Le pagelle dei David di Donatello 2017 | Rolling Stone Italia
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Il pagellone dei David di Donatello

Dalla magnifica Valeria Bruni Tedeschi, al trionfo meritato di Paolo Virzì: ecco i nostri voti ai David di Donatello 2017, tra conferme, sorprese e il disastro di Roberto Benigni

Il pagellone dei David di Donatello

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Non è facile dare i voti a questa edizione del David di Donatello. Perché comunque Sky ci ha portato in un altro mondo, rispetto a quello amatoriale del passato e perché come dice Caparezza “il secondo album è sempre il più difficile” o come affermava Troisi, si dovrebbe ricominciare “da tre”. Erano (troppo?) alte le aspettative, tanto era andata bene lo scorso anno che si rischia d’essere ingenerosi. Ma come ha detto David Lang citando Leone, in una delle gag più riuscite, accanto all’incantevole Eleonora Giovanardi che ci aveva appena raccontato della prima colonna sonora definita un “lavoro terribile” da Pietro Mascagni, “è uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo”.

Valeria Bruni Tedeschi Voto 10
I suoi ringraziamenti pazzi, esilaranti, dolcissimi, giocosi e fragili rimarranno nella storia di questo premio, e pensare che tutto era iniziato con lei incastrata nel suo bellissimo abito ai piedi del palco. Mai stata così brava, bella e libera, Valeria, nel film La Pazza Gioia come nella serata del premio cinematografico più importante d’Italia. La dedica alla miglior amica che le ha dato la focaccia all’asilo, all’analista, a Chopin, alla sorella, la mamma e la zia, agli uomini che l’hanno amata.

Valerio Mastandrea Voto 9
Il ruolo di deus ex machina che regala il decalogo sul come vincere i David nel corto Io te e David, introduttivo alla trasmissione in diretta, meriterebbe l’Oscar. Ironia e autoironia, il suo solito sguardo disincantato, quella capacità di non prendersi sul serio ma facendolo seriamente, vale forse più del premio che ha vinto, consegnatogli da una splendida Jasmine Trinca, a cui dedica 10 secondi di contemplazione e autrice di una presentazione sintetica e tra le poche azzeccate, va detto. Premio su cui Cattelan ha scherzato preventivamente (“un giorno Valerio ha prestato la giacca a un collega e ha vinto un David ai costumi”). E poi vederlo leggere Lagna Cinema – vorrei un posto come caporedattore in quella rivista – è da sturbo.

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Paolo Virzì Voto 8,5
Come non dare questo voto qui al miglior regista? È stato perfetto, sia nel regalarci un film speciale, sia nei ringraziamenti alla Federer (come lo svizzero contro Nadal si augurava un pareggio, lui ammette “sarei rimasto volentieri seduto tanto erano belli i film dei miei colleghi”), sia nella gag Moonlight in cui rende onore al collega più indie, Giovannesi, con Fiore. Se non lo conoscessimo bene, il voto lo daremmo a una dolcezza sempre meno nascosta.

Le clip Voto 8
Se Sky in questa seconda edizione ha lasciato molto a desiderare in diretta, ha invece dato il meglio, come sempre, in tutto ciò che era postproduzione. Le clip, da quella su una Valentina Lodovini truccata e ancocciata come varie dive del dopoguerra a quella finale, deliziosa, erano tutte perfette. Come ha già dimostrato agli Oscar, la tv satellitare in questo è quasi imbattibile.

Maccio Capatonda Voto 7,5
Il montatore gelosone 1 e 2 sono già un classico. Il suo desiderio per Giulia Gorietti contrastato da un Herbert Ballerina nerd, è poesia. Ma il tocco di genio vero è Ivo Avid. Per raffinatissimi intenditori.

Enzo Avitabile Voto 7
Due David di Donatello strameritati per il suo splendido lavoro in Indivisibili. Sottolineati da un applauso scrosciante che accompagna la sua lenta andatura verso il palco e pure una carriera straordinaria (e non lo diciamo nel modo sarcastico in cui lo diceva Mastandrea in Io, te e David). Ma più belle di tutto sono state le dediche: ai colleghi, ma anche “alle periferie del mondo e a Napoli per l’ispirazione”.

Alessandro Cattelan Voto 6
Era forse suo il ruolo più complicato. Bella sorpresa l’anno scorso. Il merito è di non strafare ma lui non è brillante come sappiamo che sa essere, ancora si illude che la platea che ha davanti sia calda e invece lo considerano ancora un estraneo, ma forse è solo perché su EPCC siamo abituati a un altro Cattelan.

Pif  Voto 5
Coraggio da 10, esecuzione da 1. La frecciata a Luigi Abete non è da tutti, soprattutto in quel contesto e va applaudita, perché non è mai facile mettersi di traverso quando non ti conviene. Ma era teso, rigido e la battuta gli è riuscita malissimo e incomprensibile, o quasi, al grande pubblico. Anche lui sa far meglio, ma il rischio è che i David ingessino proprio i più bravi.

I 45 secondi Voto 3
Le ‘americanate’ già sembrano piuttosto fuori posto qui da noi. Il limite di 45 secondi per i ringraziamenti, lo dimostra Valeria Bruni Tedeschi, è demenziale. Castra quasi tutti, non permette ai premiati di esprimersi al meglio, è discrezionale quando taglia i premiati tecnici e poi lascia a Benigni, per un autentico sproloquio, un tempo insopportabilmente illimitato. E soprattutto, si lascia a chi premia più tempo di coloro che lo ricevono, il riconoscimento.

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Roberto Benigni Voto 1
Salvatelo da se stesso. Lasciamo perdere che non fa film da 12 anni e che come ha sottolineato Roberto Recchioni su Facebook, il fatto che fosse l’ospite d’onore è una metafora perfetta del nostro cinema. Parliamo proprio della sua presenza. Truccato male (o rifatto?) sembrava il pupazzo gnappo del grande comico toscano. Il suo discorso è una supercazzola che non fa ridere in cui ovviamente lui cita la sua trinità: Dio, il Papa e Nicoletta Braschi. Questa volta non è la Costituzione ad essere la più bella del mondo, ma il cinema italiano.

Una comparsata imbarazzante, una dolorosa visione per chi l’ha amato (non a caso chi ha fatto la clip in suo onore ha citato molto di quando era davvero un genio, prima dell’Oscar), un grande che, forse, ora, dovrebbe seguire la lezione di Mina. Detto questo per il noto principio del politicamente corretto, alias dell’infallibilità del vate Roberto, troveremo presto, sicuramente, qualcuno che ci racconterà, magari su quattro colonne, quanto sia stato geniale.

Giulio Regeni Voto 0
Giulio, citato da tutti o quasi l’anno scorso, ora è stato dimenticato se si escludono i ricordi discreti di Manuel Agnelli, Lorenzo Lavia e un sant’uomo che ha attaccato con ancora più discrezione un adesivo di “Giulio siamo noi” sul suo David, non ci sono stati altri momenti dedicati al ricercatore ucciso in Egitto. Eppure la verità non è arrivata, per Giulio. Giustizia non è stata fatta per Giulio. Aggiungiamo, a proposito di ricordi, che nella bella progressione segnata dalla voce di Agnelli, mancava il nostro collega Luca Svizzeretto. Che i David li ha raccontati spesso, che il cinema lo amava e che meritava di essere mostrato a una platea che lo conosceva bene per la sua carica professionale e umana (da Spedaletti a Bonacchi, ricordata da un emozionato Stefano Accorsi, altri hanno trovato nel cuore dei loro sodali un posto speciale, ieri).