Evan Rachel Wood ancora su Marilyn Manson: «Sul set del video di ‘Heart-Shaped Glasses’ mi ha di fatto stuprata» | Rolling Stone Italia
News

Evan Rachel Wood ancora su Marilyn Manson: «Sul set del video di ‘Heart-Shaped Glasses’ mi ha di fatto stuprata»

Emergono nuovi dettagli sulla lunga testimonianza dell’attrice contenuta nel documentario ‘Phoenix Rising’, presentato al Sundance. Nel frattempo, i legali del cantante continuano a smentire: «Accuse false, c’erano più testimoni»

Evan Rachel Wood ancora su Marilyn Manson: «Sul set del video di ‘Heart-Shaped Glasses’ mi ha di fatto stuprata»

Evan Rachel Wood e Marilyn Manson nel 2007

Foto: Eric Charbonneau/WireImage via Getty Images

Evan Rachel Wood è tornata ad accusare Marilyn Manson, suo ex compagno, di averla violentata durante le riprese di uno dei suoi video musicali. L’attrice, conosciuta per il film Thirteen – 13 anni e, più di recente, per la serie Westworld, ne ha parlato in modo approfondito nel documentario Phoenix Rising, che, come è stato annunciato qualche giorno fa, è stato presentato all’ultimo Sundance Film Festival. Nel frattempo, Brian Hugh Warner, vero nome di Marilyn Manson, ha nuovamente respinto ogni addebito.

«Sostanzialmente mi ha violentata», ha dichiarato l’attrice nel film di Amy Berg, che andrà in onda a marzo su HBO. Diversa la versione degli avvocati del cantante, che si sono affrettati a puntualizzare: «Di tutte le false affermazioni che Evan Rachel Wood ha fatto su Brian Warner, la sua rivisitazione fantasiosa della realizzazione del video musicale Heart-Shaped Glasses è la più sfacciata e facilmente smentibile, perché c’erano più testimoni», ha spiegato il legale Howard King.

Che poi è entrato nel merito del videoclip: «Evan non solo è stata pienamente coinvolta durante i tre giorni di riprese, ma anche nelle settimane di pianificazione della pre-produzione e nei giorni di montaggio post-produzione finale. La scena di sesso simulata ha richiesto diverse ore per essere girata, utilizzando diverse angolazioni e lunghe pause tra una ripresa e l’altra. Brian (Manson, ndr) non ha fatto sesso con Evan su quel set, e lei sa che questa è la verità».

L’avvocato, però, non è tornato sulle altre accuse lanciate dall’attrice verso Manson – e ribadite nel documentario –, cioè che, durante i quattro anni e mezzo di relazione, il cantante avrebbe abusato emotivamente di lei minacciandola di morte, aggredendola sessualmente, portandola a staccarsi dalle proprie amicizie e dalla famiglia e bombardandola con messaggi pieni di simboli e insulti antisemiti (la madre di Wood è di religione ebraica).

Sempre nel documentario, Wood descrive la propria infanzia e la successiva adolescenza. Cresciuta nei pressi di Raleigh, nella Carolina del Nord, già a 14 anni le capitò di baciare un ragazzo di 23 anni sul set di Thirteen (2003) mentre la scena veniva girata in una stanza piena di gente. «Ricordo che non volevo farlo, ma sapevo che il personaggio lo richiedeva, quindi non importava cosa volesse Evan. Doveva solo essere fatto», ha spiegato. Anche per questo avrebbe finito per diventare un’adolescente insicura, aspetto che – a suo dire – l’ha resa un obiettivo facile per personalità come Manson: «Non sapevo dove andare, quindi ero il soggetto perfetto per qualcuno che si presentasse dicendomi: “Vieni con me”».

I due si incontrarono nel 2006, quando lei aveva 18 anni e lui 37. All’epoca, Manson era sposato con Dita von Teese e la stessa Wood aveva un fidanzato, ma il cantante, dopo aver espresso il desiderio di farla partecipare a un film a cui stava lavorando, l’ha invitata a casa sua e, bevendo assenzio, è lì che è cominciata la relazione.

In Phoenix Rising Wood ha ricordato anche il primo bacio, non proprio romantico: «Mi ha ficcato la lingua in gola… tutto è diventato bianco e non sapevo cosa rispondere. È finita con lui sopra di me e poi, quando abbiamo concluso, mi sono sentita davvero strana e molto irritabile. Non ero veramente attratta da lui». Nonostante ciò, i due cominceranno a frequentarsi con più assiduità. È in quella fase che Wood inizia ad accorgersi di strani messaggi che Manson le invia: “Sei così importante per me che voglio prenderti a calci”, oppure “Sono il tuo vampiro”, “Sei il sangue nel mio cuore” e “Voglio stare con te per sempre”. E, come segno di appartenenza l’uno dell’altra, decisero di tatuarsi a vicenda le loro iniziali: «Lui ha inciso una E sulla sua pelle e io una M… un modo per mostrare appartenenza e lealtà. E io l’ho tatuata proprio accanto alla mia vagina, per mostrargli che gli appartenevo».

