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‘The Crown 5’, la fatica di essere royal: le dichiarazioni dei protagonisti

Alla vigilia dell'uscita della quinta stagione , la prima che vediamo dopo la morte della Regina Elisabetta ,, parlano i (nuovi) volti dell'amatissimo British drama by Peter Morgan

Foto: Netflix


LA domanda arriva alla fine della conferenza stampa di The Crown 5: dopo la morte della regina, cambierà qualcosa nella reazione del pubblico alla nuova stagione? «Ovviamente la percezione di quello che facciamo è diversa adesso, ma credo che la gente sarà sollevata dal vedere di nuovo the Queen sullo schermo», dice Jonathan Pryce, che interpreta il principe Filippo nel quinto capitolo del dramma british. E cioè quello in cui la royal family affronta la sua più grande sfida: dimostrare che è ancora rilevante nell’Inghilterra degli anni ’90.

«Al funerale di Elisabetta II la coda di persone era infinita», ricorda Staunton, che a Lilibet dà volto nei nuovi episodi. «Era stata caricata di una grande responsabilità da giovanissima, e le persone la ammiravano tanto perché aveva mantenuto le sue promesse. Stiamo celebrando una donna che ha fatto il suo lavoro, sempre dritta, senza distrarsi mai». E quell’esempio di dedizione totale al proprio ruolo e al Paese oggi è più raro che mai: «Vederlo di questi tempi, in cui la lealtà e la dedizione dei politici al loro ruolo lascia molto a desiderare, è importante. Quella gente in coda per renderle omaggio lancia un messaggio preciso: “È questo il tipo di persona che vogliamo a guidare la nostra nazione”. Adesso è tutto molto diverso, non ricordo neanche come si chiama quella tizia che è durata poco più di una settimana (il riferimento all’ex premier Liz Truss, ndr)…», ridacchia Pryce.



Ma andiamo al sodo: alla viglia dell’uscita, The Crown 5 è già molto discussa proprio perché, tra le altre cose, affronta un momento caldo della storia dei Windsor: il divorzio tra Carlo e Diana, che rispettivamente hanno il volto di Dominic West e Elizabeth Debicki. «Credo che la vita di Carlo sia una delle più analizzate del mondo», afferma lui. «Parlando di una separazione, ci sono sempre due campane e spero che la serie renda giustizia a entrambi. Ovviamente amo Charles, non posso farne a meno e inevitabilmente sto dalla sua parte e gli do il beneficio del dubbio».

Quanto era nervosa Debicki all’idea di impersonare Diana? «Moltissimo, credo lo fossimo tutti. È stata una responsabilità pazzesca, ma avevamo il supporto di tanti che capivano la pressione e ci hanno messo nelle condizioni di fare il meglio possibile. Mi ci è voluto un po’ per capire che io portavo la mia interpretazione che si sovrappone all’interpretazione che ne ha dato Peter Morgan in scrittura. Il terzo step è quello degli spettatori che si approcceranno con il loro bagaglio e l’impressione in qualche modo di possedere i personaggi attraverso chi li ha interpretati prima di noi e attraverso i ricordi che hanno nella vita reale, è come una danza tra tutto questo, un processo molto complesso e molto bello». Uscire dal personaggio di Lady D. a fine giornata era possibile? «No, non si scappa, siamo ancora tutti lì, stiamo girando la sesta stagione, ci stiamo nuotando ancora dentro», racconta Debicki.

Foto: Netflix

«C’è un incredibile dipartimento di ricerca, a cui puoi chiedere qualunque cosa sul tuo personaggio o sulla royal family, è una risorsa pazzesca da cui attingere per noi», spiega West. «Per studiare Diana mi sono serviti moltissimo gli snippet», continua Debicki, «quei girati che non sono mai stati usati per le news, senza voice over, sequenze molto grezze e momenti off (tipo qualcuno che apre la portiera della macchina), ma molto utili per capire il linguaggio fisico e le interazioni. E poi avevamo dei coach fantastici (di linguaggio, di movimento), perché nell’interpretare questi personaggi ci sono molte sfide tecniche, ci hanno dato tutto il tempo necessario». Per Philip, ad esempio gli elementi fisici essenziali erano «la postura e la sua stretta di mano», afferma Pryce. «È molto generoso nello slanciarsi verso le persone quando le saluta, non tira la gente verso di sé come fa Trump». L’esatto opposto del figlio: «Charles non si sporge per stingere la mano, è contenuto, è il futuro re, sono gli altri che devono andare da lui», commenta West.

