‘Belve’ dimostra che il costume, se fatto bene, è una cosa serissima | Rolling Stone Italia
Fagnani Nation

‘Belve’ dimostra che il costume, se fatto bene, è una cosa serissima

Tra Stefano De Martino studiatamente sciapo, Arisa con un assoluto bisogno di un ufficio stampa e la figura mitologica di Fabrizio Corona, è tornato l’amatissimo programma in cui Francesca Fagnani intervista donne e uomini di pubblico interesse

‘Belve’ dimostra che il costume, se fatto bene, è una cosa serissima

Francesca Fagnani conduce ‘Belve’ su Rai 2

Foto: Rai

Dopo l’esperienza della scorsa stagione televisiva, ieri sera è tornato ancora in prima serata Belve, il programma in cui Francesca Fagnani intervista donne e uomini di pubblico interesse, faccia a faccia, su sgabelli che paiono sempre molto scomodi, come i presupposti sulla chiacchierata che verrà.

Negli anni, il programma e in particolare la sua conduttrice sono diventati, passando dai tempi in cui figuravano su Loft (la tv del Fatto Quotidiano) fino alla scalata alla tv generalista, sempre più popolari, grazie a elementi ricorrenti, scambi incalzati, anticipazioni studiatissime riportate dai giornali e momenti perfetti su cui incappare nei “per te” di TikTok. Lo dicono i numeri: ieri, per dire, la puntata ha totalizzato il 10% di share. 

Gli elementi ricorrenti del programma sono diversi: la sigla di Ornella Vanoni, le domande di apertura e spesso chiusura di Fagnani (“Che belva si sente?”; “Se potesse riportare una persona in vita per due minuti, chi sarebbe e cosa le direbbe?”), il suo aplomb serissimo per qualsiasi domanda, il suo dare sempre del lei, il suo schivare le controdomande, la sua imparzialità volutamente tradita dalla mimica facciale. Fagnani, classe 1976, scuola Michele Santoro, si è occupata negli anni di temi considerati seri, ma ha dimostrato che anche il costume fatto bene lo è altrettanto. La sua versione da conduttrice, a Sanremo o tra le Belve, è impeccabilmente coerente.

Ulteriori elementi, poi, per la buona riuscita delle chiacchierate verticali sono la non condivisione a monte delle domande prima dell’intervista e la libertà di editarla in montaggio come si vuole (vedi i casi della mancata messa in onda delle interviste a Elettra Lamborghini e a Massimo Ferrero).

Ma cosa è stato migliorato in questa nuova e nona edizione? Gli intermezzi e sketch, sparpagliati in mezzo al programma. L’anno scorso, a conclusione di un lungo articolo in cui ripercorrevo storia e successo del programma, consigliavo umilmente di migliorare gli sketch delle Etero Basiche: a mio modesto parere, avrebbero dovuto curarli di più e girarli in studio, e non con un cellulare e nell’abitacolo di un’auto. Spoiler: in questa nuova stagione è successo davvero! Mi piace pensare che qualcuno abbia afferrato il mio consiglio. Brave e bravi tutti.

Inoltre l’inserimento, sempre negli intermezzi, di Vincenzo De Lucia con Chiara Gamberale e di Valerio Lundini ammiccano strategicamente a quel pubblico che poi va a cercare gli spezzoni del programma su YouTube, crea contenuti su TikTok o meme su Instagram (ciao Paolo Danzì aka Sapore di Male, come va la missione per riportare in vita il Festivalbar?). Anche il passaggio di consegne alla seconda serata di Alessandro Cattelan risulta azzeccato.

Certo, non tutte le interviste di Belve riescono a bucare lo schermo. La scelta del personaggio a monte è fondamentale, ma è altrettanto importante che sia predisposto ad aprirsi. Vedi alla voce: Stefano De Martino. Il problema sono proprio le risposte dell’intervistato: un’accozzaglia di frasi fatte, per non rischiare niente. De Martino è volutamente bidimensionale, ingiacchettato, interpreta un ruolo: il genero che sulla carta le mamme e i papà amerebbero al pranzo domenicale, e a vedere gli apprezzamenti in giro funziona da Dio. D’altronde è venuto fuori durante l’intervista che il sogno è Sanremo – e non esporsi davvero, stare nel suo, può essere la mossa vincente per arrivarci. Ci sta riuscendo egregiamente. Peccato però che non fossimo nello studio di Mara Venier, con Vincenzo De Lucia che ne fa la parodia.

Passando alla seconda intervista, Arisa si presenta con un’acconciatura che, per le conoscitrici e i conoscitori più attenti di Belve, ricorda subito quella di Nina Moric della scorsa edizione. Qualcuno ha azzardato anche un’analogia sul tenore delle loro risposte, ma non sono d’accordo. D’accordo, incredibilmente, lo sono a un certo punto proprio con Arisa, la quale afferma che il suo più grande problema è non avere un “ufficio stampa”. L’archivio di internet è già pieno di suoi strafalcioni e dissing unilaterali, ma alla fine dello slot dedicato a lei, messe in conto le ammissioni (“Non riesco a esprimermi bene”; “Peggior difetto? L’incoerenza”) e il personaggio nel complesso, ti viene solo da fare una cosa: abbracciarla forte come la Fagnani. Un consiglio, visto che i miei precedenti sono stati ascoltati: l’ufficio stampa di Stefano Martino parrebbe bravissimo a briffare, a spiegare cosa dire o cosa non dire, e in che modo farlo. Facci un pensierino, Ari.

Infine arriva Fabrizio Corona, dopo 11 anni di assenza in Rai. Di lui in questi anni si è detto tutto e il contrario di tutto, ma non importa: non è più una persona nota, è oltre, un personaggio total black, ormai letterario, da romanzo, come mi ha detto acutamente chi mi sedeva accanto sul divano ieri. Corona si descrive, per fare un paragone inappropriato, un po’ come Teresa Ciabatti racconta la protagonista dei suoi libri più famosi. Lui è troll, antagonista, villain di sé stesso. Ma Corona non è solo personaggio, è anche narratore interno della sua storia, un tipo di narratore particolare, chiamato in gergo “narratore inaffidabile”, quello di cui non ti puoi fidare ma che continui a leggere perché intrattiene.

Ora non resta che vedere cosa succederà e chi ci sarà nelle prossime quattro puntate. Cut simpa rimasti fuori dalle interviste e titoli di coda.