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Tutte le (poche) registe nominate all’Oscar

Greta Gerwig, che questa sera se la vedrà con Guillermo del Toro, Christopher Nolan, Paul Thomas Anderson e Jordan Peele, è solo la quinta della storia.
Greta Gerwig. Foto IPA

Greta Gerwig. Foto IPA

Secondo il Center for the Study of Women in Television and Film tra i 250 film che hanno incassato di più nel 2017:
l’ 88% non è stato diretto da donne,
l’ 83% non ha avuto donne tra gli sceneggiatori,
il 45% non ha avuto donne tra i produttori esecutivi e il 28% tra i produttori,
l’80% non è stato montato da donne,
il 96% non ha avuto dei direttori della fotografia donne (Rachel Morrison quest’anno è la prima ad essere nominata per un Oscar nella categoria grazie a Mudbound),
il 30% non ha avuto donne in nessuno di questi ruoli.

Tra le categorie in cui le donne faticano di più ad essere riconosciute c’è sicuramente quella della regia. E in tempi di #MeeToo, #TimesUp e campagne per la parità di genere, a poche ore dalla 90esima cerimonia degli Oscar, è importante ricordare che Greta Gerwig è soltanto la quinta regista ad essere stata nominata all’Academy. Ha qualche possibilità? Il grande favorito sembra essere Guillermo del Toro. Ma in attesa del verdetto vediamo quali sono state le cineaste che hanno fatto la storia prima di lei.

Lina Wertmüller

La prima donna ad essere nominata nella categoria miglior regia agli Oscar è stata un’italiana. Era il 1977 e Lina Wertmüller stabilì un record: «È stata la reazione dei media a farmi capire quanto fosse significativa la mia nomination» ha dichiarato la regista quasi 90 enne a Variety «Da quando ero negli Stati Uniti, sono stato inondata di richieste di interviste da reti televisive e giornali. Qualcuno mi ha detto che i notiziari stavano strombazzando la candidatura come se fosse un evento storico. In realtà, a ben vedere, lo è stato, soprattutto per le donne di tutto il mondo. Ancora oggi ricevo lettere di ringraziamento da parte di registe che affermano di essere state ispirate dalla mia esperienza».

Il suo film Pasqualino Settebellezze, storia di un guappo napoletano che diserta la Seconda Guerra Mondiale e riesce a cavarsela anche in un campo di concentramento, ha ricevuto anche le candidature per migliore sceneggiatura originale, miglior attore (Giancarlo Giannini) e miglior film straniero. Senza portarsi a casa nessuna statuetta.

Quell’anno infatti per la regia vinse John G. Avildsen per Rocky. Gli altri nominati nella categoria erano Sidney Lumet per Quinto potere, Ingmar Bergman per L’immagine allo specchio e Alan J. Pakula per Tutti gli uomini del Presidente.

La Wertmüller con i suoi inconfondibili occhiali da vista spessi e bianchi, il suo cinema provocatorio, con una peculiarissima ironia di fondo, ha raccontato le spaccature sociali e politiche del nostro del nostro Paese con sfumature femminili e forti. Come ha spiegato la regista, fu l’incontro con Fellini, con il quale collaborò a , a cambiarle la vita: «Sono stata in grado di vedere un modo di fare film che era dentro di me da sempre».

Si era parlato di darle un Oscar alla carriera, ma nel 2018 toccherà a Charles Burnett, Owen Roizman, Donald Sutherland e Agnès Varda. Un’occasione persa, peccato.

Jane Campion

Passano quasi vent’anni prima che un’altra donna venga candidata per la miglior regia. È il 1994: tocca a Jane Campion per Lezioni di Piano, melodramma sulla storia di una pianista muta, costretta per necessità familiari a sposare un possidente terriero, e della figlia.

La pellicola che è candidata in 8 categorie (compreso miglior film) e ne conquista tre: Holly Hunter come protagonista, Anna Paquin, a soli 11 anni, come supporting actress e la Campion per la miglior sceneggiatura originale. Non vince la statuetta per la regia, l’onore ai 66esimi Academy Awards va a Steven Spielberg per Schindler’s List.

Ma qualche mese prima con questa pellicola la cineasta neo-zelandese aveva fatto la storia, conquistando la Palma d’oro al Festival di Cannes. 25 anni dopo la Campion rimane l’unica donna ad aver vinto il premio. «Troppo tempo! Tutti questi anni! E prima non c’è stata nessuna donna. È folle» ha detto a Vulture nel 2017 «E sono davvero seccata che la regista di Toni Erdmann – l’autrice tedesca Maren Ade – non abbia vinto l’ultima volta. Ho pensato: “Finalmente, un’amica”. Basta uomini che vincono. D’ora in poi toccherà solo alle donne».

