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Il capitalismo delle relazioni è il vero protagonista di ‘Material Love’

Grazie a una Dakota Johnson in versione matchmaker, il sophomore movie di Celine Song si confronta con tutto quello che i soldi possono e non possono comprare
material love

Foto: Sony Pictures

«Uscire con qualcuno è un rischio», dichiara Lucy (Dakota Johnson). Per fortuna dei suoi clienti, lei è un’esperta nella gestione del rischio. A pagamento, questa moderna sensale ti trova l’anima gemella ideale — alto, minuta, uomo, donna, atletico, molto atletico, ricco, ricchissimo. Il suo appartamento è modesto, i suoi outfit chic ma mai appariscenti, lo stipendio non arriva alle sei cifre. Ma visto che ha appena concluso il suo nono matrimonio per conto di Adore, agenzia specializzata in connessioni amorose professionali, Lucy è chiaramente la fuoriclasse indiscussa dell’azienda. Che poi fare da Tinder umano ai cuori solitari dell’upper class sia, come dice uno dei pochi clienti insoddisfatti, una “truffa”, è del tutto irrilevante. Lucy sta solo rispondendo a un bisogno. «Quando [qualcuno] chiede un bicchierone d’acqua alto un metro e ottanta, con un conto in banca folle e una chioma folta», spiega alle colleghe, «tu consegni».

Benvenuti nel mondo di Material Love (titolo originale: The Materialists), la visione della scrittrice e regista Celine Song sul Romance Industrial Complex. Dopo essere passata dal teatro al cinema con Past Lives nel 2023, la candidata all’Oscar si è ritrovata all’improvviso a dover affrontare il seguito di uno dei debutti più impressionanti degli ultimi cinquant’anni. Invece di cercare di replicare gli sguardi teneri su strade mai percorse, Song ha scelto di lanciare un’occhiata laterale, tagliente, a chi trova un valore di mercato nelle questioni di cuore. Non è però una satira semi-moralista, quanto piuttosto uno sguardo scorri-a-destra sul gioco del matchmaking; avendo lavorato brevemente in un’agenzia simile nei suoi primi anni a New York, non è interessata a giudicare. Sta semplicemente offrendo un’occhiata dietro le quinte. Cosa vogliono davvero le persone in un partner di vita? E come cambia l’idea di intimità quando la ricerca dell’amore si riduce a una transazione?

Per Lucy, l’idea di trovare il coperchio perfetto per ogni pentola non ha nulla di personale. È puro business, e ogni persona che vede camminare per strada o appoggiata al bancone di un matrimonio è semplicemente un potenziale cliente. È così che conosce Harry (Pedro Pascal, in versione divo da matinée). Suo fratello si sta sposando, grazie alle abilità di matchmaker di Lucy. Harry è una versione più raffinata e di buon gusto del classico finanziare di Wall Street; aggiungi il fatto che è anche bello e single, ed ecco che agli occhi di Lucy diventa un “unicorno” di prima categoria. Lei lo vede come un futuro caso di successo per il servizio. Lui vuole uscire con lei. Lucy è abbastanza intrigata da restare per un drink — «una birra e una Coca». Appena pronunciate le parole, birra e Coca le vengono servite davanti. Siamo portati a pensare che Harry sia un principe azzurro in grado di esaudire desideri al volo.

Solo che non è lui ad anticipare le strane esigenze da bevuta di Lucy. L’onore spetta a John (Chris Evans), cameriere al catering del ricevimento. È anche l’ex di Lucy, dai tempi in cui entrambi tentavano la carriera d’attore. John rincorre ancora il sogno, facendo ogni tanto teatro Off-Off-Broadway, vivendo in un appartamento bohémien a pigione bloccata e tirando avanti con lavoretti da gig economy. Lei, ovviamente, è andata oltre. Nessuno dei due ha dimenticato le vecchie discussioni sui soldi. Ma si capisce che si mancano. È altrettanto evidente che tra Lucy e Harry stia nascendo qualcosa di autentico. Presto ci ritroviamo con un classico triangolo amoroso, come quelli di una volta.

In superficie, Material Love assomiglia a quei film che un tempo erano parte fondamentale di una dieta cinematografica equilibrata (qualcuno li chiamava “rom-com”), anche se sembra prepararsi a scorticare il genere. Le commedie romantiche, in fondo, hanno plasmato per generazioni l’idea che un incontro carino porti sempre al lieto fine, con il matrimonio come Santo Graal in attesa dei vincitori. Per Lucy, è anche il traguardo finale — ma per motivi completamente diversi. Lei vende il vero amore, quello a lungo termine che ti regala “compagni da casa di riposo” e “amici di tomba”, usando statistiche e calcoli. I partner si valutano in base ad altezza ideale, attrattiva e stato finanziario. Un’operazione chirurgica che può aggiungere quindici centimetri d’altezza “può raddoppiare il valore di un uomo”.

