Maurizio Costanzo, l’anima della ‘tv totale’ in cui tutto era possibile e tutto succedeva davvero | Rolling Stone Italia
UNA TELEVISIONE COI BAFFI

Maurizio Costanzo, l’anima della ‘tv totale’ in cui tutto era possibile e tutto succedeva davvero

Con il 'Maurizio Costanzo Show' ha raccontato gli italiani (artisti e freaks), con 'Buona domenica' li ha intrattenuti. È stato anche paroliere, sceneggiatore, talent scout: la sua scomparsa chiude una pagina importante della televisione italiana

Maurizio Costanzo, l’anima della ‘tv totale’ in cui tutto era possibile e tutto succedeva davvero

Maurizio Costanzo nel 1999

Foto: Franco Origlia/Getty Images

Maurizio Costanzo è un nome che ai ventenni impegnati a saltare da una diretta su switch a uno scrolling di TikTok rievocherà al massimo una sbiadita traccia mnestica, quando da bambini che non volevano dormire dal letto sgattaiolavano fino al salotto dove trovavano sistematicamente i genitori sul divano davanti alla tv, a guardare un signore coi baffi seduto su uno sgabello che faceva parlare l’umanità più disparata.

Ma chi è un po’ più anziano oggi piange la perdita di un gigante della comunicazione, spina dorsale dell’intrattenimento italiano per quasi un secolo. In queste ore si sprecano gli aggettivi per definire e immortalare uno dei padri fondatori della moderna televisione: il maestro, il faro, il punto di riferimento, il grande vecchio. Il ruolo strutturale di Costanzo nella definizione della tv italiana è innegabile e incontestabile. Con lui se ne va per sempre, non rimpiazzato da nessuno (cosa peraltro abbastanza impossibile), un polimate in grado di raccontare in modo esemplare tutte le sfaccettature della nostra società grazie alla sua mostruosa abilità di essere trasversale, universale. Tutta l’Italia oggi piange Costanzo perché Costanzo era di tutti.

Esordisce come giovanissimo giornalista non pagato di Paese sera e da lì inizia una carriera fulminante e inarrestabile che attraversa con disinvoltura tutti i campi del comunicare: conduce trasmissioni radiofoniche e televisive, è autore assieme a Ghigo de Chiara di Se telefonando, immortale successo di Mina su musica di Ennio Morricone, è tra gli autori della sceneggiatura della Casa dalle finestre che ridono, horror cult di Pupi Avati ambientato nella sonnacchiosa bassa padana e successivamente del celeberrimo Una giornata particolare di Ettore Scola, dirige riviste, quotidiani, ed è un abilissimo talent scout: non basterebbero tutte le pagine dell’Annuario Statistico Italiano 2022 a contenere l’elenco di personaggi da lui scoperti, quindi mi limiterò a citare il mio preferito, Paolo Villaggio: impiegato dell’Italsider di Genova con l’hobby del cabaret, nel 1968 viene scovato da Costanzo che allora lavora come autore del varietà Quelli della domenica in Rai e con lui lavora alla creazione del personaggio di Giandomenico Fracchia. Basterebbe questo.

La vera fama universale e imperitura si deve però alla sua creatura più longeva, il Maurizio Costanzo Show, behemoth della televisione italiana che in quarant’anni ha scandito meglio di qualunque altra cosa gli usi e i costumi del nostro Paese, anche solo per la quantità di ospiti (si parla di 55mila complessivi). Sul palco del leggendario (grazie a Costanzo) “Teatro Parioli in Roma” il giornalista ospita personaggi tra i più disparati e apparentemente antitetici: cantanti, attori, politici, icone internazionali ma anche gente comune, casi umani, freak di varia natura, generando un flusso che abbatte sistematicamente i target, le fasce anagrafiche, i livelli di istruzione, di ceto sociale, e dando origine a una sorta di “tv totale”, apparentemente democratica, in cui tutto è possibile e tutto succede davvero. La sua conduzione è per sottrazione (caratteristica che lo accomuna alla sua quarta e ultima moglie, l’amata Maria de Filippi, anche lei stella polare del medium televisivo): Costanzo si appollaia col suo sgabello vicino a un ospite e inizia a farlo parlare, punteggiando di tanto in tanto la sua esposizione con i suoi caratteristici sguardi (che diventeranno uno dei suoi trademark assoluti) salvo poi intervenire in modo breve e fulmineo per riportare la narrazione nei binari da lui stabiliti. La sua curiosità è onnivora e assoluta e non conosce generi o distinzioni: ricordo notti incollato al mio piccolo Sony Black Trinitron a pensare che scrivendo una lettera (le mail ancora non esistevano) forse sarei potuto andare ospite anche io. Invece gli scrisse un giovane 17enne monzese che sarebbe diventato Morgan all’indomani della sua personale enorme tragedia, il suicidio del padre: Costanzo gli telefona e lo invita in trasmissione, ma lui non ci va.

