'Leto' e l'amore ai tempi di Leningrado | Rolling Stone Italia
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‘Leto’ e l’amore ai tempi di Leningrado

La new wave, Bowie, Blondie, poi il cinema con gli echi di Godard e Truffaut. Il nuovo film di Kyrill Serebrennikov è un racconto ambizioso di tre generazioni

‘Leto’ e l’amore ai tempi di Leningrado

Il nuovo film di Kyrill Serebrennikov è un elegia per la new wave, l’amore, avere vent’anni nella Lenigrado dei primi anni ’80. È in bianco e nero, girato con meravigliosi attori e vere rockstar, tecnica pazzesca. Alterna il falso documentario, macchina a mano, al musicarello d’era sovietica e al videoclip. Serebrennikov di anni ne ha quasi 50. È un regista di cinema e di teatro tra i più discussi e amati in Russia, una mezza superstar. Di recente ha portato in scena l’omosessualità di Nureyev e l’ossessione religiosa della società russa. My generation: quando ne aveva venti i suoi eroi erano due rocker semiclandestini, come usava nel crepuscolo del socialismo reale, di poco più grandi di lui: Viktor Tsoj e i suoi Kino; Mike Naumenko e gli Zoopark.

Tsoj era figlio di un ingegnere nordcoreano. Scriveva canzoni storte e sfigate con il gusto del nonsense, una specie di Johnathan Richman, un Morrissey dei tempi andati. Anche attore di cinema underground, alla fine degli anni ’80. Qui la sua parte va all’attore coreano Teo Yoo, che recita in russo ma è doppiato quando canta. Mike invece lo chiamavano così perché aveva studiato l’inglese, tradotto e diffuso Beatles, Lou Reed, David Bowie. Le aveva anche cantate. Nel film è la rockstar Roman Bylik, cantante degli Zveri, una specie di Red Hot Chili Pepper russi che hanno curato quasi tutto il rifacimento della colonna sonora d’epoca. La ascoltiamo per tutto il film suonata in segreto nelle feste di appartamento e in pubblico nel mitico Leningrad Rock Club, il teatrino dove sotto gli occhi (e l’esame ideologico preventivo) di occhiuti funzionari e la proibizione assoluta per il pubblico di muoversi dalla sedie, era lecito fare gli unici concerti rock in città.

A Serebrennikov il biopic interessa fino a un certo punto. Certo, la sua Leningrado scassata e in bianco e nero, le riprese live della musica, lo avvicinano molto al film sui Joy Division di qualche anno fa, Control (tratto anche quello dalle memorie della moglie di Ian Curtis, Deborah). L’idea “teatrale” invece è quella di restringere l’azione a un episodio poco conosciuto che gli ha raccontato Natalia Naumenko, moglie di Mike. Nei primi anni ’80, quando la coppia viveva a casa dei genitori di lei con un bambino appena nato, Mike aiutò Viktor Tsoj a entrare nella scena rock e incidere un disco. Dalla frequentazione nacque un triangolo amoroso che andò avanti per po’, finché Tsoj si innamorò di un’altra e la sposò. Ecco l’idea del film: il momento in cui tutto ha inizio, il disordine, il tutto è possibile. Primi anni ’80, l’amore, le canzoni, la new wave. Bowie, Blondie, Iggy Pop. Una nuova sensibilità ironica e paradossale sulle cose. New wave ma anche nouvelle vague, l’eco di Godard e Truffaut, del cinema quando racconta i vent’anni.

C’è infine una terza trovata nel tessuto del film, ed è quella di rifarsi ai musicarelli d’era sovietica per mettere in scena delle coreografie di pura nostalgia eighties, con The Passenger su un autobus e Psycho Killer su treno (mentre la polizia politica maltratta i nostri rocker che tornano da una giornata al mare). Non ci stanno male, e completano il senso di un film che ha l’ambizione di attraversare le generazioni, anche al punto di rinunciare a un po’ di precisione storica. Quasi nessuno dei personaggi veri ritratti nel film è stato contento del risultato, abbiamo già letto. Buone parole invece le ha spese Artemy Troisky, giornalista e organizzatore, che avevamo conosciuto all’epoca per un libro Back in the Urss che aprì per primo lo scrigno del rock oltrecortina: un misto di esagerazioni majakowskiane tutto vodka, punk e Joy Division.

Soltanto sui titoli di coda possiamo risentire il suono dei Kino (che vuol dire “cinema”). Su YouTube ci sono. Suonavano parecchio post-punk quando, alla fine degli anni ’80, ebbero l’occasione di girare un po’ in Europa. La canzone L’estate che sta per finire racconta di un tizio solo in casa col tv spento e lo stereo rotto che aspetta la risposta di una ragazza. Le date sullo schermo ci ricordano nella maniera più laconica possibile che Tsoj morì nel 1990 in un incidente stradale, e Mike l’anno dopo per un emorragia cerebrale. Rispettivamente a 28 anni e 36. Non ebbero la possibilità di vedere Leningrado e il mondo dopo la caduta del muro. La loro estate finì allora e chissà. Chissà. Restano eroi di un attimo, per questo ancor più struggenti e puri. Trent’anni dopo Kyrill Serebrennikov, regista bravissimo, intellettuale fine, newwaver nostalgico che si barcamena nella Russia di Putin, la blandisce e la scandalizza, è attualmente agli arresti domiciliari per una storia di finanziamenti pubblici. Non è arrivato a Cannes dove il film è stato presentato e applaudito in anteprima mondiale.

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