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Sanremo diventa Milano: operazione avviata, vai con la week

Il Festival di quest’anno è stato forse il più milanese di sempre. Chiara Ferragni e la nuova ondata indie, il Gay Pride e la fashion week, gli influencer e gli imbruttiti. E c’è addirittura chi Sanremo vuole portarcelo, a Milano

Foto: Daniele Venturelli/Getty Images

Dunque, ricapitolando, è stato il Sanremo delle rose (Blanco) e di Rosa (Chemical), che grida “viva il sesso!” pensando di scuotere chissà chi e come. Ma è stato anche, soprattutto, il Sanremo di Milano. La capitale morale (scusate) diventa capitale corale, nel senso musicale del termine. La discografia è tutta o quasi milanese da sempre, certo, ma mai l’Ariston lo era stato così tanto, nella sua narrazione (scusate ancora). Del resto, Sanremo ventiventitré (cit. Amadeus) è cominciato con Chiara Ferragni che, scesi i gradini all’Ariston, dice “mi sono esercitata moltissimo sulle scale del mio condominio”; condominio che, lo sanno tutti, è uno dei palazzi da ricchi di CityLife. Giusto per posizionarsi, come si dice a Milano, fin dal principio.

Pensiamoci liberi ma soprattutto, sembra dirci questo Sanremo, pensiamoci milanesi, influencer (che, infatti, quest’anno più che mai si son presi la Riviera), e in fondo anche imbruttiti. Noi milanesi iniziamo a soffrire moltissimo questa Milano che ci è sfuggita di mano, abbiamo passato il pre e post Expo a raccontarci che era il posto più bello del mondo, poveri cretini, e ora ci accorgiamo che così non è, siamo qui per lavorare e basta, forse per non stare con nessuno – continuando a dirci che preferiamo il rumore delle metro affollate (ora c’è anche la linea blu!) a quello del mare.

Ma il rebound sui luoghi e i laghi televisivi si avverte sempre un po’ dopo, perciò ecco che ci appare evidente soltanto oggi quest’Ariston definitivamente milanesizzato, questo Sanremo Radio Deejay. È milanese adottato ormai da decenni Amadeus (no: Ama, alla milanese appunto), e pure gran parte della nuova scena trap-rap-Gen Z, forse perché Milano è l’unico posto in questo disgraziato Paese che continua ad attirare gente giovane (gente giovane che non può più permettersela, ma tant’è). Certo, direte voi, ha vinto il Lazio, ma anche Mengoni è espressione più milanese che romana, è X Factor, è il leather Versace, è la queerness mai esibita ma mostrata come semplice dato di fatto: a Milano mica dobbiamo leccare stivali di pelle, per dire che siamo (o quantomeno ci pensiamo) liberi.

E ovviamente, sono milanesi Chiara Ferragni – che dice “raga” ai suoi co-conduttori, essendo stata ieri lei la conduttrice vera – e famiglia, vero segno di questo Sanremo. È milanese, o milanese adottiva, la sua crew (scusate), e il marito Fedez che strappa foto di viceministri che stanno a Roma, e tutta la famiglia spalmata nelle prime file ieri sera, quasi più folta della solita schiera di dirigenti Rai e Mare Venier. Una presa della Bastiglia in piena regola. È il Sanremo dei sentimenti mai gridati, Chiara che (forse) fa il cazziatone a Fedez durante un fuorionda per il limone con Chemical, i Coma Cose che dicono “ci sposiamo” buttandolo lì, non siamo mica dentro un reality a Cinecittà – al massimo, in una diretta Instagram. (Il meme più bello è difatti quello in cui Ferragni e Coma Cose si salutano sul palco la prima sera. For milanesi only.)

È la nuova Milano-Sanremo, il Sanremo di Rozzano e dell’Ortica (Tananai), dell’hip-hop anni ’90 di chi ora però ha “la family” (Articolo 31), del Gay Pride (Paola & Chiara), del rock un po’ da Navigli che, sigh, non esiste più (Grignani), delle imprenditrici donne che fatturano. È, soprattutto, un Sanremo milanese perché sempre più branded, e non tanto perché si sono moltiplicate le marchette tra navi e divani, ma per l’approccio al Festival stesso come marchio, anche social, oggi tornato figo. Da qualche anno è Ariston Fashion Week, e del resto quella del Festival è una delle prime week inventate, siamo noi lumbard ad essere arrivati dopo.

Un Sanremo così milanese, nel bene e nel male (o è il bene nel male?), che, qualche giorno fa, ha preso a girar voce che vogliono portare il Festival di Sanremo fuori da Sanremo, lo vogliono fare proprio a Milano, del resto la discografia è, si diceva, tutta lì. Però è andata male con l’anti-Salone del Libro, potrà andar bene con le canzonette? Il Festival di Sanremo, con Amadeus, è già diventato un po’ il MiAmi, cioè il festival milanese degli artisti indie, e questo basta. Sanremo resterà a Sanremo, com’è giusto che sia, e ogni anno in conferenza stampa si lamenteranno del fatto che c’è sempre più gente e sempre meno posti dove metterla, e diranno che il cantante ribelle (vabbè) di turno deve risarcire la città con un giardino di fiori (champagne problems, o forse focaccia problems), e il sindaco dichiarerà che è stufo di ricevere le richieste di tutti i giornalisti – Beppe Sala avrebbe mai tutto ’sto tempo per dar retta agli inviati di Radio Potenza Centrale che vogliono sapere a che ora sono le prove sul palco in piazza?

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