Senza internet, senza i canali satellitari, vedere interviste vere e non stereotipate era possibile solo al Maurizio Costanzo Show: quella a Franco Battiato nel 1996 all’indomani dell’uscita della Cura, in cui il catanese cinquantenne racconta con una disarmante e immediata profondità il suo disco davanti a un giovane e basito Valerio Mastandrea (un’altra delle scoperte di Costanzo); quella, incredibile, a Robin Williams; fino al giustamente leggendario Uno contro tutti in due episodi a un titanico Carmelo Bene, che conobbi lì per la prima volta (nella mia famiglia piccolo borghese nessuno si era mai nemmeno lontanamente interessato al teatro classico, figuriamoci a quello di Bene); ma anche episodi più recenti e gustosamente trash, come la violentissima e assurda lite Sgarbi-Mughini con Bonolis sullo sfondo che fatica a trattenere le risa. Perché la tv di Costanzo era anche questo, nella sua infaticabile voglia di raccontare tutto: trash, brutta e volgare come il primo giorno di saldi in un centro commerciale soffocato tra le tangenziali e i raccordi. Quando dai spazio ad ogni rappresentazione possibile della vita, il brutto non è che lo puoi escludere.

E mentre la sua anima più indagatrice di giornalista viveva nel MCS, era a Buona domenica, varietà domenicale del Biscione nato nel 1985 con lo specifico scopo di erodere il palinsesto domenicale della Rai con Domenica In, che Costanzo dava sfogo alle proprie pulsioni da entertainer (spesso all’amato sassofono) e sopraffino “cazzeggiatore”, coadiuvato da una vasta pletora di allora giovani artisti come Fiorello, Massimo Lopez, Pino Insegno, Platinette, Luca Laurenti prima e poi, con il boom dell’era dei reality, i vari inquilini della casa del Grande Fratello.

Costanzo rese anche possibile quello che prima di lui nel nostro Paese sembrava impossibile: una maratona Rai-Fininvest nel 1991, con ospite l’amico Giovanni Falcone in cui univa sacrilegamente la tv di Stato e la sua nemesi commerciale in una staffetta contro la mafia. Leggendaria la sequenza in cui un esagitato Totò Cuffaro (futuro presidente della Regione Sicilia) sbraita al microfono di Santoro (con cui Costanzo si divideva la diretta) parlando genericamente di “giornalismo mafioso”.

Lo incontrai una sola volta, ospite a Chiambretti Night: è il 2009 e il suo contratto con Mediaset è in scadenza. Di lì a poco tornerà in Rai, dopo millenni. Per quella puntata confezionammo una serie di contributi video che ne raccontassero l’incredibile carriera, compresa l’ospitata di Costanzo da David Letterman nel 1984. Dopo l’intervista, il fanboy che è in me, memore delle migliaia di ore macinate a guardare puntate del Costanzo Show, decide di entrare nel suo camerino e stringergli la mano. Ma appena apro la porta e mi trovo davanti quello sguardo sornione con un accenno di sorriso sotto gli onnipresenti baffi riesco solo a dire “mi scusi, ho sbagliato stanza”, mentre in testa riecheggia il claim delle camicie Dinoerre Collofit (di cui lui fu indimenticabile testimonial). Un babbo.

Grazie di tutto, Maurizio. Consigli per gli acquisti.

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