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The Sanremo Dispatch, giorno 5: Vedere la finale di Sanremo in un ristorante di Sanremo

Il tavolo Geolier e quelli che chiedono di abbassare il volume (ma poi origliano). E poi verso casa per il podio, nella notte in cui si capisce che c’è a rischio l’unità nazionale. Cronaca dell’ultima serata in Riviera

Il tavolo alle mie spalle, mamme con figlie ragazzine, tifa Alfa. Ma anche Angelina Mango va bene. È il primo turno, «siamo venute presto così vediamo la finale a casa». Saranno rimpiazzate da un gruppo di fan, tutte donne anche loro, modalità un po’ addio al celibato, di RengaNek, che sembra un mantra tibetano. Hanno la maglietta con stampato dietro il nome dei due, davanti il titolo della canzone: Pazzo di te. Sanno che arriveranno bassi in classifica, ma va bene così.

Il tavolo a sinistra ci chiede di abbassare il volume del televisore, ma passa la prima ora di Festival ad allungare l’orecchio, «ma avevate detto di non alzare!», sbuffiamo noi, «ma no, scherzavamo», e non è vero che scherzavano, è che poi si sono accorte che era più importante sentire Il Tre che chiacchierare (di cos’altro, poi?) davanti a una frittura di calamari. Il Tre, per una settimana, è stato più importante di tutto il resto, e con lui tutti gli altri.

La titolare, una signora francese di quelle belle anche perché hanno gli occhi un po’ tristi, vota Ghali e Mahmood, «mi riuscireste a far avere un suo autografo?», dice mentre ci allunga le alici fritte. Ma anche Angelina Mango va bene. L’importante è che non vinca Geolier, lo detesta, e sembrano detestarlo tutti qui in Riviera, dopo la serata delle cover scippata ad Angelina, o almeno questo è il sentiment (scusate) collettivo.

Siamo alla seconda (terza?) bottiglia di pigato quando cantano Angelina e Geolier, in fila, da lì si stabilirà che Paese siamo, di Maria De Filippi o di Napoli, dei nepo baby (almeno a Sanremo però vale ancora “figli di”, fantasmi di Ariston passati) o di chi viene dalla shtrada. Angelina strappa l’applauso anche delle mantriche (renganek… renganek…), e pure le altre che ormai hanno ceduto al volume a 87 approvano l’esibizione con caduta che, si vedrà poi, porta bene.

Cambio palco, arriva Geolier e dal tavolo in fondo, finora silente, si alzano in massa. Come abbiamo fatto a non vederli prima. Strass e pellicce (vere) le donne, uomini in gessato, sono vestiti da Ariston chissà perché, sanno la canzone a memoria, sta nott e sul ra nostr, si vuo truann a lun a vac a piglia a ta port, e pur si o facess tu nun fuss cuntent… e ci tirano dentro l’applauso finale, «votate, eh… mi raccomando». Allora è fatta, vince Geolier.

Intanto dagli amici in sala stampa arrivano racconti di sistemoni (che però verranno in parte smentiti, o del tutto disattesi) per concentrare tutto su Angelina e Annalisa, altrimenti crollerà quella narrazione (narrativa? come si dice oggi?) del Sanremo “al femminile”, come scrivono i giornali, dopo dieci anni di #tuttimaschi. Uno di noi corre all’Ariston, Sanremo è il posto in cui tutti si sentono cronisti d’assalto, il mio branzino per un titolo, o anche solo per far vedere che si era lì quando si stava scrivendo la Storia.

Di colpo sembra aprirsi uno scenario governo cinquestelle (Geolier) vs. governo tecnico (Mango), e pare brutto, «questo è il Sanremo di Angelina», e lo pensiamo anche noi, è la più brava di tutti qui dentro, ma anche lui è bravo, perché farlo passare per il cattivo di questa narrazione (narrativa?) che sembra riesumare leggende passate. Pupo sostiene che, illo tempore, si mosse addirittura il Quirinale, per non far vincere lui e il principe. Stanotte avranno svegliato Mattarella alle due per un intervento? Dopotutto lunedì c’è Mameli su Rai 1 (non so se l’avete capito), dobbiamo tenere salda l’unità nazionale.

Quarta bottiglia di pigato, non molliamo il posto in prima fila ancora per un po’, mentre il gruppo dei napoletani si avvia verso festeggiamenti che saranno abortiti e il tavolo di quelle del volume basso si alza per cantare Tananai.

È mezzanotte passata, torniamo a casa per il podio che sarà il più sofferto dai tempi di Soldi (clap clap), le strade di Sanremo sono deserte tipo lockdown, teniamo la diretta accesa e quei quattro gatti che incrociamo ballano con noi su un ragazzo incontra una ragazza, le labbra sulle labbra, poi che succederà, e cosa succederà davvero non si sa.

All’orizzonte la Costa Smeralda ci dà dentro con le frasi matte, speriamo che il copy avrà un bonus a fine anno. Ci saluta dal nostro terrazzino la scritta coi neon delle cabine «no Maria io salpo», che in qualche modo profetizza l’imminente vittoria di Angelina. Succede ed è giusto così, e la serata dovrebbe finire qui perché son quasi le tre e abbiamo il treno alle nove e mezza, «ma io lo anticipo alle cinque, faccio il dritto e dormo a Milano», decide un amico, e per un attimo l’idea solletica anche noi, ma siamo troppo vecchi, come si fa.

Non troppo vecchi per un ultimo gin tonic all’ultima festa. Per strada un noto influencer (qualunque cosa significhi) finge di non voler essere riconosciuto proprio per farsi riconoscere e regalare gli ultimi selfie alle ragazze che aspettano stelle e stelline fuori dal Casinò che brilla anche lui. E con le mani, con le mani, con le mani, ciao ciao, suonano all’after party degli Oscar che ci possiamo permettere, ma no Sanremo è anche più grande degli Oscar. Arriva qualcuno dei cantanti in gara, «sei stato bravissimo», e chissà se domani lo penseremo ancora.

«Andiamo così dormiamo almeno tre ore», e di colpo è mattina, il trolley gratta sulla nostra Walk of Fame, «avranno già messo la targa di Angelina?», no ma c’è Il Volo col loro Grande amore, è grande è l’amore come queste settimane sempre difficili e bellissime per tutti, è finita, e anche la nave è salpata davvero.

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