"S is for Stanley", ovvero il Kubrick intimo di Alex Infascelli | Rolling Stone Italia
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“S is for Stanley”, ovvero il Kubrick intimo di Alex Infascelli

Gli è valso un David di Donatello e tante soddisfazioni. Trent'anni dietro al volante per Stanley Kubrick raccontati (senza picchi voyeuristici) attraverso i ricordi di Emilio, il fidato driver

Il regista Alex Infascelli con Emilio D’Alessandro, protagonista di "S is for Stanley"

Il regista Alex Infascelli con Emilio D’Alessandro, protagonista di "S is for Stanley"

Alex Infascelli ha appena ritirato un David di Donatello per S is for Stanley: 3 anni passati nei luoghi di Kubrick insieme a Emilio D’Alessandro, che fu l’autista del regista cult per più di 30 anni. Autista factotum e anche amico e confidente, oggi 73enne.

Infascelli ha potuto toccare con mano memorabilia da perderci la testa, come la giacca di Jack Nicholson in Shining o il cappello del Sergente Hartman o pezzi di scenografia con annotazioni a mano di Stanley, eppure continua a sostenere che l’emozione di avere un proprio scritto pubblicato su Rolling Stone è senza pari, sarà.

Ma maneggiare un pezzo della sceneggiatura di Barry Lyndon scritta a mano con quella penna blu è una roba che chissà quando ti ricapita: «È un’esperienza quasi extracorporea, più che gli oggetti, che hanno quella risonanza iconografica e che erano già stampate nella mia testa, ma sono gli scritti, il contatto con la quotidianità di Stanley è stata la cosa che mi ha più sconvolto in assoluto. Avere in mano il biglietto con su scritto “compra i gamberoni, compra il pesce, scegli questo sapone qui” era proprio quello che mi dava la sensazione di staccarmi dal corpo perché era “me e lui” in quel momento. E poi era inedito e da parte di Stanley era assolutamente casuale, non era Kubrick, ma Stanley a parlare, a scegliere».

Così nella sua testa Infascelli ha diviso gli oggetti appartenuti a Stanley da quelli appartenuti al maestro Kubrick, la stessa differenza che c’è tra mito, marchio e persona. Questo film si chiama S is for Stanley e non K is for Kubrick proprio per questo motivo, parla del suo lato personale, intimo, è proprio come se lo dicesse Emilio”. Proprio il modo in cui l’ho lavorato e come si è comportato rispetto al primo lavoro ha fatto sì che lui diventasse proprio un oggetto misterioso e proprio un brand, qualcosa fuori dai canoni standard. Gli aneddoti sono raccontati in una maniera molto terrena, quindi non c’è neanche quell’effetto voyeuristico di andare a vedere il presidente della Repubblica o Napoleone che si scaccola, non c’è quella cosa là dell’andare a sbirciare dal buco della serratura» insomma è tutto raccontato attraverso le parole di Emilio, protagonista assoluto della sua storia con Stanley.

«Quello che viene fuori è un ritratto, un’istantanea di trent’anni di vita perfettamente a fuoco. Non subiscono insomma nel documentario una romanticizzazione, non è un ricordo ingiallito come le fotografie, le polaroid, è un ricordo fedele. Ho deciso di farlo parlare al presente proprio perché mi era arrivata questa sensazione fortissima, avevo capito che lui aveva incapsulato quelle esperienze riproponendole in maniera identica, saltando il passaggio della rielaborazione successiva» come in questa clip video, in cui Emilio racconta in esclusiva per Rolling Stone il rapporto di Stanley con gli animali. Ogni volta che Stanley Kubrick trovava un animale per strada doveva essere curato e poi adottato.

«Non aspettavo che piacesse così tanto, vedere la gente in lacrime durante le prime proiezioni mi ha portato a chiedermi “ma che cazzo sta succedendo?” dopotutto Emilio sta raccontando una cosa che è successa almeno quarant’anni fa, possibile?». Possibile. «Ed è proprio questa la sua forza» protagonista assoluto del film, insieme al suo ricordo di Stanley.

«Emilio si emoziona soltanto una volta in maniera tangibile, quando racconta dell’addio, del primo addio, che però non è non quello definitivo. E lì si emoziona e piange perché succede davvero nel ricordo, nel 1994, gli vengono le lacrime quando dice “io piansi e pianse anche lui” e allora succede davvero. Ma questo non è l’aneddoto più significativo del film, forse non c’è un aneddoto più significativo perché Emilio li infila uno dopo l’altro ed io li porto sullo schermo a raffica, in uno squarcio, un unico lampo. Sono loro due l’aneddoto, Stanley ed Emilio in una fotografia insieme, la loro vita insieme è quella cosa che gli ha permesso di entrare in una dimensione parallela in cui il ricordo vivrà per sempre» come se fosse un concerto di Springsteen, un’emozione via l’altra, senza pause (ride, ma ci sta).

«La soddisfazione più grossa che ho avuto, al di là dei premi che non valgono neanche una parte di questo, è stata quella di rendere eterno questo ricordo. L’emozione più grossa l’ho avuta quando Emilio si è visto nascere ed esistere, ma non Emilio D’Alessandro, ma l’Emilio di Kubrick, quello che io ho portato alla luce per questo documentario». Dal 30 maggio il film sarà distribuito nei cinema italiani «e secondo me anche Stanley si sarebbe commosso vedendo Emilio così felice e così grato».

La storia dietro la storia non sta neanche nella colonna sonora firmata da John Cummings, ex Mogwai, ma secondo Alex sta nel modo in cui ha conosciuto Emilio, «grazie a quelle che potevano sembrare scelte sbagliate e che mi hanno portato a tutto questo, passando per l’insolita distribuzione di H2Odio e la televisione. Senza questo percorso silenzioso e sotterraneo non avrei mai conosciuto Emilio. Ai tempi di MTV mi mandarono a intervistare la moglie di Stanley, Christian, per uno speciale che sarebbe andato in onda prima di Arancia Meccanica su La7. È lì che è stato messo giù il semino che anni dopo ha fatto nascere questo, probabilmente ho deciso lì di voler raccontare questa storia incredibile. Come se il mio incontro con Kubrick fosse stato preparato da tempo nella mia vita, ce l’ho anche tatuato su un fianco. E il tatuaggio della sua faccia sul mio fianco ce l’ho da molto prima di questo, ce l’ho da prima di H2Odio, forse dal 2005. La sua faccia mi rassicurava, e forse mi ricordava un po’ mio padre» il produttore e regista Roberto Infascelli è scomparso nel 1977. «C’era sicuramente un desiderio di ricollegarmi a lui. Lo associavo alla figura di mio padre, proprio come Emilio lo associava al suo, quindi c’era una corrispondenza. Anche per me Kubrick è stato una figura protettiva e paterna. La sua faccia, il suo sguardo distaccato, ironico, depotenziato e poi… Produceva quei terremoti di film».