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Il trailer di un film diretto dall’AI, e altre cose che vi siete persi del dibattito sull’Intelligenza Artificiale nel cinema

Emma Thompson e Guillermo Del Toro "preferirebbero morire" che usarla, mentre per George Miller sarà uno strumento democratico e rivoluzionario. Mentre, intanto, c'è già chi la applica
Guillermo Del Toro

Guillermo Del Toro alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia. Credit: Guido Alberto Mattei

Hollywood continua a essere diviso sull’Intelligenza Artificiale, sulle sue applicazioni e sulla sua “bontà”. Dopo l’annuncio dell’arrivo della prima attrice creata con l’AI, Tilly Norwood, la conversazione è continuata, e i punti focali su cui si sta arrovellando, possiamo dire, sono ormai due: l’orgoglio umano di non cedere spazio alla macchina (e di salvaguardare posti di lavoro nell’immediato); l’entusiasmo verso un futuro in cui il cinema potrà diventare un’arte davvero democratica, anche ad alti livelli di produzione.

L’ultima a esprimersi in merito è stata Emma Thompson. L’attrice è anche sceneggiatrice (ve la ricorderete per il suo adattamento del 1995 di Ragione e sentimento di Jane Austen), e ospite del Late Show di Stephen Colbert ha espresso una inequivocabile irritazione verso l’uso dell’AI nel cinema.

«Sono molto irritata. Non so nemmeno da dove cominciare. Credo che ci sia una connessione tra ilc rivelo e la mano, ed è per questo che scrivo ancora in corsivo su carta. È una cosa importante per me. E solo una volta scritto, lo trasformo in un documento Word. Ultimamente, i documenti Word mi chiedono sempre: vuoi che lo riscriva per te? E mi verrebbe da rispondere, non mi serve che tu riscriva quello che ho appena scritto, vaffanculo!! È snervante».

Non è la prima volta che Thompson ha avuto una querelle con la tecnologia. Per esempio, ha ricordato che «stavo finendo di scrivere Ragione e sentimento, al computer. Sono andata in bagno, e al ritorno ho scoperto che aveva cambiato tutte le parole in geroglifici. Lo script se n’era andato. Ho avuto un attacco di panico». Era come se il computer l’avesse nascosto, conclude. Come se lo avesse nascosto di sua volontà.

Thompson non è stata l’unica a osteggiare l’Intelligenza Artificiale, recentemente. Lo ha fatto anche Guillermo Del Toro, fresco del suo Frankenstein. «L’AI proprio non mi interessa, e non mi interesserà mai. Ho 61 anni, e spero di riuscire anon usarla finché non schiatterò. L’altro giorno qualcuno mi ha scritto una mail, chiedendomi quale fosse la mia posizione sull’Intelligenza Artificiale. La mia risposta è molto semplice: preferirei morire».

Il regista ha rilasciato queste dichiarazioni a NPR, famoso network statale statunitense. Il problema, secondo Del Toro, non risiederebbe tanto in un’intelligenza creata a tavolino, ma nella «stupidità naturale», presumibilmente dell’essere umano. «È la stessa che crea i problemi del mondo». Ha poi aggiunto un paragone con uno dei personaggi della storia di Mary Shelley, l’eponimo Dottor Frankenstein: «Ho reso l’arroganza di Frankenstein simile a quella dei tech bros. È un po’ cieco, crea qualcosa senza considerarne le conseguenze. Mentre io penso che si debba prendere una causa e riflettere su dove stiamo andando».

Tanto Thompson e Del Toro sono inamovibili sul rifiuto dell’AI, tanto altri nomi di rilievo della industry si sono invece chiamati a favore. Tra loro c’è Paul Schrader, cha in un’intervista a Vanity Fair ha dichiarato di essere assolutamente pronto per l’arrivo dell’Intelligenza Artificiale nel cinema. «I film saranno sempre più fatti con l’AI. In un paio d’anni potremo vedere il primo film interamente realizzato in AI. Proprio oggi ero al telefono con qualcuno a proposito di uno script che avevo nel cassetto, e ho detto: sai che questo potrebbe essere perfetto per l’AI?».

Schrader ha poi argomentato le sue posizioni, dicendosi non preoccupato perché l’AI sarebbe solo uno strumento come tutti gli altri. «Mettiamo che sei un autore e devi descrivere la reazione di qualcuno. Userai un codice, fatto di parole, di un certo numero di lettere, e così via, e in questo modo descrivi la sua reazione. Un attore ha il suo codice. Bene, ora siamo dei pixelator, e possiamo creare una faccia, e un’emozione su quella faccia, e puoi scolpirla nello stesso modo in un cui un autore scolpisce la reazione emotiva in un romanzo o una storia».

Aggiungendo una stoccata anche alla stampa: «L’AI recensisce meglio della media che si trova in giro. E non fa favoritismi».

Anche il regista George Miller si situa da questa parte della barricata. In un’intervista al Guardian ha spiegato la sua posizione riguardo l’AI, paragonando il momento storico di “assaggio tecnologico” ad altri equivalenti avvenuti nel passato della storia dell’arte (al Rinascimento nello specifico, quando l’introduzione della pittura a olio diede agli artisti la possibilità di rivedere il proprio lavoro nel tempo). E poi l’arrivo della fotografia nel 1800, a surclassare la pittura. «La fotografia di venne una forma d’arte a sé stante, e la pittura continuò. Cambiarono entrambe, e continuarono entrambe. L’arte cambiò».

Dell’Intelligenza Artificiale, a Miller piacerebbe soprattutto l’aspetto democratico: «Renderà la narrazione del cinema disponibile a chiunque abbia la vocazione. Conosco adolescenti che stanno già usando l’AI. Non devono fare fundraising, fanno solo film – o, almeno, mettono insieme pezzi di riprese».

Mentre il dibattito continua, facendo poco rumore è uscito il trailer di un film interamente diretto dall’Intelligenza Artificiale. Il “maestro” si chiama FellinAI, il prodotto The Sweet Idleness. Ma questa, almeno per ora, è un’altra storia.

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