«Il titolo significa: “noi, gli amanti del cinema”. Di sicuro, quando ero molto giovane, ho abbracciato totalmente “la politique des auteurs”. Ed è ancora, la mia politica. Ma questo film non è un elogio dei registi che ho amato, né delle attrici o degli attori. È una rappresentazione di ciò che accade agli spettatori comuni. Che cosa ci fa, guardare i film? Come ci influenza in modo subconscio?». Così Arnaud Desplechin presenta Filmlovers!, in uscita il 28 dicembre (con Academy Two) in occasione di un anniversario simbolico: i 130 anni dalla prima proiezione cinematografica pubblica dei fratelli Lumière, tenutasi a Parigi il 28 dicembre del 1895.
Un omaggio dichiarato alla sala cinematografica come luogo di incontro, di memoria e di scoperta, ma anche un viaggio intimo nel rapporto tra spettatore e immagini, tra finzione e vita reale. Filmlovers! è un’opera che si muove tra documentario, racconto autobiografico e finzione cinematografica, seguendo il giovane Paul Dedalus, alter ego del regista, già protagonista dei suoi film I miei giorni più belli e I fantasmi d’Ismael.
«Charles Gillibert e Romain Blondeau, che sapevano entrambi quanto fosse importante per me il filosofo Stanley Cavell, mi hanno chiesto se avessi voluto realizzare un documentario sulla proiezione cinematografica. Ho risposto che non sapevo come fare un documentario, ma che avrei potuto pensare a una forma ibrida», ricorda il regista. «Ho buttato giù qualche idea e, poco a poco, il film ha cominciato a prendere forma. È stato facile scriverlo perché tornavo continuamente ai miei pensieri sul cinema, che avevo nella testa da oltre vent’anni, quindi la scrittura è uscita spontaneamente. Il film è sia un film su commissione di Charles e Romain che un saggio infinitamente personale. Ciò che era iniziato come un progetto documentaristico semplice è diventato un film vasto e stratificato».
Ogni sequenza è attraversata da un amore profondo per le immagini — quelle della memoria personale e quelle della storia del cinema. Desplechin non idealizza il passato, ma interroga il presente: il film diventa così un manifesto poetico e politico sulla resistenza delle sale, sulla loro capacità di creare comunità, emozione e immaginazione.
«Ho dimenticato tutto ciò che riguarda la cinefilia accademica», dice. «Non mi sento a mio agio con l’idea di un’arte maggiore o minore nel cinema. Per me non esiste nulla di ‘bello’ o ‘non bello’, per usare le parole di Stanley Cavell. John McTiernan si trova fianco a fianco con Orson Welles e Godard. Un film commerciale ha tanto diritto di esistere quanto un film d’autore. La bellezza è ovunque. Ciò che mi ha sorpreso è che non ho mai fatto una raccolta dei film che amo. Molti dei miei film preferiti non compaiono in Filmlovers!. Per esempio, c’è solo un film giapponese menzionato, nonostante io ne conti moltissimi nella mia raccolta personale. Non volevo imporre il mio gusto, ma piuttosto miscelare le mie scelte con quelle delle altre persone che appaiono nel film. Ciò che appartiene a noi, a noi tutti insieme. È una memoria collettiva senza scala di valori».