Sofia Coppola

10 anni dopo, Lost in Translation, la commedia acclamata dalla critica con Bill Murray e Scarlett Johansson, è una delle favorite nella stagione dei premi del 2004, facendo guadagnare a Sofia Coppola anche una nomination per la miglior regia.

Il secondo lungometraggio della figlia di Francis Ford, sulla solitudine di due americani che si incontrano in un hotel di Tokyo, è stato anche nominato come miglior film. Sebbene non abbia vinto in nessuna di queste categorie, la Coppola si è portata a casa la statuetta per la migliore sceneggiatura originale.

Nel 2004 vinse Peter Jackson per Il signore degli anelli: Il ritorno del re. Tra gli altri nominati Fernando Meirelles per City of God, Peter Weir per Master and Commander: Sfida ai confini del mare e Clint Eastwood per Mystic River.

Ma qualche anno dopo la Coppola si aggiudica il Leone d’oro alla Mostra di Venezia con Somewhere. E nel 2017 a Cannes è la seconda donna in 70 edizioni a conquistare il premio per la regia, grazie a L’inganno che, più che un remake de La notte brava del soldato Jonathan del 1971 di Don Siegel, è stato salutato come un revenge movie femminista fino al midollo.

Kathryn Bigelow

Nel 2010 Kathryn Bigelow vince l’Oscar per la miglior regia e, per ora, è l’unica donna ad esserci mai riuscita. Con The Hurt Locker, che in tutto ha conquistato sei statuette (compreso miglior film), ha battuto l’ex marito James Cameron nominato per Avatar. Il film, duro e potentissimo, si svolge durante la guerra in Iraq e segue un’unità di artificieri e minatori americani a Baghdad. Per il lungometraggio la cineasta conquista anche, segnale importantissimo, il premio della Directors Guild of America.

Dalla critica la Bigelow è stata più volte definita “l’unica regista donna che fa film da uomini”: «Ho sempre creduto che ogni persona debba essere giudicata esclusivamente per il proprio lavoro, e non in base al sesso» ha detto a TIME in sostegno della richiesta al governo da parte dell’American Civil Liberties Union di un’indagine sulle pratiche discriminatorie nei confronti delle donne registe «La discriminazione di genere stigmatizza tutta l’industria cinematografica. Il cambiamento è essenziale. E le assunzioni devono essere fatte in modo neutro, senza preferenze di genere».

Nel 2013 la Bigelow ha diretto Zero Dark Thirty, sull’attività che ha portato alla cattura e all’uccisione di Osama bin Laden, che si è portato a casa cinque nomination (tra cui quella per miglior film) ed è diventato un vero e proprio caso, e nel 2017 ha realizzato Detroit, pellicols di denuncia sulle sanguinose rivolte del 1967 in Michigan, durante le quali tre afroamericani rimasero uccisi e centinaia feriti per il pugno di ferro della polizia.

Greta Gerwig

Greta Gerwig è uno dei volti-simbolo del cinema indie americano: dal mumblecore a Francis Ha con Noah Baumbach, dove la protagonista, guarda caso, è di Sacramento proprio come Lady Bird, (e la stessa Gerwig ovviamente).

Con il suo debutto alla regia, Lady Bird appunto, è diventata la quinta regista donna ad essere nominata nella categoria. Senza dubbio il film è stato uno dei fenomeni americani dell’anno per la freschezza, l’onesta, la dolcezza e, perché no, l’estro con cui dipinge il racconto di formazione semi-autobiografico di un’adolescente nella cittadina californiana, a partire dal rapporto di amore-odio con la madre. Anche la protagonista Saoirse Ronan e l’attrice che interpreta la madre, Laurie Metcalf, sono state nominate all’Oscar. Il lungometraggio ha conquistato anche le candidature per miglior sceneggiatura originale e miglior film.

La Gerwig dovrà vedersela con Jordan Peele, il quinto regista di colore nominato nella categoria regia (nessuno ha mai vinto), un outsider diventato maestro amatissimo come Guillermo del Toro, e due nomi del gotha della cinematografia come Christopher Nolan e Paul Thomas Anderson.

«Le donne che sono state nominate prima di me sono state una grande fonte d’ispirazione e sono la ragione per cui ho trovato il coraggio di farlo» ha detto la Gerwig a Entertainment Weekly. «Ricordo quando fu nominata Sofia Coppola e quanto significasse per me. Ricordo quando Kathryn Bigelow vinse e come mi sentivo, e so che loro sono la ragione per cui ci sono riuscita. Quello che spero è che le donne di tutte le età dicano: “Voglio dirigere il mio film”. Continuo a pensare che vorrei altre donne che raccontano storie e lo dico egoisticamente perché voglio vedere le loro storie. Voglio vedere i loro film».

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