Non c’è ‘I Roses’ senza spine | Rolling Stone Italia
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Non c’è ‘I Roses’ senza spine

Olivia Colman che tira insulti, battute affilatissime sull'amore e altri affini, due attori che mangiano lo schermo e un remake che 'aveva da fare, courtesy of Tony McNamara. Come farsi punzecchiare dal nuovo film di Jay Roach, al cinema dal 27 agosto

(da USA) Benedict Cumberbatch e Olivia Colman ne 'I Roses'

Benedict Cumberbatch e Olivia Colman ne 'I Roses'

Foto: Jaap Buitendijk/Searchlight Pictures

Mai sottovalutare il puro piacere di sentire Olivia Colman pronunciare la parolaccia con la “C” (cunt, traducibile come fighetta ma anche stronzetta, o come imprecazione generale). Sì, proprio quella parola. E se è universalmente riconosciuto che nel Regno Unito il termine abbia una connotazione molto più colloquiale e quasi affettuosa rispetto a quanto avvenga da queste parti, l’attrice britannica riesce a renderlo osceno come nessun altro. Quando lo dice sorridendo, l’epiteto sembra addirittura peggiore (non è la prima volta, va detto, che celebriamo la sua capacità di trasformare sostantivi offensivi in qualcosa di quasi rapsodico, e probabilmente non sarà nemmeno l’ultima). Colman pronuncia il gioiello della corona della blasfemia solo poche volte ne I Roses. Ma questa seconda trasposizione del romanzo del 1981 di Warren Adler, La guerra dei Roses — e, di riflesso, un remake-aggiornamento della feroce commedia del 1989 con Kathleen Turner e Michael Douglas — la vede lanciarne uno già nelle prime battute, come una sorta di irriverente amuse-bouche.

I Roses | Trailer Ufficiale | Searchlight Pictures

Incontriamo i Roses, Theo (Benedict Cumberbatch) e Ivy (Colman), nel bel mezzo di una seduta di terapia di coppia. Hanno ricevuto un compito: ognuno deve scrivere dieci cose che apprezza dell’altro. Theo butta lì che «preferirei vivere con lei piuttosto che con un lupo». Ivy ribatte con: «Ha le braccia» (aveva appena visto un documentario su un uomo senza braccia e la sua compagna sembrava piuttosto provata dalla cosa; almeno suo marito questo ce l’ha). Il botta e risposta spietato raggiunge il culmine con l’ultima scelta di Ivy per un “aspetto positivo” di Theo: semplicemente lo chiama, con un sorriso, usando la parolaccia con la “C”. La terapeuta sembra appena schiaffeggiata. Theo, invece? Scoppia in una risata fragorosa. Non potrebbe essere più orgoglioso della sua perfida consorte — e lei di lui.

Il fatto che l’ammirazione reciproca superstite sia alimentata dall’animosità reciproca viene introdotto subito, e il film non perde tempo a stabilire le regole d’ingaggio di quella che diventerà presto una guerra senza prigionieri tra i Roses. Tutto ciò che sta sopra la cintura è lecito, ma i punti raddoppiano quando i colpi finiscono sotto. Le stoccate verbali — tanto più efficaci quanto più eleganti e volgari — sono vivamente incoraggiate. Dai figli ai colleghi, fino ai malcapitati terapeuti, tutti sono ridotti al ruolo di spettatori. I danni collaterali dovrebbero restare al minimo, a meno che non si tratti di una cena: in quel caso, ogni limite salta. E, santo cielo, se si tenta una nuova versione di una commedia già intrisa di sadismo, bisogna mettere Cumberbatch e Colman nei ruoli principali. “Cattivi, britannici e con poca pietà” è esattamente la combinazione che un film di questo tipo richiede.

Non sono sempre stati così tossicamente interdipendenti, ovviamente. Un tempo, Theo e Ivy si erano incontrati in un modo da commedia romantica nel ristorante londinese dove lei lavorava come giovane chef promettente. Dopo che Ivy annuncia la decisione di trasferirsi in America per farsi strada nella scena culinaria — e Theo dichiara d’impulso che la seguirà — i due finiscono a fare sesso in una cella frigorifera, come spesso accade dopo scelte di vita epocali. Dieci anni più tardi, i Roses sono sposati, hanno due figli e vivono a Mendocino, in California. Lui è un architetto che ha ottenuto l’incarico prestigioso di progettare un museo marittimo. Lei prepara pasti straordinari per tre persone alla volta, covando solo un filo di amarezza per «un sogno che muore nella crudeltà della vita familiare». È solo una delle tante battute del film, gettate lì con disinvoltura e intrise di poesia corrosiva. Ne seguiranno decine e decine.

