'Romolo + Giuly', il Muro capitale | Rolling Stone Italia
News

‘Romolo + Giuly’, il Muro capitale

Una tragedia shakespeariana in romanesco e un cast di nomi super cult. «Il romano? È un napoletano mancato» secondo Fortunato Cerlino.

‘Romolo + Giuly’, il Muro capitale

«È un Games of Thrones all’amatriciana», dice Alessandro D’Ambrosi, protagonista di Romolo + Giuly. La guerra mondiale italiana, descrive così la serie comedy creata con Giulio Carrieri e Michele Bertini Malgarini. On air dal 17 settembre su Fox, la travagliata e surreale love story (simil-shakespeariana) tra gli eredi dei Montacchi e dei Copulati, potenti famiglie capitoline al centro dell’antichissima faida tra «una Roma Sud chiassosa e coatta e una Roma Nord fatta di ricchezza ostentata, sentimenti rarefatti e rapporti umani dominati dalla convenienza. Se la prima è come il Messico, la seconda è come gli States. A tenerle se- parate un muro “trumpiano”», spiega D’Ambrosi. «Il tema della percezione dell’altro sviluppa la sensazione di alterità di chi vive lo stesso luogo e traduce le stesse cose, ma in codici diversi».

Così, se da un lato c’è Romolo, rampollo del quadrante popolare della Città Eterna, dall’altra spunta l’affascinante Massimo Copulati, papà di Giuly, palazzinaro ed ex star dei fotoromanzi con il volto di Massimo Ciavarro. Uno che i quartieri Trieste, Parioli e Fleming li conosce a menadito, ma rifugge l’idea di un vero conflitto. «Prima le contrapposizioni erano politiche, con Roma Nord allineata all’MSI e Roma Sud al Partito Comunista», ricorda l’attore. «Anche se le cose sono cambiate, questo progetto è divertente perché esalta i nostri difetti, come fa- cevano Risi, Monicelli e Sordi».

Il vero elemento di novità, però, è l’aggiunta di una duplice minaccia che incombe sulla Capitale in lotta. Napoli e Milano, esasperate dalla tracotanza romana, si alleano per separarsi dallo Stivale. A capeggiare l’improbabile unione due villain d’eccezione: Giorgio Mastrota (nei panni di se stesso) e don Alfonso aka Fortunato Cerlino, l’indimenticabile Pietro Savastano di Gomorra.

«La serie fa ridere per davvero, ma ci sono anche argomenti seri perché l’Italia, come stiamo vedendo, è ancora da compiere», riflette Cerlino, che veste i panni di «un boss romantico, che ama il bello, ascolta la Carmen, dipinge e fornisce interessanti spunti di riflessione».

Cerlino non dimentica l’appartenenza alla sua città, «che anche nei momenti più bui è riuscita a trovare energie straordinarie dando una spinta vigorosa a tutto il Paese. Napoli è una ferita aperta, che ha in sé l’antidoto e la guarigione». Torna poi sui presunti conflitti regionali alla base del serial: «Siamo il Paese dei campanili. Per noi la perfezione è essere partenopei», scherza. «Il romano? È un napoletano mancato». Il cult è servito.