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Venezia segreta (parte terza)

Dall'italiano di Clint Eastwood imparato con Sergio Leone, fino allo scherzo di Matt Damon a George Clooney. Le storie che nessuno vi ha mai raccontato dalla Mostra del Cinema

Un estratto dal reportage sui segreti della Mostra Mostra del cinema, in copertina sul nuovo numero in edicola di Rolling Stone.

Venezia 2000, Leone d’oro alla carriera a Clint Eastwood. Chiedo: «Clint, cosa ti ha insegnato della nostra lingua Sergio Leone, durante i film che avete fatto insieme?». Eastwood: «La prima cosa che ho imparato da lui è stata la parola stronzo (la pronuncia in italiano). Sergio arrivava sul set e diceva a tutti “A stronzo”, al punto che io pensavo fosse un saluto, come dire ciao. Poi mi hanno spiegato che non era proprio così» (e giù una risataccia da vecchio cowboy).

Questa battuta è uno dei punti clou di un documentario che ho dedicato alla Mostra del Cinema di Venezia, dove le star sono sempre presenti. Anche quest’anno butta bene, quanto ad arrivi illustri. Sì, perché nell’esercito di divi americani attesi per questa Venezia 74 (tante come da tanto tempo non succedeva, complimenti e bye bye Cannes!) c’è Matt Damon, premio Oscar 1998, insieme all’amico di sempre Ben Affleck, per la sceneggiatura di Will Hunting – Genio ribelle, quando entrambi erano ancora poco più che ragazzi, anche se nessuno se lo ricorda mai. A Hollywood è rara un’amicizia tra due grandi star, che sanno anche scrivere un bel film, invece che metterci soltanto la faccia.

Ma dicevo di Damon, che adora Venezia e c’è venuto spesso: a lui è legato un ricordo tra i più divertenti. Nel 2010 era alla Mostra per un filmettino, The Informant!, nel momento in cui impazzavano le voci sulla presunta omosessualità del suo grande amico George Clooney, da poco lasciatosi con Elisabetta Canalis. Durante quell’ennesima intervista, approfittando cinicamente della sua fiducia, gli chiesi se era vero che il vecchio George fosse gay, come siti e giornali italiani e internazionali titolavano da mesi. Buttata là. “Magari si alza e mi dà uno sganassone alla Jason Bourne”, pensai.

E invece la sua risposta fece il giro del mondo, cito quasi testualmente: “In effetti, George dovrebbe sposarsi col suo ragazzo, ma il patto è che lo farà solo dopo che Brad (Pitt, nda) si sarà sposato con Angelina Jolie”. E giù risate da matti. Chiaro che stava scherzando, ma dopo due minuti era sul sito del Los Angeles Time. È andata avanti per anni, e da quel momento, quando mi siedo di fronte a lui per intervistarlo, mi guarda con sospetto. Certamente lo farà anche stavolta, amen. Facciamo i giornalisti, quando succede qualcosa il nostro lavoro è di raccontarlo a tutti. È la stampa, bellezza!

Di tutt’altro tono, tanto per far capire che non va sempre bene e che a volte vai a sbattere contro un portone, lo scambio con Tom Cruise, altra vecchia conoscenza, alla Mostra per Collateral, gran thriller del maestro Michael Mann. È il 2004. Fuori diluvia, lui arriva direttamente da L.A., giusto in tempo per la proiezione di gala serale. I giornalisti sono, siamo, schierati con le telecamere, stavolta all’interno del Palazzo del Cinema, su due fronti, dietro le transenne. Lui entra e si ferma con tutti. È gentile, accurato, professionale anche se è stanco morto, e si vede. Devo fargli una domanda stupida, lo so già che è stupida, ma per ragioni incontrollate si è sparsa la voce che in quei giorni la sua ex moglie Nicole Kidman, con cui si è separato da circa tre anni, sarebbe giunta a Venezia per un tentativo di riconciliazione.

Era ed è assurdo anche oggi, ma i rumors nel cinema sono come le leggende: su mille, almeno uno è vero. E quindi devi controllarli tutti. Quando me lo trovo davanti, gli chiedo se ne è al corrente, e lui scoppia in una risata di quelle luciferine alla Mission Impossible: “What? Che cosa? ma dove l’hai sentita ’sta stronz…? Cose da pazzi! Ancora con queste cose! Ma è un delirio!”. Poi, però, prima di andarsene, si calma e mi stringe la mano. Significa che Tom capisce che a volte i giornalisti sono costretti a dire scemenze, anche se ne farebbero volentieri a meno. La volta successiva, quando mi ha visto, ancora rideva manco fossi Jerry Lewis. Da sotterrarsi.

In realtà, ho citato Damon e Cruise perché nel mio documentario La prima volta a Venezia, presentato alla Mostra del 2010, sono loro due, fra i cento attori di tutto il mondo intervistati (nel giro di vent’anni) riguardo alla loro “prima volta” in laguna, tra quelli che si sono detti più innamorati del nostro Festival. Al quale ho avuto, come si dice in questi casi, “il piacere e l’onore” di dedicare 13 documentari, 12 dei quali presentati alla Mostra ininterrottamente dal 2003 al 2011 (nel 2007, l’anno del 64ennale della Mostra, feci quello di apertura e di chiusura, un onore incancellabile).

L’ultimo, incentrato sulla Biennale d’Arte, “la mamma” di tutte le sezioni della Biennale (Architettura, Danza, Musica, Teatro, e ovviamente la Mostra del Cinema), è stato presentato nel 2015 a Palazzo Grassi, voluto da monsieur Pinault, il più famoso collezionista d’arte al mondo. Nel 2002 la sua attuale, splendida e simpaticissima moglie Salma Hayek, al termine dell’intervista sul film in concorso alla Mostra, dedicato alla pittrice messicana Frida Kahlo, mi si sedette sulle ginocchia per mostrarmi la qualità del suo vestito griffato Saint Laurent: “Vuoi toccare lo chiffon?”. Operatori impalliditi, io al contrario rosso come un cocomero. Pensavo alla scena del serpente in Dal tramonto all’alba. Magari per lei fu una botta di caldo o un cocktail di troppo, ma il ricordo è piacevole quanto imbarazzante. Pinault per la Hayek era ancora di là da venire. Meno male. Per tutti e tre!

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