Scrittura di Peter Morgan e grandi interpretazioni a parte, il resto in The Crown lo fanno da sempre le scenografie sontuose («Sono stato al castello di Windsor da poco e penso che quello ricostruito per la serie sia meglio», parola di Jonathan Pryce) e i costumi pazzeschi: «Quello che di Diana ha affascinato tanto anche nelle scelte di moda è stato portare la sfera privata in quella pubblica, che era assolutamente anti royal e ha catturato tantissimo le persone, era trasgressivo. E fa immaginare anche chi fosse Diana a porte chiuse, una versione senza filtri, è quell’accesso alla sfera privata che è bellissimo». Lesley Manville, aka la Principessa Margaret è d’accordo: «In The Crown puoi quasi ignorare gli eventi reali, il punto è quello che i nostri personaggi provano, sentono. Quando il pubblico guarda all’evento non pensa a cosa possano provare i reali. E invece il copione esamina al microscopio ogni minimo sentimento di tutti. Perché ognuno partecipa con la sua vita che va avanti, i suoi problemi. È molto bello poter raccontare le loro storie personali, umanizzarli».

Ancora Manville: «Quando inizi a studiare il personaggio lo fai da solo, ma negli ultimi mesi ci sono così tanti livelli da costruire con tutti i dipartimenti, ho visto davvero Margaret quando ho lavorato con i costumisti, il make up e il voice coach». Imelda Staunton ha avuto un problemino di shopping post-serie: «Mi sono preoccupata quando ho capito che stavo benissimo con quei vestiti, perché sono stati fatti tutti su misura, provateci voi a comprare una giacca dopo avere indossato quei capi». La sfida più grande rispetto al personaggio di Elisabetta? «Tenere tutto saldamente dentro, che è un grande esercizio di recitazione: c’erano giorni in cui ci riuscivo e giorni meno fortunati. Quando hai la scrittura che fa l’80% del lavoro (o di più), la sfida è catturare il pubblico e mostrare i sentimenti. Questa famiglia è limitata nelle sue esternazioni, quello che Peter Morgan cerca di fare è darci una vita oltre quel confinamento».

Nel cast c’è anche Jonny Lee Miller, alias Sick Boy di Trainspotting, nei panni del premier conservatore John Major: «Ho letto e visto moltissimo di lui, ma cosa l’aspetto più interessante è che sono cresciuto in una casa socialista e di sinistra e lo sono pure io… da giovane pensavo di sapere chi fosse John Major, ma più lo studiavo, più ho imparato a conoscerlo e ho scoperto che abbiamo molte similitudini. E poi ho approfondito il suo lavoro e il mio rispetto è cresciuto. Credo fosse molto incompreso». Anche Pryce ammette che la serie ha modificato la sua visione di Filippo: «Mi ha reso molto più consapevole di che uomo fosse oltre i titoli. Per tutta la vita è stato bistrattato dalla stampa come brontolone, irascibile, diceva spesso le cose sbagliate rispetto alle colonie. Cercare l’uomo dietro tutto questo ha essenzialmente cambiato la mia percezione».

Foto: Netflix

La miglior difesa a tutte le polemiche che, ancor prima dell’uscita, circondano la quinta stagione di The Crown arriva da Imelda Staunton, the Queen herself: «Parliamo di un periodo in cui le vite dei personaggi erano molto difficili e per un attore essere chiamato a interpretare questo è qualcosa di incredibile. The Crown è un drama, Peter Morgan ha scritto un grande dramma che si basa su eventi e persone reali, ma dà ai personaggi cuore, anima e cervello. Non è drammatico quando le cose sono facili e carine, il drammatico sta nelle difficoltà, nelle cose che vanno male e in come le persone si comportano in quelle circostanze. È questo il viaggio».

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