La recensione di ‘The Start Up’: un film che racconta la rivoluzione generazionale on line | Rolling Stone Italia
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‘The Start Up’: la rivoluzione generazionale è on line

Un film tratto da una storia vera, nato per dare la sveglia alle nuove generazioni raccontando di chi non si arrende mai e di chi va a prendersi le proprie occasioni davanti a un mondo che sbatte le porte in faccia

Sarà l’essersi formato nella pubblicità, quando giravano soldi e idee, sarà che negli ultimi anni la sua attenzione verso i giovani è stata grande, fino a fargli tentare un esperimento poco riuscito – siamo sinceri di Sul Mare rimpiangiamo, tanto, solo Martina Codecasa –, ma Alessandro D’Alatri torna con The Start Up a parlare direttamente al pubblico. E lo fa cercando di svegliare dal pessimismo quelle giovani generazioni che ora vanno via oppure rimangono, non di rado piangendosi addosso.

The Start Up è un inno al non arrendersi, uno schiaffone affettuoso a una generazione che non ha opportunità ma che deve comunque andarsele a prendere. E a farlo è uno che non s’è mai arreso – torna al grande schermo dopo 7 anni –, prodotto da Luca Barbareschi, un altro che ha 60 anni (più uno) ma sembra averne tre volte 20 tanta è la sua voglia di ricominciare ogni volta.

Matteo Achilli e Andrea Arcangeli



E D’Alatri, che di giovani attori se ne intende, non ha scelto per questo progetto facce conosciute, ma fresche, nuove, forti. Andrea Arcangeli, forse ancora acerbo ma con carisma e la giusta presenza scenica per essere uno Zuckerberg figo; Paola Calliari, che a quella ballerina rigorosa e borghese dà profondità pur dovendo giocare solo su tonalità dolci; Matilde Gioli, a cui basta stare davanti a una macchina da presa per catturare tutta la tua attenzione; Luca Di Giovanni, nerd buono che sa giocare con un personaggio stereotipo dandogli tridimensionalità. E poi ci sono tanti altri, comprimari fondamentali (Massimiliano Gallo e Lidia Vitale, nel film i genitori di Matteo, si confermano una spanna sopra a tanti loro colleghi), che sanno dare a un film dritto, lineare, vivace uno spessore che ti porta a rimanere lì, per vedere l’effetto che fa. A capire, a scorgere la (vera) storia di Matteo Achilli (bella seppur a volte troppo autocelebrativa l’autobiografia edita da Rizzoli), a sentire che persino qui, in Italia, può succedere che un 19enne di Corviale vada alla Bocconi e nel frattempo metta su Egomnia, un LinkedIn ante litteram con un algoritmo a calcolare il merito, un optional mal sopportato dalle nostre parti (il merito, non l’algoritmo).

Paola Calliari



Presente alla proiezione per la stampa, il vero Achilli coglie subito il punto. «È bello che abbiano voluto fare un un film sulla storia di un ragazzo normale: questo secondo me può far identificare molti. Ci sono tanti bei valori, tra cui non lamentarsi e rimboccarsi le maniche e creare valore per questo paese». Magari dovendo passare per le forche caudine di un successo troppo immediato, delle invidie – non sono pochi gli haters del giovane Matteo, classe 1992 -, dell’ubriacatura inevitabile di chi pensa di avercela fatta e magari, per un po’, perde la bussola.

Ecco perché Emma, la donna che gli è ancora accanto, è una figura cardine della storia. E trova in Paola Calliari una brava e sorprendente interprete. «Non conoscevo Matteo ed Egomnia. Ed è bello sapere che è una storia italiana, che possa succedere qui, mi ci sono ritrovata». Oltre che attrice, Paola è una ballerina moderna (anche se nel film incarna invece una danzatrice classica, splendida la scena del balletto, da far attorcigliare le budella, direbbe Julia Roberts): tra spettacoli, momenti di studio, ha viaggiato e fatto arte in quattro continenti. Classe 1991, ha cercato altrove il modo di affermare il suo talento e la sua storia rappresenta l’essenza del film. «Tanti giovani si fanno un mazzo così – afferma decisa – per i loro sogni: altro che choosy, non ci conoscete. Interpretare Emma per me è stato importante anche per la sua etica del sacrificio e il suo idealismo, lei sa che per fare ciò che desidera nonostante tutto e tutti deve lottare e sopportare».

Andrea Arcangeli e Paola Calliari



Mood che condivide anche Arcangeli, che con sincerità confessa il suo scetticismo iniziale. «Al primo provino non credevo al fatto che esistesse una storia del genere. E tanto meno credevo volessero davvero farci un film. E poi con attori che non fossero star!». Meritocrazia non sempre fa rima con utopia. E a volte serve uno che fuori dalle ideologie sa essere idealista, come quel Barbareschi che ci tiene subito a ringraziare i collaboratori D’Ercole e Gaeta, refrattario a prendersi meriti non suoi, per la scelta della storia (il primo) e del regista (il secondo). «C’è una comunicazione negativa costante in questa società, ma l’Italia è e rimane un grande paese. Lo vedi in tutti i campi in cui politica e burocrazia non incidono o non riescono a farlo: dalla moda allo sport alle nanotecnologie. Questo film ci dice che un ragazzo del Corviale può farcela. E un messaggio del genere è fondamentale in un paese in cui al sud cominciano a smettere di crederci».



Ci riesce The Start Up, con una scrittura fluida, una regia semplice e un montaggio dinamico, ci riesce perché a quel ragazzo fragile ma determinato credi, ci riesce perché forse hai anche bisogno di sapere che a volte questo paese i suoi talenti migliori non li massacra. O che magari, semplicemente, quei talenti sanno dribblare persino le stragi di cervelli, i baroni, i dinosauri, i “vecchi di merda” cantati da Giancane (anche se qui le musiche, belle, sono di Pivio e Aldo De Scalzi, con un paio di pezzi di Nesli niente male) e la cappa di negatività che l’Italia emana da decenni, ormai. In fondo, Matteo, in una delle battute più riuscite del film, la fotografia di tutto ciò che ci circonda la fa, senza però mollare la presa. «Se nasceva in Italia, Steve Jobs neanche il mutuo per la prima casa gli davano».

Ma forse la frase più importante è un’altra. Quella di Emma. Matteo le chiede «perché tutta questa fatica se non per diventare prima ballerina?». E lei «Per quello che la fatica fa di te». Paola Calliari la dice ispirata la battuta sul set, ci credi e capisci. Che per quanti alibi puoi avere, se non vivi al massimo e non le provi tutte, rimani tu l’unico colpevole dei tuoi fallimenti. «Fin da piccola ho avuto la fortuna di sapere ciò che volevo fare, avevo un sacro fuoco che mi portava a imparare, a istruirmi, a voler fare bene, alla perfezione, a ciò che amavo. E cercarlo ovunque, se necessario, in Italia come all’estero. E questo film mi ha regalato l’opportunità di far coincidere le due passioni per cui ho faticato tanto: danza e recitazione. E farlo con Alessandro D’Alatri che è stato un po’ padre e un po’ guida, è stato bellissimo. Io non mollo: voglio continuare a recitare e non smettere di ballare». Ha ragione il regista quando dice «ogni giovane è una start up e le loro storie sono bellissime». E vanno raccontate.