogno ulteriore – di essere ancora una volta uno dei nomi action più affidabili su piazza. Pure a 60 anni. Sottomarini nucleari, ritmo implacabile, cast “maschio” perfetto (da Alex Baldwin a Sam Neill). Intrattenimento puro: ma avercene.
Nel decennio in cui Connery sembra (auto)ironizzare di più sulla sua statura di action hero, ecco la prova finale: tra The Avengers (quell’altro) e Entrapment, è probabilmente The Rock il titolo che più di tutti esalta questo spirito da highlander. Ci divertiamo noi, si diverte lui. Che – nelle mani del già fracassone Michael Bay – non poteva che interpretare il personaggio dell’ex agente segreto. Ci inchiniamo, e basta.
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