Nel 2019, Amazon aveva messo le “manette d’oro” a Phoebe Waller-Bridge. La creatrice di Fleabag aveva firmato un deal (quasi) monstre da 100 milioni di dollari, 20 all’anno per 5 anni, per produrre idee creative per la piattaforma. Non ci sono stati fiocchi, né blu né rosa. Tranne Octopus!, un documentario sui polpi in due puntate.
È uscito quest’anno piuttosto in sordina, e il modo più facile per scoprirlo è ancora, mirabile dictu, lo zapping sulla piattaforma di Prime Video. Potrebbe attrarre il polpo in copertina, oppure il nome ben visibile di Waller-Bridge. Poi magari non mettete bene a fuoco se l’ha creata, l’ha scritta, l’ha diretta (chissà!), quella cosa lì, però ne avete intuito il coinvolgimento. Detto, fatto. Il tasto play è premuto.
Come l’animale eponimo, Octopus! è abbastanza intelligente da capitalizzare su quello che ha, e di, pardon, costruire un abile all-in. Una premessa incontrovertibile (tutti amano i polpi, affermazione esemplificata da alcuni momenti-cardine della cultura pop recente), un mix di animazione (divertente) e interviste, la presenza bizzarramente ossessiva di Tracy Morgan, Chief Octopus Officer di qualsiasi posto nel mondo suppergiù. E poi la voce narrante, naturalmente.
Non solo: Waller-Bridge ha prodotto il documentario attraverso la sua casa di produzione Wells Street Films. Nei crediti di produzione figura anche la Jigsaw Productions di Alex Gibney, giusto un nome tra tanti nel documentario. Le premesse, insomma, non mancavano. E in effetti Octopus! è una visione appagante: non che non si sia mai studiato nulla sui polpi, non che l’idea sia nuova. Vince sulla simpatia e sulla capacità di ficcarci in testa alcune nozioni naturalistiche con una certa vis (comica).
La quale non manca, vuoi per Waller-Bridge, vuoi per l’escamotage narrativo del seguire un immaginario esemplare di Polpo Gigante del Pacifico durante tutto il suo ciclo di vita. Per inciso, si tratta di un animale che vive dai tre ai cinque anni allo stato brado e che può arrivare a pesare anche una settantina di chili. Senza contare tutte quelle storie di chi si è innamorato o, al converso, si è sentito minacciato a morte da uno di loro.
Se da un lato, insomma, Octopus! è la prova confortante che la scoperta sincera, pur con un sicuro grado di algoritmica certezza, è ancora possibile sulle piattaforme; dall’altro l’operazione lascia perplessi, a livello produttivo per Amazon (tampone di un deal andato maluccio?), a livello artistico e personale per Waller-Bridge. Intendiamoci: il prodotto è figo. E rendere figo un documentario sui polpi, comunque, non è affare da tutti i giorni. Eppure, la promessa di portato culturale insita nell’introduzione dello show viene quasi immediatamente disattesa. Non siamo la società che ama i polpi perché… o meglio, lo siamo pure. Ma solo perché i polpi, insomma, guardateli un po’: sono fantastici!
Vi prego, datemi una ventina di Octopus! al posto di cinque documentari su Discovery Channel, ruggiti di leoni e vibrazioni di savana in sottofondo. Il dubbio però serpeggia: ma davvero-davvero questo talento di scrittura si accontenta di lavorare a un documentario così? Davvero PWB è soddisfatta di comparire come voce narrante e fine dei giochi, in una modalità che riporta subito alle favole al telefono di quando ci rimboccavano le coperte?
Magari la risposta è sì, buon tutto, buon mondo. Magari la risposta è che alcune persone pensano una volta al giorno all’Impero Romano, altre ai polpi. Dovessimo scegliere, saprei già in quale campo collocarmi. Phoebe: ho una serie di idiosincrasie zoologiche del tutto particolari. Hit me up, te ne prego.