Nella scena migliore del film, Lucy e Harry siedono uno di fronte all’altro in un ristorante elegante, negoziando il passaggio a qualcosa di più serio. A lui piacciono i suoi “beni immateriali” e il fatto che lei capisca come funziona il mondo. A lei piace il modo in cui lui paga il conto con nonchalance. Facciamo un affare. Abbiamo visto film in cui il linguaggio degli affari si trasforma in doppi sensi sexy. Questo potrebbe essere il primo in cui l’attrazione reciproca viene mercificata con il linguaggio freddo e duro del business.

È una delle tante sequenze memorabili che ricordano come il passato da drammaturga di Song abbia rafforzato il suo presente da regista, e come la sua capacità di scrivere dialoghi creativamente brillanti ma al servizio dei personaggi sia una componente chiave del suo lavoro. Con Lucy, inoltre, ha regalato a Johnson un ruolo che valorizza i suoi punti di forza. E anche i suoi limiti: l’attrice è stata spesso criticata per certe battute recitate con una piattezza che rischia di risultare spenta. Alcuni registi, in particolare Luca Guadagnino e Maggie Gyllenhaal, hanno saputo usare quelle cadenze apatiche e svogliate a proprio vantaggio. Così ha fatto Song. C’è quasi un livello incorporato di ironia e disincanto nel modo in cui Lucy parla d’amore, e Johnson le regala un cinismo che però non sfocia mai nel caustico o nell’eccessivamente amaro. Non è che Lucy non creda nell’amore. È che, semplicemente e letteralmente, non può permetterselo. Lucy è una ragazza materiale, che vive in un mondo materiale. Chi ha tempo per le fiabe romantiche, quando si affrontano le realtà di una recessione e bisogna pagare l’affitto?

Dakota Johnson e Chris Evans in ‘Material Love’. Foto: A24

Aggiungi il mix di senso di grandeur, galanteria e pragmatismo di Pascal accanto a un’interpretazione trattenuta e concreta di Johnson, e Material Love funziona a pieno regime — una visione davvero unica dell’economia di due cuori che battono come un unico conto in banca. Forse è per questo che, quando la dinamica tra i due passa in secondo piano e il focus torna su Lucy e John, cioè il povero ma onesto “ex che è scappato”, il film comincia a vacillare. L’ultimo atto, che si regge sull’autodisprezzo di Lucy, sulla decenza innata di John e su una sottotrama che coinvolge una cliente (Zoë Winters di Succession) il cui appuntamento da sogno si trasforma in incubo, sembra fuori tempo rispetto a ciò che lo precede. Molti film si basano su un’equazione che bilancia la disillusione con una speranza conquistata a caro prezzo, ma per citare una delle frasi preferite di Lucy, qui i conti non tornano. «Sto cercando di sistemarmi!», esclama uno dei suoi clienti di lunga data all’inizio, e quasi sembra che il film faccia proprio quel motto.

Eppure c’è così tanto da amare — da amare davvero, da partner da casa di riposo, da amico di tomba — in Material Love, che forse è proprio per questo che l’improvvisa virata finale verso l’ottimismo suona come un piccolo tradimento. Song riesce a trasformare un criptico prologo con uomini delle caverne innamorati nel preludio a un climax sublime, e coglie alla perfezione l’inferno di una vita artistica trentenne fatta di appartamenti fatiscenti e coinquilini stronzoidi. Una serie di montaggi con persone che snocciolano i loro standard impossibili per l’anima gemella, incluso un 47enne stufo di uscire con ventunenni che chiede qualcuno di più grande, più sveglio, più saggio — «più vicino, che so, ai 27, 28… i 29 iniziano a essere troppi» — funzionano anche come brillanti lezioni di antropologia.

Dopo averci regalato una visione ebbra di dilemmi romantici con il suo capolavoro d’esordio, Song offre ora uno sguardo più pragmatico, da post-sbornia, su come il bisogno umano di relazioni diventi un lusso su misura. La quantità di colpi di scena e il puro talento messi in campo per raccontare l’incrocio tra coup de coeur e capitalismo bastano ancora a far perdere la testa.

Da Rolling Stone US

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