Che fatica essere un Dio! O quanto meno interpretarlo, come succede ormai da quasi quindici anni a Chris Hemsworth, statuario attore australiano che grazie all’abilità nell’impugnare il Mjölnir, ovvero il martello di Thor, ha cambiato il corso di una carriera che non sarebbe stata, probabilmente, altrettanto semplice. Al contrario, oggi è una delle grandi superstar mondiali, con ancora un capitolo degli Avengers da interpretare, un terzo film del franchise Netflix Extraction in produzione e una vita felice con la sua bella moglie, l’attrice spagnola Elsa Pataky, e i loro tre figli.
Eppure, anche gli dei hanno le loro preoccupazioni. Quella di Chris è invecchiare, o meglio, invecchiare male, con corpo e testa che non rispondono più ai comandi, con le relative difficoltà a godersi i figli cresciuti ed eventuali nipoti. Una preoccupazione accentuata dal fatto che gli è stata diagnosticata una condizione genetica per cui ha una possibilità maggiore di dieci volte rispetto alla media di avere l’Alzheimer. Per questa ragione il Dio del Tuono ha voluto intraprendere un viaggio che lo ha portato alle soglie dell’umana sopportazione per frenare questo processo, puntando ad avere mens sana in corpore sano il più a lungo possibile.
Il 15 agosto arriva su Disney+ la seconda parte di questo percorso, tre nuove puntate di Limitless, serie documentaria prodotta da Darren Aronofsky che vede Chris cimentarsi in imprese che probabilmente ammazzerebbero un uomo normale. Lui no, e se da una parte quello a cui si sottopone, come sofferenza fisica e psicologica, sembra non avere alcun senso, dall’altra mette lo spettatore di fronte a informazioni estremamente interessanti e a quesiti esistenziali non banali. Un’esperienza che lo ha arricchito umanamente, ben più di quanto lo abbia fatto materialmente essere un supereroe per finta. Almeno questo è quanto ha voluto condividere con il pubblico londinese all’anteprima della seconda stagione di Limitless, presentata come un blockbuster all’Odeon di Leicester Square, il tempio dei red carpet della capitale britannica.
«La prima stagione di Limitless mi ha quasi ucciso, emotivamente e fisicamente, e non so se fosse un obiettivo intenzionale o meno degli autori e dei produttori. Ma dopo l’uscita della serie, parlando con altre persone, con gli amici dei miei figli e i loro genitori o i loro nonni, e poi con feedback da ogni parte del mondo, ho capito che quello che aveva davvero funzionato era stato il senso di realizzazione e di conoscenza di un nuovo percorso da intraprendere trovando la migliore versione di sé stessi. Quando abbiamo pensato a una seconda stagione, abbiamo riflettuto in quale direzione andare e quali nuove scoperte scientifiche approfondire. Nella prima stagione mi sono buttato, con pochissima conoscenza di ciò che stavo facendo. Era più un’esperienza giornalistica e avevo una certa autonomia nella produzione e nella creazione del dove andare a parare a seconda della mia curiosità nella scienza e alle cose che volevo approfondire».
Nella seconda stagione il discorso si sposta dal corpo alla mente, una diversa tipologia di cura del benessere che Chris affronta attraverso tre prove molto diverse tra loro, ma a loro modo egualmente pericolose, dal suonare la batteria di fronte 70.000 persone a un concerto di Ed Sheeran, imparando a suonare nell’arco di appena otto settimane, alla gestione del dolore e della sofferenza, passando dalla lezione dei monaci tibetani agli allenamenti estremi delle forze speciali sud-coreane.
La domanda che sorge spontanea è: voi lo fareste? Il grande punto di forza di Limitless è questo: alla fine sì, magari non a questi livelli, ma dato che la base scientifica c’è ed è provato che non mangiare per un consistente numero di ore consecutivo, il fasting, faccia bene all’organismo, perché non provare. Così come farsi una doccia gelata ogni tanto è estremamente salutare, così come, se si ha la possibilità, passare quindici minuti in sauna a espellere tossine. Non c’è bisogno di attraversare un fiordo a nuoto in novembre o scalare una parete di 800 metri. Ognuno può imporsi dei piccoli limiti da raggiungere e provare a battere dei primati personali. Il fatto che l’esempio sia un tizio che sembra fatto con Photoshop ogni volta che si toglie la maglietta, ovviamente, ci fa sembrare queste imprese fattibili per lui e insormontabili per noi, ma è anche vero che vedere Thor genuinamente soffrire offre allo spettatore una sadica soddisfazione che aiuta ad alzarsi dal divano per andare a farsi una corsa, invece che per raggiungere il frigorifero in cerca di una coscetta di pollo della sera prima.
Va dato merito a Chris Hemsworth di essersi messo in gioco in un momento in cui poteva fare praticamente qualunque cosa, anche niente, e invece ha scelto di fare una cosa che è di solito quanto concesso a quegli attori che hanno già passato la fase spalla di bambini e di cani (intesi come animali, non colleghi dal poco talento, quella è la fase immediatamente precedente ai bambini) e che quindi sono all’ultima spiaggia: documentari e/o reality show. Limitless è una crasi tra queste due forme di intrattenimento, e francamente il rischio maggiore per Hemsworth era passare per un fenomeno da baraccone dall’ego smisurato. Ma per quanto ci siano forzature e dei compromessi dettati dall’indubbio desiderio di fare spettacolo, c’è anche una sincera tensione verso la scienza e l’autocoscienza.
E alla fine questo ragazzone lo guardi in maniera diversa, uno che verrà ricordato per avere indossato un ridicolo costume per quindici anni, ma che in carriera ha fatto le sue cose migliori in veste di vero figlio di puttana, come in Bad Times a El Royale, film che soffre di un’inutile lungaggine ma che merita una revisione, soprattutto grazie all’interpretazione di Hemsworth. E poi in Furiosa, il suo Dementus è un personaggio che resta nella memoria. Per non parlare del guascone James Hunt di Rush e all’ottima prova che gli ha tirato fuori Michael Mann in Blackhat, opera quasi sperimentale passata inosservata praticamente ovunque.
Il prossimo passo della vita senza limiti di Chris Hemsworth, 42 anni appena compiuti, sarà quello di salutare Thor una volta per sempre e finalmente diventare grande, scendendo da Asgard per camminare tra noi umani. E diventarlo, al cinema, anche lui. Dopo tutta questa fatica, se lo merita.













