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‘Revenge’, la vendetta di Matilda

La Lutz è la star che oggi illumina il cinema italiano nel mondo. E sfonda con un pulp più attuale che mai, dove la violenza sulle donne non viene perdonata. Anzi, proprio il contrario.

Perché le donne devono sempre opporre resistenza, cazzo?
Questa la frase che pronuncia Kevin Janssens, quando scopre che l’amante che si è portato dietro per una battuta di caccia con due amici, decide di vendicarsi per essere stata violenta- ta e gettata in un burrone. È, a grandi linee, la trama di Revenge. La protagonista, quella che oppone resistenza, è Matilda Lutz, attrice e modella nata a Milano da padre americano e mamma italiana, già vista e apprezzata in L’e- state addosso di Gabriele Muccino. Qui è af- fidata alle cure di Coralie Fargeat, filmmaker francese al suo esordio in un lungometraggio che, come dice il titolo, non si perde in preli- minari, e va subito al punto. Revenge, a tut- ti i costi. Il film è stato concepito prima che esplodesse il #timesup, movimento contro le violenze sulle donne, ma è già diventato un punto di riferimento per quel mondo. Re- venge è stato un gran successo al Sundance e al festival di Toronto e sarà al cinema dal 6 settembre. Nel cast anche Vincent Colombe e Guillaume Bouchède. La vostra Bestia ha incontrato la nuova star tricolore: signore e signori, Matilda Lutz.

All’inizio del film la tua rappresentazione di Jen è il classico stereotipo della bella bionda senza cervello, che flirta con gli uomini perché è quello che ci si aspetta da lei.
Le prime immagini di Jen sono molto sexy, in mutande, con vestiti attillati o mentre succhia un lecca lecca. Jen vuole dare piacere al suo uomo (Kevin Janssens, ndr), ed è disposta a intrattenere i suoi amici. C’è una scena in cui ballo in modo seducente con Vincent Colombe, che poi mi violenta, perché crede io voglia fare sesso con lui. Ho discusso a lungo con Coralie sul perché di quei comportamenti, che sono uno degli snodi chiave del film. Jen viene vista come un oggetto, che chiunque può usare come gli pare, sentirsi autorizzato dal suo comportamento a violentarla. Dopo lo stupro, Jen si trasforma in una donna forte, coraggiosa, determinata a fare giustizia non solo per se stessa, ma per tutte le donne abu- sate e violentate. Una vera eroina. Ma Revenge non è una pellicola sulla violenza sessuale.

Cosa intendi con queste parole?
Lo stupro non viene usato come pretesto per degradare o umiliare le donne. Lo stupro è uno dei veicoli per presentare la violenza che subiscono quotidianamente milioni di donne, spesso solo perché il loro aspetto fisico, o il modo di vestire, suggerisce una disposizione a farsi trattare come oggetti. Per Coralie era importante girare nel deserto, proprio per sottolineare l’isolamento in cui si trovano molte donne abusate e molestate.

Jennifer dopo lo stupro diventa un’altra persona. Come avviene?
Quando decide di vendicarsi subisce una metamorfosi, è come se fosse rinata. Non è più una vittima, e i cacciatori diventano prede. Ho amato il fatto che Coralie non abbia voluto fare un classico horror, dove la bella ragazza urla sempre e, nonostante la violenza subita, rimane la stessa, convivendo con la propria paura. Jen reagisce, non subisce la situazione. Il fatto che sia fisicamente provocante e attraente non fa altro che aumentare la reazione negativa da parte degli uomini, che non si aspettano diventi una cacciatrice.

Dove avete girato?
In Marocco. Era inverno e nel deserto faceva molto freddo. Tutta la troupe indossava giacche a vento e io ero a piedi nudi, praticamente in costume da bagno. Le giornate erano lunghe, 17 ore di riprese con quattro di makeup. È stata un’esperienza incredibile.

Cosa ricordi del primo incontro con Coralie Fargeat (che ha anche scritto il film, ndr)?
L’ho incontrata prima di leggere il copione e mi sembrava di conoscerla da sempre. Abbiamo parlato di tutto, tranne che del film. Il giorno dopo ci siamo incontrate alle 6 del mattino per l’audizione e abbiamo discusso a fondo della parte. Ha sempre avuto le idee chiare: sapeva esattamente quello che voleva, compresi il colore delle mie unghie e dei capelli. Le sono piaciuta, ma poi ha scelto un’altra. Mi ha chiamata scusandosi e dicendomi che non era una questione personale. Poi, una settimana prima delle riprese, l’attrice scelta non ha più voluto il ruolo, e Coralie mi ha chiesto se volevo ancora la parte. Con tutti i registi con cui ho lavorato ho avuto un approccio passivo, mentre con lei mi sono confrontata alla pari: ogni giorno facevamo dei cambiamenti, a seconda delle scene. Non è stato facile, ma avevo veramente voglia di interpretare Jen. Anche perché in genere mi offrono sempre ruoli da brava ragazza.

Com’è stato lavorare con tutto quel sangue in giro?
All’inizio era divertente, un’esperienza nuova. Quando abbiamo girato le prime scene, il team degli effetti speciali ha spalmato il sangue sulle pareti. Ma Coralie voleva l’intera casa ricoperta di sangue! Era ovunque, sul soffitto e sui pavimenti, e scivolavi di continuo. Faceva molto freddo, perché il sangue era gelido, e nelle pause, per scaldarmi, mi tiravano addosso secchi di acqua bollente.

Perché hai deciso di fare l’attrice?
Per colpa… del Titanic: è stata la prima volta che sono andata al cinema, a sei anni, con mamma e mio fratello. Inutile dire che sono una grande fan di Leonardo DiCaprio!

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