"La prima luce" illumina Venezia 72 | Rolling Stone Italia
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“La prima luce” illumina Venezia 72

Trionfo in Sala Perla per il nuovo film di Vincenzo Marra che racconta uno dei più grandi e dimenticati drammi del nostro tempo. Conquista il pubblico delle Giornate degli Autori, ma meritava il Concorso

Vieni cullato dalla voce vibrante e potente di Camila Moreno mentre una storia ti prende a schiaffi dal grande schermo. Ecco, lo schermo, grande. Per un film come La prima luce, per la sua regia e la sua fotografia, per quelle corde vocali che sembrano nate per le immagini su cui si poggiano e per quegli attori di cui comprendi il talento solo con una visione adeguata, è consigliata, anzi necessaria la visione in salao. Il grande cinema, semplicemente, ha bisogno del grande schermo.

E l’ultimo film di Vincenzo Marra è Settima Arte allo stato puro. Il regista napoletano fa una scelta semplice e per questo difficilissima: raccontare la storia più difficile, un amore morente e un figlio conteso, nella maniera più diretta, sincera, asciutta. E questo non toglie pathos, anzi. Lascia la possibilità agli attori di non dover contare sui trucchi del mestiere ma di dover pescare nel profondo i dettagli che fanno una performance, a se stesso la possibilità di pennellare un quadro in cui tutto è al suo posto, in cui non è il guizzo estemporaneo a fare l’opera d’arte, ma un lavoro certosino pieno di momenti di alto livello.

Non era facile, per l’autore, raccontare una storia che, in termini diversi ma non troppo, ricalcasse la sua, ma che su questo set ha assunto toni universali, quelli di Marco, un avvocato barese, e Martina, creatrice di campagne per un’agenzia pubblicitaria. Solo uno sguardo superficiale non nota, da subito, il disagio di entrambi, che però il cineasta non intende ignorare mai.

La forza di questo film forse è proprio nel non cercare la colpa, ma il dramma, di sforzarsi di capire la posizione intransigente e a un certo punto schizofrenica di lei (un’ottima Daniela Ramirez) contrapposta al muro che lui oppone alla sua depressione, all’inizio convinto che i suoi sentimenti possano curarla, poi incapace di ascoltare i suoi “avvertimenti”.

Marra è tanto bravo a dipingere l’implosione di un rapporto tra abbracci e recriminazioni quanto a giocarsi i ritmi lenti di un thriller angosciante in una megalopoli sudamericana nella seconda parte, alla ricerca di ciò che gli è stato tolto. Riesce a camminare su due sentieri narrativi e visivi, offrendo dei ruoli essenziali e preziosi per i due attori: Daniela Ramirez fin dalla fisicità ti fa percepire quel carattere combattivo al limite del fanatismo, Riccardo Scamarcio, semplicemente, non è mai stato così bravo, misurato, potente.

E il 24 settembre l’opera arriverà anche in sala e ci si augura che il pubblico possa consolare il regista del mancato inserimento in concorso – anche se il trionfo alla Giornate degli Autori dovrebbe essere già un ottimo viatico all’ottimismo – e aprire a una fetta di mercato più ampio un cineasta troppo spesso sottovalutato e che ai film di finzione mancava da troppo.