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Il flop veste Prada

Insuccessi di pubblico e critica (ma in realtà piccoli cult) riprendono vita con ‘Perfect Failures’, la nuova rassegna curata da Fondazione Prada con MUBI. Da Charlie Chaplin a Billy Wilder, non si salva nessuno. O forse sì?

Il flop veste Prada

Elizabeth Berkley in 'Showgirls'

Non tutti i film riescono col buco. Ma alcune di queste ciambelle venute storte diventano, inaspettatamente, dei cult. È la tesi (giustissima) alla base di Perfect Failures, la nuova rassegna di Fondazione Prada nata in collaborazione con MUBI, la piattaforma di cinema d’autore su cui, dal 5 aprile, sarà possibile vedere questa selezione di fallimenti perfetti, appunto, in mancanza del cinema “fisico” del museo milanese, chiuso per l’emergenza coronavirus.

Ogni flop è benvenuto: che sia commerciale, critico, oppure una delusione anche per i fan, o un film troppo in anticipo (o in ritardo) sui tempi, finanziariamente e produttivamente disastroso. Ciò non toglie che possa venire, nel corso degli anni, capito, rivalutato, e finalmente accolto a dovere.

È il destino di Southland Tales – Così finisce il mondo (2006), il primo titolo disponibile su MUBI. Opera seconda di Richard Kelly, l’acclamato autore di Donnie Darko, fu definito all’epoca “il film più brutto dell’anno”, ma, nel corso del tempo, è diventato un vero e proprio culto non solo nerd. Lo stesso è accaduto con tutti gli altri titoli presenti nella rassegna. Che comprendono anche i passi falsi (o forse no) di autori celebratissimi: dalla Contessa di Hong Kong (1967), l’ultimo film di Charlie Chaplin e anche il meno amato dai critici, nonostante la presenza di Marlon Brando e Sophia Loren; all’incompreso Fedora (1978) di Billy Wilder, con il William Holden del capolavoro Viale del tramonto, che il grande regista (secondo alcuni) sembrava scimmiottare malamente.

Passando per i più recenti Night Moves (2013) di Kelly Reichardt con Jesse Eisenberg e Dakota Fanning, presentato (tra i fischi) alla 70esima Mostra di Venezia, e Un divano a New York (1996), rom-com “imbarazzante” (come si scrisse all’uscita) diretta da Chantal Akerman, con protagonisti William Hurt e Juliette Binoche. Fino al titolo forse più rappresentativo di queste rinascite: Showgirls (1995) di Paul Verhoeven, da “scult” conclamato a titolo oggi veneratissimo dai cinéphile. Che citano a memoria le battute di Elizabeth Berkley, attrice mai valutata come avrebbe meritato. Proprio come questi film.

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