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Venezia 75: ‘Roma’, Alfonso Cuarón torna a casa

Il nuovo film del regista messicano premio Oscar per 'Gravity' uscirà a dicembre su Netflix: «Non capisco la polemica. Un film deve aspirare a una cosa soltanto: avere una lunga vita».

Alfonso Cuarón e il cast di 'Roma'. Foto di Karen Di Paola / ROCKETT.

Alfonso Cuarón e il cast di 'Roma'. Foto di Karen Di Paola / ROCKETT.

Scansiamo subito ogni equivoco: Roma, vale a dire il titolo dell’ultimo film di Alfonso Cuarón appena passato in concorso alla 75esima Mostra del cinema di Venezia, non ha niente a che vedere con la nostra capitale. Anche se Matteo Salvini era al Lido la sera dell’apertura: a farsi i selfie davanti al Palazzo del Cinema con i passanti.

È invece il nome del quartiere di Città del Messico dove il regista ormai americanizzato (e oscarizzato quattro anni fa per Gravity, sempre presentato a Venezia) ha voluto fare ritorno, cambiando completamente genere (qua si direbbe: un mélo familiare) e seguendo il filo dei ricordi che lo riporta dritto all’infanzia, a una grande casa borghese, alla mamma perennemente sull’orlo di una crisi di nervi, ai fratelli che fanno la lotta sul tappeto, alle automobili con le fiancate graffiate perché non passano dal cancello, alle cacche di cane (pardon) trovate ogni giorno all’ingresso quasi come un segno di benvenuto.

E a Cleo (interpretata dalla non-attrice india Yalitza Aparicio: è più brava di tante professioniste), la domestica che diventa, suo malgrado, il perno del racconto. Perché lei tutto vuole essere fuorché la protagonista di ciò che le accade intorno: la separazione dei padroni di casa, ma anche le rivolte che incendiano le strade, i film di fantascienza visti la domenica pomeriggio (anzi no: si passava il tempo della proiezione a baciare i fidanzatini), le gite al mare con le onde troppo grosse, una maternità difficile, lo scorrere del tempo della Storia e delle storie personali, che hanno un peso più grande ancora.

Cuarón, anche sceneggiatore, si rifugia dentro la memoria, la sua, e il tempo diventa quello delle cose piccole, solo apparentemente da poco. «I miei ricordi costituiscono il novanta per cento del materiale che vedete nel film», ha detto ai giornalisti. «La mia storia col Messico è una ferita emotiva ancora aperta. Quest’opera è un dialogo con la memoria, mi riporta indietro nel tempo, ma non mi fa perdere di vista l’attualità».

Accanto alle madeleine personali, Cuarón piazza la firma del grande autore, a cominciare dal sontuoso bianco e nero della fotografia: una scelta che non è vintage ma modernissima, «l’ho semplicemente pensato così fin dal primo momento e non ho più cambiato idea», rivela.

Roma è uno dei sei titoli di produzione Netflix (sarà disponibile online da dicembre) invitati al Lido quest’anno, nell’era delle polemiche sul futuro del cinema: lo streaming ucciderà la distribuzione nelle sale oppure fa bene ai film? Il regista messicano, già candidato al Leone d’oro a un solo giorno di festival, risponde: «Questa polemica proprio non la capisco. Un film deve aspirare a una cosa soltanto: avere una lunga vita. L’on-demand è lo strumento perfetto per ottenerla. Qual è l’ultima volta che avete visto un film di Bergman al cinema? E poi oggi molti spettatori non hanno tempo, soldi o la semplice possibilità di andare a vedere un film in sala. Roma è perfetto per la visione sul grande schermo, ma non per questo sfigura su altri mezzi di fruizione». Il caso, almeno al Lido, è chiuso.

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