Dire che le ambizioni di Ivy siano state silenziosamente soffocate fino a ridursi a modestia non è del tutto esatto, perché significherebbe supporre che il suo desiderio di “sfondare” si possa ancora definire un’ambizione riconoscibile. Sembra felice semplicemente di rendere felici gli altri. Eppure Theo ha l’impressione che i talenti della moglie vengano sprecati per loro e solo per loro, così organizzano per lei la gestione di una pittoresca baracca di cucina sulla strada. Ivy coglie con entusiasmo l’occasione di servire granchi a qualche locale tre sere a settimana. Poi una tempesta improvvisa provoca un incidente che mette fine alla carriera di Theo come genio del design e dà il via a quella di Ivy come amata celebrity chef. Theo cresce i figli e trasforma la loro figlia Hattie (Hala Finley) e il figlio Roy (Wells Rappaport) in atleti di livello olimpico. Lui ribolle per il suo status di padre casalingo mentre lei sorseggia champagne sui jet privati con David Chang. Lei lo disprezza perché lui disprezza la sua nuova felicità, provando al tempo stesso senso di colpa per non essere presente con i figli. Ricordate la scena di amore e odio in La morte corre sul fiume? In questo caso, non conviene puntare sull’amore una volta che iniziano le urla.

(da USA) Kate McKinnon e Andy Samberg ne 'I Roses'

(da USA) Kate McKinnon e Andy Samberg ne ‘I Roses’. Foto: Jaap Buitendijk/Searchlight Pictures

Non mancano comprimari con un tempismo comico impeccabile a popolare i margini della vicenda: dalla coppia dello SNL Andy Samberg e Kate McKinnon nei panni dell’avvocato di Theo e di sua moglie (anche se la sua agente del caos ipersessualizzata sembra piombare da un film completamente diverso e assai più dissonante) a Jamie Demetriou e Zoë Chao, amici architetti della coppia, fino a Ncuti Gatwa di Doctor Who e Sunita Mani come dipendenti del ristorante di Ivy. Allison Janney compare in una sola scena come avvocata divorzista di Ivy e la trasforma subito in un piccolo gioiello, infilato con disinvoltura nella tasca del suo tailleur.

Il regista Jay Roach può essere considerato uno di quei mestieranti del cinema contemporaneo la cui cifra stilistica è proprio l’assenza di uno stile personale: sarebbe difficile trovare un filo conduttore tra il primo Austin Powers, la parabola sportiva Mystery, Alaska e i drammi tratti dalla cronaca Game Change e Bombshell, se non il suo nome nei titoli di coda. Ma Roach ama gli attori e ama offrire loro spazio, anche ai margini dell’azione. Ognuno, nel film, ottiene almeno qualche battuta fulminante da lanciare.

Chiunque abbia occhi e orecchie può però intuire che I Roses è, in sostanza, un affare a tre. I fanatici di Sherlock ricorderanno che l’interpretazione di Cumberbatch del più grande detective di Baker Street era punteggiata da lampi di humor nero, sublimati dietro a quelle deduzioni maniacali ed “elementari”. Qui quell’aspetto viene portato in primo piano, e sembra quasi che l’attore si diverta a non dover essere per forza serio, o Doctor Strange, per una volta. Più Theo si irrigidisce, più Benedict sembra sciogliersi, mettendo a frutto il suo talento per la comicità fisica. Quanto a Olivia Colman, non serve convincere nessuno: è uno dei motivi principali per cui vale ancora la pena guardare cinema e televisione oggi, e la sua capacità di intrecciare scintille di luce a dosi micidiali di veleno è pressoché senza pari. Il risultato è pura Advanced Screen Chemistry 108: assistere a questi due che si affrontano con tale ferocia e destrezza verbale è un piacere assoluto.

E questo ci porta alla vera star de I Roses. Il drammaturgo australiano Tony McNamara ha trasformato il suo “lavoretto” da sceneggiatore in una benedizione per Yorgos Lanthimos (Povere creature!, La Favorita), e chi ha visto The Great, la sua scorrettissima farsa storica per Hulu, conosce bene la sua passione per gli insulti stratificati e taglienti. È impossibile sottovalutare ciò che porta in dote qui. Qualsiasi obiezione sul fatto che non servisse una nuova rilettura della dark comedy firmata Douglas-Turner diventa sostanzialmente irrilevante nel momento in cui McNamara offre a Cumberbatch e Colman un arsenale di battute ferocemente blasfeme e affilate come rasoi. Nessun altro scrive con una simile arguzia velenosa. Che abbia ammorbidito il finale del romanzo e della versione del 1989 o, al contrario, reso tutto ancora più cupo è questione di opinione — ma la bilancia pende verso il “più cupo”. In ogni caso, la sua visione dell’amore come condanna a doversi sempre scusare — arricchita da variazioni vertiginose di imprecazioni e almeno un paio di C-word ben assestate — vi lascerà, senza dubbio, con spine piantate ovunque.

Da Rolling Stone US