‘Rimetti a noi i nostri debiti’: Marco Giallini e Claudio Santamaria nel primo film Netflix italiano | Rolling Stone Italia
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‘Rimetti a noi i nostri debiti’: Marco Giallini e Claudio Santamaria nel primo film Netflix italiano

I due migliori attori del nostro cinema in una pellicola che dipende tutta da loro. Ma l'esperimento è così rivoluzionario?

‘Rimetti a noi i nostri debiti’: Marco Giallini e Claudio Santamaria nel primo film Netflix italiano

Marco Giallini e Claudio Santamaria in 'Rimetti a noi i nostri debiti'

Rimetti a noi i nostri debiti di Antonio Morabito è il primo film di Netflix in Italia. E già questa è una notizia. Sarà disponibile in streaming dal 4 maggio. Nessuna uscita in sala. Sulla carta, è un annuncio che apre a molteplici possibilità per i film più piccoli, per quelli senza distribuzione (com’era, in principio, “Rimetti a noi i nostri debiti”) e per i registi esordienti. Concretamente però, almeno per adesso, cambia poco: è un titolo, solo un titolo; i due protagonisti sono due degli attori più bravi che ci sono oggi in Italia, Marco Giallini e Claudio Santamaria; la storia è una storia dark, drammatica, che si chiude mestamente. Ma non c’è nessuno scatto. Nessuna rivelazione. Nessuna grande storia universale – «local is the new global», continuano a ripetere in Sky.

In Rimetti a noi i nostri debiti non ci sono né vincitori né vinti. Ma solo debitori – «morti», li chiama Franco, il personaggio di Giallini – e creditori. A chiedergli perché alla fine abbia scelto di distribuire il suo film con Netflix, Antonio Morabito, il regista, risponde semplicemente: «Perché erano convinti». Perché ci credevano. E quindi c’era entusiasmo. Cosa che, invece, non avevano i distributori più tradizionali.

Altro dettaglio: uscire su Netflix significa essere distribuiti in 190 paesi e in 22 lingue. Per un film come questo, è una cosa importante. Specie perché, come conferma Giallini, «c’era poco budget». Sono seduti l’uno di fianco all’altro, lui, Antonio Morabito e Claudio Santamaria. Rimetti a noi i nostri debiti ha avuto poco budget, ma alla base c’erano tante idee (almeno secondo il regista) e un mondo che – praticamente – non esiste. Quasi un mondo a metà.

Siamo a Roma, ma non siamo a Roma: ci sono pochi italiani e molti stranieri; i personaggi di Santamaria e Giallini riscuotono debiti. Prima li comprano da una banca, poi – insistendo, urlando, minacciando – se li fanno pagare. «Il mio personaggio – dice Santamaria – sopravvive. [Guido] lotta per la sua sopravvivenza». E se diventa uno squalo, un mostro, uno stronzo come il personaggio di Giallini, è solo per questo. Puro istinto di conservazione. O diventi cacciatore o finisci per essere la preda.

C’è una frase, rubata al direttore della fotografia del film, che Santamaria ripete spesso e che sintetizza perfettamente il rapporto che c’è tra lui e Giallini in Rimetti a noi i nostri debiti: «Nessuno dei due permette di essere all’altro quello che è di solito». È un gioco di compensazione, insomma. Di alti e di bassi. Di interpretazioni che, come in un puzzle, si incastrano. Quando Santamaria rallenta, Giallini accelera. Quando ad accelerare è Giallini, Santamaria si ferma. Aspetta.
Rimetti a noi i nostri debiti non è poi tanto diverso da altri film usciti nelle sale italiane. Di spunti veramente interessanti ce ne sono pochi. Se funziona – e funziona solo a tratti, troppo lungo e lento – è per il lavoro degli attori. Quello che incuriosisce veramente, qui, è l’esperimento di Netflix. Il fatto che un film pensato per il grande schermo, alla fine, esca via streaming (che non significa per forza televisione: ma anche smartphone, tablet, qualunque device connesso ad Internet praticamente).

E se è vero che il cinema, per questo, non morirà, è interessante capire come una distribuzione come questa influisca, o non influisca, sul sistema Italia. Sia Giallini che Santamaria che Morabito concordano nel dire che è una possibilità. Non un problema. Netflix è una finestra in più. Anzi, secondo Giallini, in questo modo la vita di un film è immensamente più lunga di quella che avrebbe di solito in sala. Ed è vero: non ci sono copie da strappare ai competitor; non c’è una promozione che può funzionare o non funzionare; non c’è un box office a cui rendere conto.

Ma la domanda, a questo punto, diventa: può bastare prendere un certo tipo di prodotto e riproporlo, poi, in streaming per “fare la rivoluzione”? Per – meglio ancora – cambiare le cose? Netflix ha creduto in “Rimetti a noi i nostri debiti”, va bene. Ma è davvero questo, poi, il cinema italiano da importare – via streaming, via Internet, via Netflix – nel resto del mondo? Mancano quell’aria e quella voglia di rinnovamento che, al contrario, ci si aspetterebbe.