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Il lato oscuro dei Grateful Dead raccontato nel docufilm ‘Long Strange Trip’

La pellicola mette in scena tutta la storia della band: la musica, la droga e la morte di Jerry Garcia raccontate come mai prima d'ora

Per Mickey Hart guardare Long Strange Trip, il nuovo documentario dedicato ai Grateful Dead, è stata un’esperienza allo stesso tempo commovente e straniante. «È affascinante e fatto con il cuore», ha detto il batterista. «In un certo senso è un film triste, non credo che porterei mia moglie a vederlo». Il film (che ha debuttato al Sundance a gennaio e sarà disponibile su Amazon Prime dal 2 giugno), è un documentario di quattro ore dedicato a tutta la storia della band.

Diretto da Amir Bar-Lev (regista di The Tillman Story, documentario dedicato a Pat Tillman, il giocatore di football diventato ranger) e prodotto da Martin Scorsese, il film affronta senza filtri tutte le difficoltà che hanno portato alla morte del frontman Jerry Garcia. Ad un certo punto il resto della band si chiede cosa avrebbero potuto fare per aiutarlo mentre cadeva nel tunnel dell’eroina. «Ti fa capire la solitudine di chi non riesce a darti una scossa perché ti vuole troppo bene», ha detto Hart. «Ha un qualcosa di tragico».

Long Strange Trip racconta la scalata al successo dei Dead, da Haight-Ashbury fino ai tour multimilionari. C’è un’intera sezione dedicata a come le etichette li abbiano portati a diventare una touring band abbandonando tutto il resto – «Una delle cose migliori mai fatte dai Grateful Dead», ha detto il bassista Phil Lesh -, un’altra al loro impianto, responsabile del famoso “muro di suono”. «Siamo riusciti a trattare il film esattamente come i Dead trattano la musica», ha detto Bar-Lev, «avevamo un canovaccio e da lì abbiamo improvvisato, trovando la direzione giusta volta per volta».

Bar-Lev è cresciuto nella Bay Area, ed è sempre stato un deadhead – così si chiamano i fan della band, che ha contattato per la prima volta nel 2003. Le riprese, però, sono iniziate 11 anni dopo solo grazie a Martin Scorsese: il progetto si è sbloccato dopo che il regista ha incontrato il batterista Bill Kreutzmann a una festa. In uno dei momenti più belli del film, il chitarrista Bob Weir accompagna personalmente Bar-Lev in un locale con l’obiettivo di fare un’imboscata a Robert Hunter, l’irragiungibile autore dei testi delle canzoni dei Dead. Lo scrittore ha risposto solo a una domanda. Anche Garcia è molto presente: in una intervista collega la cultura dei Dead con Jack Kerouac: «Secondo me è questo che ha colpito il pubblico: lo spirito di chi si avventura ed esplora l’America in profondità», ha detto.

I Dead hanno consegnato a Bar-Lev moltissime scatole di materiale non pubblicato, tra cui le riprese delle prove delle armonizzazioni di “Candyman” («Ero davvero sorpreso, non mi ricordavo nulla di quei giorni», ha detto Weir) e dei concerti di “addio” del 1974: in uno di questi è possibile vedere Garcia lamentarsi del pubblico: «E cosa dovremmo fare? Andare sul palco e ammazzarci tutti? Ormai è troppo».

Le difficoltà di Garcia – i suoi problemi con la popolarità e con l’organizzazione dell’azienda Grateful Dead – sono una parte molto importante del film. Trixie, sua figlia, ha raccontato di come questo abbia pesato sulla sua vita familiare. Barbara Meier, la sua ex-fidanzata, racconta di una riunione a cui Garcia ha partecipato negli anni ’90, periodo in cui sognava di smettere di suonare in tour, o di quella volta in cui un road manager l’ha chiamata per parlare di una delle ricadute del fidanzato – «Jerry è uno a posto – se la caverà», le diceva.

Inizialmente il resto della band non era particolarmente entusiasta del film. Weir ha detto che si sono riuniti con Bar-Lev subito dopo il Sundance, volevano aggiungere più materiale successivo alla dipartita di Garcia. «Dopo aver parlato con la band mi sono assicurato che il film li proiettasse nel futuro», ha detto il regista. Weir, infine, ha ammesso che la pesantezza di alcune parti della storia è «controbilanciata dalla musica. Molto di quello che raccontiamo nel film è piuttosto oscuro, ma c’è una luce che brilla sopra a tutto quel buio».

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