Vincerà del Toro. Vincerà Oldman. Non vincerà Guadagnino. Forse. | Rolling Stone Italia
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Vincerà del Toro. Vincerà Oldman. Non vincerà Guadagnino. Forse.

Manca pochissimo alla cerimonia di consegna degli Oscar, e tra colossal e sorprese indipendenti, proviamo a fare le nostre previsioni sui premi dell'Academy.

Vincerà del Toro. Vincerà Oldman. Non vincerà Guadagnino. Forse.

Foto di Mohamed Osama / Alamy / IPA

Pronti per l’ultima tappa del carnevale? Segnatevi il 4 Marzo, data in cui Hollywood si celebrerà per la 90 esima volta con la lunga notte degli Oscar. Anche quest’anno la cerimonia si svolgerà all’interno del Dolby Theatre, un deprimente centro congressi anni 2000 che, come in un sogno della sindaca Raggi, si trasformerà per magia, nel posto più glamour e esclusivo del pianeta Terra.

Certo, lo spettro degli abusi sessuali e la messa al bando di nuovi orchi come l’ex “Padrino” di Hollywood Harvey Weinstein o il premio Oscar Kevin Spacey, limiteranno l’abuso di boa di struzzo, i porno look e le psichedelie varie, ma non temete! Niente effetto “Spelacchio” agli Oscar perché il mantra di Hollywood rimane lo stesso: “Show must go on!”, quindi prepariamoci a una croccante indigestione di star, lacrime, balletti, discorsoni, omaggi e siparietti irriverenti del conduttore Jimmy Kimmel, riconfermato anche quest’anno dopo la gaffe dello scambio di buste per il miglior film del 2017. Ma chi sono i principali candidati della prossima edizione degli Oscar 2018?

Miglior Film

Regola numero 1: niente illusioni da cinéphiles… non siamo a Cannes o alla mostra di Venezia, gli arzilli membri dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences (perlopiù maschi bianchi ultra sessantenni) raramente premiano l’arte, l’avanguardia e i grandi autori (ricordate: Alfred Hitchcock e Stanley Kubrick non hanno mai vinto una statuetta…) quindi non stracciatevi le vesti se Apichatpong Weerasethakul non è mai stato nominato, d’altronde ricordate? Capolavori come Taxi driver o Barry Lindon non hanno vinto l’Oscar, l’inutile Shakespeare in love sì…

Come in una campagna elettorale, la premiazione degli Oscar è frutto di vere e proprie maratone promozionali in cui la parola ossessiva è “For your consideration”. Ogni arma è lecita per conquistare i giurati: inviti a cocktail, feste con Bono Vox, ceste di frutta tropicale in camera, proiezioni private, lavaggio del cervello tramite talk show, paginoni sulla stampa e buzz creato a tavolino da “influencer” schiavizzati.

Insomma come avrete capito non è il migliore a vincere ma chi ha saputo vendersi meglio. E la posta in gioco è alta perché gli Oscar servono prima di tutto a far fruttare quei pochi film senza supereroi e dal budget medio basso che le majors producono o distribuiscono per darsi un’immagine rispettabile e per placare la frustrazione delle star e dei loro agenti.

E quest’anno? Da quando le liste dei nominati all’Oscar è raddoppiata (portate da 5 a 10 come agli esordi della manifestazione), il cinema “indipendente” ha un po’ cambiato le carte in tavola e preso il sopravvento su quei tipici filmoni in costume stile Ghandi o La mia Africa che gli studios ci hanno propinato per anni a suon di violini.

Quest’anno, l’epica, il patriottismo e gli effetti roboanti di ottimi candidati “etici” come The Post, Dunkirk o L’ora più buia sembrano quasi appartenere all’“accademismo” di quel passato in confronto a tre candidati UFO come: Chiamami col tuo nome, Get out e Lady Bird.

Tre film anti convenzionali, a piccolo budget, nati in festival indipendenti come il Sundance o Telluride e che per la loro originalità, forza poetica e narrativa hanno saputo conquistare il cuore del pubblico e della critica internazionale. Anche le loro tematiche sono forti: il razzismo raccontato attraverso il genere horror nel film di Jordan Peele, lo scontro generazionale madre-figlia nell’opera prima di Greta Gerwig e il sensuale “coming out” o piuttosto “coming of age” di un adolescente durante un’estate italiana dell’83.

Ma basteranno questi elementi per vincere un Oscar? Probabilmente no, anche se… l’anno scorso ha vinto a sorpresa Moonlight di Barry Jenkins quindi… incrociamo le dita per lo straordinario film di Luca Guadagnino.

Ma i favoriti di quest’anno rimangono tre film indirettamente prodotti dagli studios (Focus per Universal e Fox Searchlight): Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson, un sofisticato thriller psicologico sulla coppia, La forma dell’acqua di Guillermo del Toro, una romantica rivincita dei “freaks” sullo sfondo della guerra fredda e il fenomeno Tre Manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh, una tragicommedia che scardina i generi cinematografici con la storia di una donna che cerca di alleviare il proprio dolore con la vendetta.