Marilyn Manson - Heart-Shaped Glasses (When The Heart Guides The Hand)

Nel racconto dell’attrice, oltre alle presunte violenze sessuali ed emotive, emergono poi i controversi gusti di Manson rispetto ai simboli e alla storia nazista: «A un certo punto, sul lato del letto dove dormivo, ha scritto “Uccidi tutti gli ebrei” sul muro della nostra camera». Inoltre, pare che il cantante le abbia confessato che Hitler era «la prima rockstar, perché elegante, parlava bene e sapeva come manipolare le masse». E ancora: «Disegnava svastiche sul mio comodino quando era arrabbiato con me». Oppure avrebbe commentato la conversione di sua madre alla religione ebraica con sollievo, visto che in realtà non la sarebbe stata di origine: «È meglio che tu non sia ebrea di sangue». In seguito, Wood è arrivata a spiegare nel dettaglio di quando Manson l’avrebbe violentata davanti alla telecamera e altre persone durante le riprese del videoclip di Heart-Shaped Glasses.

«Avevamo discusso di una scena di sesso simulato, ma una volta che le telecamere sono state accese, lui ha iniziato a penetrarmi veramente. Ma non gli ho mai dato il permesso di farlo». Anche perché, ha spiegato, «sono un’attrice professionista, l’ho fatto per tutta la vita, ma non ero mai stata su un set così poco professionale. Era un caos completo e non mi sentivo al sicuro. Nessuno si prendeva cura di me. È stata un’esperienza davvero traumatizzante girare quel video. Non sapevo come difendere me stessa o come dire di no, perché ero stata condizionata e “addestrata” a non rispondere mai, a resistere. Mi sentivo disgustosa e come se avessi fatto qualcosa di vergognoso. E posso aggiungere che tutta la troupe era molto a disagio e nessuno sapeva cosa fare. Sono stata costretta – ha proseguito nel racconto – a compiere un atto sessuale. È stato quello il primo crimine contro di me, perché sono stata essenzialmente violentata davanti alla telecamera». Ma quello, secondo la sua ricostruzione, «è stato solo l’inizio della violenza che avrebbe continuato a intensificarsi nel corso di tutta relazione».

Woods fino al 2016 ha tenuto questa storia segreta, poi ne ha parlato pubblicamente ma senza fare nomi. Dopo quello sfogo, però, si è accorta che altre donne sembravano aver subito le sue stesse violenze e l’hanno contattata: «È stato come scoprire di essere uscita con un serial killer», ha affermato. Così, nel 2021 ha deciso di fare il nome del suo presunto aguzzino, dopo aver iniziato a girare il documentario nel 2020. «Non ricordo cosa si prova a non avere paura. Non sarò mai più la stessa» ha detto.

«Ho ancora il terrore di nominare Brian (Manson, ndr) pubblicamente», ha aggiunto. «Ma voglio nominarlo, è tutto ciò che voglio fare. Ho ricevuto una serie di messaggi minacciosi che mi dicevano di chiudere la bocca, che la gente sa dove vivo. Brian mi ha anche chiarito che se avessi mai detto qualcosa sarebbe venuto a cercarmi. Una volta ha detto che avrebbe rovinato tutta la mia famiglia e che avrebbe iniziato da mio padre» ha continuato nella ricostruzione, arrivando a definirlo in modo impietoso: «Non si tratta di vendetta. È un mostro e ha bisogno di essere punito e fermato. Quell’uomo non è più un uomo».

Da quando l’attrice ha denunciato pubblicamente, molte altre accuse sono state mosse nei confronti di Manson poi sfociate in indagini penali. Anche per questo, il musicista è stato scaricato dai suoi agenti e dall’etichetta discografica. In risposta al documentario, gli avvocati di Manson hanno dichiarato che il loro assistito «nega con veemenza qualsiasi accusa di aggressione sessuale o abuso verso chiunque. Queste odiose affermazioni contro il nostro cliente hanno tre cose in comune: sono tutte false, presumibilmente avvenute più di un decennio fa e parte di un attacco coordinato da parte di ex partner e soci del signor Warner che hanno convertito dettagli altrimenti banali della sua vita personale e delle sue relazioni consensuali in storie dell’orrore del tutto inventate».

Ma, a sostegno delle sue accuse, Wood non ha solo svelato l’identità del suo presunto aguzzino quando dichiarò: «Il nome del mio aggressore è Brian Warner, noto al mondo come Marilyn Manson. Ha iniziato ad accarezzarmi quando ero un adolescente ed è arrivato ad abusarmi orribilmente per anni. Mi è stato fatto il lavaggio del cervello e mi ha manipolato fino alla sottomissione. Ho smesso di vivere nel timore di ritorsioni, calunnie o ricatti. Sono qui per smascherare quest’uomo pericoloso, prima che rovini altre vite». Infatti, subito dopo, rese noti diversi screenshot di tweet scritti da Dan Cleary, l’ex assistente di Manson, il quale confermò di aver conosciuto l’attrice durante il periodo della loro relazione.

Da quel momento, altre quattro donne – Ashley Walters, Sarah McNeilly, Ashley Lindsay Morgan e una che ha preferito rimanere in incognito facendosi chiamare soltanto “Gabriella” – hanno pubblicato dichiarazioni simili a Wood su Instagram. Nelle loro ricostruzioni, hanno parlato nel dettaglio di “esperienze strazianti che includevano aggressioni sessuali, abusi psicologici e varie forme di coercizione, violenza e intimidazione”. Da quel giorno, il numero di persone che hanno puntato il dito contro Manson è aumentato. Come nel caso della star di Game of Thrones Esme Bianco, la quale ha detto che il cantante le avrebbe confessato che voleva «assassinare altre donne» e inviato messaggi nei quali dichiarava di volersi «intrufolare nella stanza dove stavo dormendo per violentarmi».