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Confessioni di una insider in poltrona: sopravvivere al “neverending festival” da casa

Sanremo 2020 visto per una volta in tv, senza pass ‘all areas’: due etti di tette, una spolverata di polemica, 72 ore di Ricchi e Poveri e la voce di Diodato che stimola la neocorteccia

Foto: Daniele Venturelli/Getty Images

“Felici gli amati e gli amanti e coloro che possono fare a meno dell’amore. Felici i felici”. Borges a suo tempo ci indicò la via spiegandoci che la felicità – nell’amore o nell’assenza di amore – è un talento e come tale va nutrito, preso di petto, ma o ce l’hai o non ce l’hai, c’è poco da fare. Ho visto il festival dal salotto di casa mia (e dei miei amici), per la prima volta dopo tre anni di prospettiva privilegiata che solo un pass “all areas” a Sanremo può dare. Un po’ da “outsider”, come Diodato, un po’ da felice di esserlo, come Diodato.

La mia posizione di outsider tra i comuni mortali mi ha permesso di “assaggiare” il festival dalla prospettiva del telespettatore medio, seppur con un piede in sala stampa, tra i commenti tanto degli addetti ai lavori (su cattivissimi gruppi WhatsApp) quanto degli spettatori classici, intervallati dai messaggi di mia madre che “anche tu se un giorno sarai mamma vorresti essere come me?” – dopo ogni esibizione della Angi – “no mamma, sei stata una madre iperprotettiva rendendomi insicura e ossessivo compulsiva, ma anche tu hai trovato sempre un posto dove nascondere le mie paure e io ti perdono”.

I commenti di tutti, compresi quelli di mia madre, mi hanno dato l’inaspettata opportunità di capire meglio la scollatura, tanto di Sabrina Salerno, quanto tra la gara canora e il programma tv, tra la dx e la sx, tra la demoscopica e la stampa, “tra me e te”. E si fa presto a dire record di ascolti, quando vai in onda per cinque ore consecutive prendendo il target della prima, della seconda e della terza serata, compresi i ragazzi tornati a casa strafatti che hanno acceso la tv perché si sono seduti per sbaglio sul telecomando. Tra una canzone e l’altra, la casa ha infatti offerto due etti di tette, una spolverata di polemica qui e lì come solo Morgan sa darci, un pizzico di Dua Lipa (che avrebbe potuto rispondere a qualche domanda, se qualcuno gliene avesse fatte), il tutto rosolato a fuoco lento con un ottimo Fiorello d’annata. Nonostante il “neverending festival”, secondo uno strano dirty pleasure, i gruppi d’ascolto vissuti in prima persona sono tutti più o meno sopravvissuti fino alla fine.

Ma andiamo con ordine. La prima puntata l’ho vista a casa di un ex partecipante proprio del Festival (che resterà segreto ma si accettano scommesse). La sua prospettiva è stata affascinante, perché solo una volta davanti alla tv si è potuto rendere conto che aveva partecipato a un programma televisivo. “Dietro le quinte siamo artisti, aspettiamo tempi interminabili, non sai fino in fondo dove ti trovi, sai che stai gareggiando, che è meglio di quello che sto vedendo adesso, bip!” e come dargli torto. Per la seconda sono venute da me tre amiche “influencer” in incognito (Daniela Collu, Michela Giraud e Diletta Parlangeli): ci è importato solo di sfogare le nostre frustrazioni cantando Perdere l’amore con Titti e Pierpaolo (Ranieri) Pasolini, non ricordo altro. Ah no, ricordo anche 72 ore di Ricchi e Poveri. Terza sera erano i duetti: l’amica glam secchiona che ha ospitato il rendez-vous era, come tutte, esausta nel constatare che la presenza delle donne era ancora una volta sacrificata dalla scelta delle donne stesse, tutte deludenti e plastificate, tranne Rula che non è bastata a dare dignità a secoli di battaglie per il suffragio universale.

In occasione della semifinale ho scelto la solitudine: felpa, junk food sconsigliato dal gastroenterologo, lacrime manco stessi vedendo The Eternal Sunshine of the Spotless Mind e un po’ di saudade della sala stampa. La finale è stata in lungo, a casa di avvocatessa di grido della Roma bene: gruppo folto e assortito, ottimo equilibrio tra maschi e femmine, età media 40 anni, livello culturale alto, prevalenza di centro sinistra, un paio di giornalisti in sala, qualche politico, grande ilarità. Non esattamente il target di Rai1, ma abbiamo tutti votato con l’sms (il voto è segreto), ci siamo indignati perché nessuno della carta stampata ha ammesso che l’artista posseduto da Morgan dovrebbe prima o dopo liberarsi della sua custodia “under influence”. Abbiamo comunque tutti seguito con solerzia, dato i nostri voti con tanto di cappello e bigliettini, creduto che nella terzina, nell’anno del #metoo ad Ama, ci sarebbe dovuta stare almeno una donna e abbiamo avuto una grande allucinazione collettiva nei 50 minuti di attesa del verdetto – mentre Sky TG24 spoilerava il vincitore e la Salerno cantava una versione “ballad” di Boys Boys Boys. Poi mi pare ci sia stato del reggaeton (e il resto scompare), ma non sono sicura.

E dire che nel resto del mondo programmi tv che sono anche gare, che fanno anche ottimo share, che hanno delle donne in scena, senza diventare Domenica In ne esistono: prendi la notte degli Oscar – chiaramente in onda alla fine del festival di Sanremo per dare continuità – perfetta, stravista, strabella e nessun ballo di gruppo prima del discorso di Joaquin Phoenix. È per questo che il podio di Diodato fa strano. Una vittoria così meritata non ce la si aspettava dal 1996 con Vorrei incontrarti tra cent’anni, di Ron. C’è mancato un pelo vincesse Gabbani, con le sue faccette didascaliche come a rivolgersi ad un pubblico di cerebrolesi.

Così ho ripensato a Borges e mi sono chiesta chi sono sti felici? Diodato in questo momento lo è, perché ha talento ed è uscito dalla sua zona di comfort per confrontarsi con la giungla vera, coltello tra i denti. E l’ha spuntata. Quante volte capita? Non sempre, non tanto. Il suo segreto credo stia in una combo intensissima di angel face, impegno politico e frequenza della voce, che va a toccarti un punto preciso del sistema limbico del cervello, dentro la neocorteccia. Non il cuore, basta con questo cuore, non abbiamo mica 8 anni! È l’amigdala, quella che governa le emozioni. Le sue canzoni sono un’esperienza sensoriale completa e rappresentano un rito, per lui e per chi le ascolta, volto ad esorcizzare il dolore che ognuno ha dentro, funzione importante di tutti i pezzi che parlano di sentimenti.

Così ha vinto Dorian Gray: ma com’è possibile? Non sarà ancora frutto di quella allucinazione collettiva di cui sopra? No, è vero perché figurati se qualcuno non ci metteva dentro anche una piccola polemica, cercando di rovinare la bella atmosfera: che abbia vinto solo per la giuria della sala stampa, perché sia televoto che demoscopica avevano dato il voto a Gabbani (e sticazzi?). Per chi si stesse ancora chiedendo cosa sia la demoscopica, è la giuria “a caso”. Ma oltre Diodato, ce ne sono altri di felici? Dopo questa settimana che ha spazzato via Salvini e l’ipocondria del coronavirus, non so rispondere a questa domanda, perciò passo la parola a Frassica: “il vincitore di Sanremo è Diodato, secondo Gabbani. Ora bisogna sentire gli altri pareri”.

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