Chi vincerà? Anche se il film di del Toro è candidato a ben 13 Oscar, questo è decisamente l’anno delle donne e la miscela tra forza e vulnerabilità dell’eroina interpretata da Frances McDormand è talmente emblematica delle lotte femminili di quest’anno che Tre manifesti a Ebbing potrebbe essere il film premio Oscar perfetto per ripulire i panni di Hollywood, insudiciati dagli scandali degli abusi sessuali.

Miglior Regista

Ingiustamente snobbati dall’Academy, né Luca Guadagnino (Chiamami col tuo nome) né Martin McDonagh (Tre Manifesti a Ebbing, Missouri) rientrano nel club esclusivo dei registi candidati all’Oscar, quindi è inevitabile… quest’anno la sfida sarà tra Guillermo del Toro e Paul Thomas Anderson. La storia (e la logica) ci insegna che, in genere chi ha più nomination vince 8 volte su 10 l’oscar, quindi la fine è nota? Molto probabilmente sì… alla facciaccia di Trump, sarà il visionario regista messicano Guillermo del Toro a portarsi a casa la statuetta.

Miglior attore

Scordatevi di Timothée Chalamet (Chiamami col tuo nome), l’attore rivelazione di quest’anno, troppo giovane, efebico, indipendente e “europeo” per il suo primo anno agli Oscar, idem per Daniel Kalluya (Get Out)… D’altronde se DiCaprio ci ha messo 22 anni a vincere una statuetta un motivo ci sarà? I sadici membri dell’Academy adorano i trasformisti stagionati che si imbruttiscono, ingrassano, invecchiano, si inventano un handicap e meglio ancora un accento. Quindi se volete vincere un Oscar, cercate di non recitare in un film di Pupi Avati o di Benoît Jacquot…

I veri concorrenti di quest’anno sono: il già 2 volte premio Oscar Denzel Washington, imbolsito, con brutto taglio alla Jackson 5, occhiali da vista a goccia, irriconoscibile nei panni dell’avvocato anni ’70 Roman J. Israel, Esq. Gary Oldman più obeso, british e sosia di Churchill più che mai in L’Ora più buia e, dulcis in fundo, non poteva mancare l’attore meno prolifico e più camaleontico del mondo: Daniel Day-Lewis, che dopo aver vinto il suo primo Oscar nel 1990 scrivendo con l’estremità del piede, potrebbe aggiudicarsi anche quest’anno una quarta statuetta nei panni di un sarto maniacale in Il filo nascosto.
Chi vincerà? Probabilmente Gary Oldman che non ha mai vinto un Oscar e che si è appena aggiudicato il Golden Globe.

Miglior attrice

L’impronunciabile Saoirse Ronan in Lady Bird di Greta Grewig? Troppo giovane… Meryl Streep in The Post? Anche basta… Sally Hawkins in La forma dell’acqua? Se il suo personaggio fosse stato interpretato da Charlize Theron o da Nicole Kidman avrebbe avuto una chance, ma anche se incarna una sordomuta (100 punti in più per i giurati dell’Academy), la bravissima Sally Hawkins è fisicamente troppo simile al personaggio, troppo low profile.

La rivelazione di quest’anno si chiama Margot Robbie. Sì, la bomba sexy che faceva dilatare gli occhi a DiCaprio (e non solo) nel Lupo di Wall Street di Martin Scorsese. Talmente bella e brava da risultare inquietante, l’attrice australiana si è imbruttita a dovere per interpretare la cattivissima pattinatrice Tonya Arding nel biopic in stile Bob Fosse/ Star 80 I,Tonya.

Diciamo che è l’unica vera concorrente che potrebbe minacciare l’ultra favorita Frances McDormand: una meravigliosa Charles Bronson in gonnella che, dopo aver vinto il Golden Globe, dovrebbe assicurarsi anche il suo secondo Oscar dopo Fargo dei fratelli Coen nel 1997 .

Miglior attore e attrice non protagonista

Sperando che l’ipocrisia sul’”affaire” Kevin Spacey non arrivi al parossismo premiando l’88enne Christopher Plummer che lo ha rimpiazzato nel mediocre Tutti i soldi del mondo di Ridley Scott, l’Oscar come migliore attore dovrebbe andare all’immenso Sam Rockwell nei panni di uno stupido poliziotto razzista e bifolco in Tre manifesti a Ebbing, Missouri (ha già vinto un SAG award e un Golden Globe).

Un ruolo che incarna perfettamente l’America “white trash” e intollerante di Trump e che trova una suo corrispettivo al femminile nel personaggio interpretato dalla probabile vincitrice come miglior attrice non protagonista: Allison Janney, grandiosa nel ruolo della madre coach abusiva della pattinatrice Tonya Arding in I,Tonya. Imbruttita, accento red nek, look da barbona ripulita, anti diva…insomma i membri dell’Academy la adoreranno quanto noi.

Appuntamento al 4 Marzo! Intanto si accettano scommesse.