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‘The Tale’ è straziante e rivoluzionario nel modo in cui racconta l’abuso

Il film - nominato a due Emmy - è basato sulla storia della regista Jennifer Fox, interpretata sullo schermo da Laura Dern. La clip in anteprima del lungometraggio, in onda questa sera su Sky Cinema Uno

L’innocenza è un concetto sfuggente: diventiamo coscienti di averla solo quando la perdiamo. Questa è l’idea che sta dietro allo straordinario memoir cinematografico della sceneggiatrice e regista di The Tale Jennifer Fox, una cruda cronaca personale degli abusi sessuali che ha subito da bambina negli anni ’70. Più radicalmente è il modo in cui questo sguardo difficile da digerire e formalmente audace (con Laura Dern come avatar della Fox sullo schermo) descrive contemporaneamente il processo attraverso il quale la protagonista è arrivata a riconoscere la sua esperienza come un abuso – un’illuminazione arrivata gradualmente dopo i 40 anni, in seguito a un lunghissimo periodo in cui si era ripetuta che si trattasse di un rapporto consensuale.

“Prima ho scritto il retroscena, ma l’ho trovato noioso, perché l’abuso sessuale è terribile ed è terribile da leggere”, spiega la Fox, che adesso ha 59 anni, al telefono. “Mi sono resa conto che volevo fare un film sulla memoria e sulla costruzione del sé”.

The Tale si basa su un racconto che la regista scrisse quando aveva 13 anni: da ragazzina frequentò un campo di equitazione dove la sua istruttrice, la signora G (Elizabeth Debecki), la coinvolse in una relazione sessuale con il suo amante Bill (Jason Ritter), un quarantenne allenatore di corsa. Il film si apre con una Fox adulta pressata dalle frenetiche chiamate di sua madre (Ellen Burstyn), che è ha appena scoperto per caso la vicenda. Incredibilmente la regista liquida l’allarme di sua madre come la prudente ed eccessiva reazione a una sua “relazione” di un tempo con un “fidanzato” più vecchio.

È un punto di partenza veritiero ma destabilizzante, anche per la stessa star del film, Laura Dern: “Cercare di capire qualcuno che a 40 anni difende questa storia è stato molto difficile per me”, spiega l’attrice, 51 anni, che interpreta la Fox con grande tenacia. “A volte mi sentivo oltraggiata. Stava difendendo la storia di questo bambina schiva che è stata vista come speciale da qualcuno. Questa è la parte che ho dovuto enfatizzare – ed è stato quello che mi ha fatto star male”.

La signora G, interpretata dalla Debecki, è una sofisticata donna europea, e il Bill di Ritter è il suo affascinante compare. Insieme trattano la giovane Jenny da grande e la invitano a condividere il segreto della loro storia d’amore bohémien – è facile capire perché la ragazzina sia attratta da loro all’inizio. “È divertente come vivi con le persone nella tua mente – dentro di te sono sempre le stesse”, ricorda la Fox. “Tu vivi felice con loro, non vuoi mai cambiare nulla”.

Documentarista veterana, la Fox ha iniziato a pensare a questo progetto mentre finiva il suo ritratto lungo sei ore e diviso in episodi della sessualità femminile, Flying: Confessions of a Free Woman. Eppure, nonostante il suo background non fiction, ha scelto di trasformare The Tale in qualcosa di più di un meta-testo, rivisitando il suo trauma passato come parte di un esercizio estenuante che esplora come, nelle parole di Joan Didion, ci raccontiamo storie per vivere. “Ho dovuto chiudere il coperchio della narrazione tradizionale”, racconta la Fox. “Si tratta di una negazione svelata, di usare me stessa come filo rosso”.

La Fox racconta in flashback anche come stava scappando dalla sua vita in famiglia, dove era al contempo trascurata e soffocata, persa tra i suoi molti fratelli, ma le era proibito l’innocuo divertimento dei pigiama party con gli amici. Nel frattempo Bill non si manifesta immediatamente come l’uomo nero – e questa preferenza per le sfumature, rispetto agli incubi facili da riconoscere, è ciò che rende The Tale davvero rivoluzionario. “Il più delle volte i film che ho visto ritraggono chi abusa come criminale e isolato, e questo semplicemente non è vero”, dice. “Non descrivono la complessità del rapporto del minore con il colpevole. La realtà è che il 98% di tutti gli abusi sessuali viene perpetrato da persone che il bambino conosce e con cui si sente a suo agio”.

