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Quant’era punk la tv degli anni ’70

Ne abbiamo parlato con Francesco Vezzoli, che ai programmi televisivi dell'epoca dedica una mostra alla Fondazione Prada

«Ok, adesso ti dico una cosa che non fa per niente millennial: sono un teledipendente con lo schedule da 95enne. Niente Netflix: per me la tv è un rito. Guardo tutto: ho visto Sanremo e mi è piaciuto. Seguo Chi l’ha visto?, uno sfiatamento per la mia testa. Guardo anche I fatti vostri. Trash? No, solo la disonestà lo è».

Mina e Adriano Celentano in uno dei programmi Rai degli anni ’70, in mostra dal 9 maggio alla Fondazione Prada

Francesco Vezzoli, classe 1971, già enfantprodige (c’è chi dice terrible) dell’arte, capace di conquistare, lui nato a Brescia, i collezionisti di Hollywood con i suoi ritratti e le sue opere che mescolano un po’ di tutto (il pop, l’uncinetto, la video-art), parla del suo amore viscerale per il piccolo schermo.

«Rispetto Maria De Filippi: ha introdotto il trono-gay in modo credibile. Il sabato sera faccio zapping tra Amici e Ballando con le stelle, diarchia interessante: da un lato il futuro, dall’altro l’establishment. Non sono uno “addetto ai livori”: guardo tutto questo dal di fuori, e sorrido».

Un’opera di Francesco Vezzoli

L’ossessione per la tv Vezzoli ce l’ha da sempre. «Nutrito dai genitori con il cinema dei fratelli Taviani e dalle zie con Canzonissima», si toglie ora lo sfizio di mettere in mostra (e che mostra: occupa gli enormi spazi della Fondazione Prada di Milano) tutta la sua passione per Mamma Rai. TV 70: Francesco Vezzoli guarda la Rai (dal 9 maggio al 24 settembre), nato in collaborazione con la televisione di Stato, è un progetto in perfetto “Vezzoli style”, mescola programmi cult (chi non ricorda il mitico Stryx sull’allora Rete Due, anno di grazia 1978?) e roba pop, l’ombelico della Carrà e le opere di Nanni Balestrini e poi Monicelli e Pasolini con Mina e Amanda Lear.

«La Fondazione Prada è il museo più anarchico che c’è: perfetto per me. Ho attinto a quell’incredibile tesoro che sono le Teche Rai, tirando fuori i programmi che ho amato di più, da Milleluci a La notte della Repubblica di Sergio Zavoli, il mio preferito. Quant’era punk la Rai degli anni ’70! I politici erano impegnati in giro nelle sezioni, mica occupavano i talk-show, come invece fanno oggi. La tv era varia e divertente. Anche questa mostra è divertente», giura.

Mina e Giorgio Gaber

“Radicale, ma con un cuore compiacente” (cit. Vezzoli), la mostra è una sorta di Biennale dell’immaginario iconico (tv + arte) degli anni ’70 in Italia: nel cinema della Fondazione andrà in loop un “super blob” editato da Vezzoli («Ma prometto anche super-maratone serali con Sandokan!”), mentre nella Galleria Nord, nel Podium e nella Galleria Sud, complice un percorso espositivo progettato dal geniale duo francese M/M, alias Mathias Augustyniak e Michael Amzalag, si alternano video-installazioni con immagini di programmi Rai, e poi sculture, dipinti e pezzi degli artisti più importanti di quel decennio.

Nella prima parte, lavori di Alighiero Boetti, Alberto Burri, Renato Guttuso sono accompagnati da spezzoni della tv “colta” dell’epoca (P.P. Pasolini, Fellini, De Chirico andavano ospiti in prima serata). Procedi e Vezzoli mostra a modo suo il peso degli anni di piombo: esposti i quadri “politici” di Nanni Balestrini e Carla Accardi, e poi video con i notiziari sulle rivendicazioni dei diritti civili (il divorzio, l’aborto).

Le sorelle Kessler

Il percorso si chiude sul tema del divertimento, tra spezzoni di Milleluci e l’installazione optic di Giosetta Fioroni. «Vuoi la verità?», conclude l’artista.

Nanni Balestrini. Non capiterà mai più, 1969. Collage. Serie di 12 opere. Foto: Nicola Eccher

«Questa mostra è una pazzia, è una cosa così diversa da quelle che ho fatto sinora! Racconto ai millennials ciò che conosco bene, ciò da cui derivo. Vorrei sapere che effetto fa, che ne so, al figlio di Daria Bignardi e Luca Sofri, che per me incarna simbolicamente quel crocevia bizzarro tra impegno politico, lotta per i diritti civili, cultura e divertimento che furono gli anni ’70. Che epoca, ragazzi».

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