Invece la regista trasmette la forza devastante del comportamento predatore di Bill attraverso una tecnica potente. Quando il film inizia a farsi strada attraverso i suoi ricordi, il personaggio della Dern ritorna a una se stessa adolescente che sta per diventare donna. Ma quando guarda un album di foto, vede una ragazza nella pre-pubertà senza seno, con il volto ancora paffuto da bambina. Improvvisamente la portata e la depravazione dell’abuso sono messe in risalto. (Nei titoli di coda si precisa che tutte le scene di sesso sono state girate con una controfigura adulta, anche se questo non le rende più facili da digerire).

L’avvicendamento di diverse attrici durante la storia a seconda dell’età rende tutto più universale: chi di noi non si è imbattuto in una vecchia foto solo per confrontarsi con la stranezza della propria gioventù? “Se la me stessa tredicenne mi incontrasse oggi, mi odierebbe,” afferma la Fox. “Più cercavo di inquadrare me stessa e scriverne, più mi rendevo conto che non sapevo più chi fosse… Sono diventata una persona diversa”. Fox si riferisce a queste modifiche di narrazione come ritornelli, distribuiti in tutta la sceneggiatura a servizio di ricordi da districare: il suono di un iPhone interrompe un flashback, le ombre proiettate da un fuoco tremolante attraverso i volti dei personaggi in una stanza che poi si rivela fredda e buia. In interviste immaginarie la Fox della Dern esamina con rabbia il suo io più giovane. “Non ti sposerai mai, non avrai mai figli”, dice. La ragazzina testarda risponde: “Ho qualcosa che nessun altro ha. Non sono la vittima di questa storia. Sono l’eroina”.

Tale resistenza a legare archi emotivi è ciò che ha attratto Laura Dern alla sceneggiatura della Fox, che le era stata mandata da un amico comune, il regista Brian De Palma. “Uno dei modi in cui sopravviviamo – e diciamo, ‘Oh, mio ​​dio, sono così fortunato, non so come sia sopravvissuta questa persona’ – è raccontandoci che quello che abbiamo vissuto non era male” dice Dern, sostenitrice del movimento Time’s Up. L’anno scorso, durante un’apparizione da Ellen, la star di Big Little Lies ha confessato di aver inconsciamente negato il proprio assalto a 14 anni. Come la Fox, ha resistito alla narrativa della vittimismo. È stato solo dopo aver condiviso l’esperienza con sua madre, Diane Ladd, che l’ha etichettata nel modo giusto.

E la Dern, che è cresciuta dentro lo show business, è in una posizione unica per affrontare la difesa del suo personaggio nel film. “Erano gli anni Settanta!” dice la Fox al suo compagno (interpretato da Common), una debole scusa. “Certo, all’epoca eravamo più permissivi – eravamo più permissivi anche cinque mesi fa”, afferma la Dern. “Non abbiamo mai messo in discussione i registi con le loro giovani mogli o fotografi di moda con le loro giovani muse. Sono stata in stanze dove le persone raccontavano, ‘Beh, sì, aveva 15 o 16 anni ma ne dimostrava 22 e stava già lavorando’. Era quello che era, e ora abbiamo allenato i nostri occhi a guardare le cose diversamente”.

L’attrice è grata alla Fox non solo per il coraggio che ha avuto ad adattare per lo schermo la sua esperienza, ma anche perché ha scelto di usare il proprio nome. “Questa storia viene raccontata perché la regista e sceneggiatrice era quella bambina”, dice. “Ha un livello di crudezza e intimità. Se non fosse stata la sua storia, non credo che avrebbe potuto essere così audace, perché inevitabilmente i commenti sarebbero stati: è troppo oltraggiosa, troppo sbattuta faccia”. Per la Fox, non c’è mai stata la questione di romanzare qualcosa, diversamente da quello che era necessario fare per proteggere alcune identità. “Sarei terrorizzata dal fatto che la gente chiedesse che quelle scene venissero tagliate”, afferma la Fox. “Nella maggior parte dei film, quando si arriva all’atto vero e proprio, una porta si chiude e possiamo distogliere lo sguardo dall’orrore. Per me è stato importante mostrare quanto sia davvero terribile. Avevo bisogno della mia autorità”.

Nonostante la sua vicinanza alle cause attiviste (Planned Parenthood e Joyful Heart Foundation), il film non dovrebbe essere archiviato come un annuncio di servizio pubblico. È un trionfo artistico in termini di come le storie – sulle donne, i traumi e l’individualità – vengono tradotte sullo schermo. “Le persone non vedono l’ora di vedere questo film”, dice la Dern, la mattina dopo il Met Gala, dove ha avuto una conversazione memorabile con un’attrice che piangeva mentre parlava del lungometraggio. “Non penso che sarebbe potuto accadere se questo spirito non fosse diffuso”.

Certamente la Fox è grata per il tempismo, nel senso che questo momento potrebbe incoraggiare più persone ad abbracciare The Tale. “Questa era la mia storia”, conclude. “Volevo essere sicura che le persone non potessero negarlo”.

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