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Dario Argento: «Mi hanno proposto di girare una serie in America, ma non so se accetterò»

Il grande regista del brivido all’italiana, premio ad honorem a La Settima Arte Cinema e Industria di Rimini, tra ricordi felliniani e progetti futuri

Foto: Riccardo Gallini/GRPhoto per La Settima Arte Cinema e Industria

«Il fatto che mi chiamino re del brivido un po’ mi offende: io non voglio fare film di paura, voglio raccontare emozioni». Così un Dario Argento in formissima sul paco del Teatro Galli di Rimini per la cerimonia di chiusura di La Settima Arte Cinema e Industria, evento dedicato ai protagonisti e ai mestieri del cinema organizzato da Confindustria Romagna e Università Alma Mater Studiorium di Bologna: l’autore di Profondo rosso e Suspiria ha ricevuto il premio ad honorem (tra gli altri premiati della serata: il direttore della fotografia Blasco Giurato, il produttore Beppe Caschetto, il produttore e distributore Andrea Occhipinti e la costumista Ursula Patzak).

Deliziose scenette con l’amico di sempre, qui in veste di presidente di giuria, Pupi Avati – «Io venivo da due flop e lui fece L’uccello dalle piume di cristallo: speravo gli venisse una brutta malattia», ironizzava l’invidioso Pupi – e, off the records, ricordi e progetti futuri.

Il più succulento: «Mi hanno proposto di girare una serie in America», si è lasciato scappare Argento in un palchetto del teatro prima dell’inizio della serata. «Sarebbero otto puntate, e poi si potrebbe andare avanti. Ma non so se lo farò, ci devo pensare. Ho fatto consecutivamente un film come attore (Vortex di Gaspar Noé, nda) e ora sto montando il mio prossimo lavoro da regista, Occhiali neri. Finirò a dicembre, l’inizio della serie è previsto per marzo, non so se me la sentirò. Ma mi fa piacere che me l’abbiano proposta».

Il recente lavoro d’attore, che gli ha dato un premio a Locarno – «Non me l’aspettavo, è eccezionale che un regista riceva un premio come interprete» – è un’altra delle sorprese dell’ottantenne indomito Dario. «Gaspar Noé è un amico, mi cercò e mi propose di fare il protagonista del film a cui stava lavorando. Io dissi: no, dimenticalo. Ma lui insistette: continuava a telefonarmi, e un giorno si presentò sotto casa mia. A me non andava, e non solo perché non ho grande stima degli attori. Perché sono un regista, faccio un altro mestiere. Alla fine però ho ceduto e l’ho fatto».

Visto che La Settima Arte fa il punto sull’industria audiovisiva attuale, piccolo bilancio sul cinema italiano – «È un momento molto felice, ci sono tanti nuovi talenti. Lo riconoscono anche i francesi, che sono sempre molto sprezzanti nei nostri confronti» – e poi, essendo a Rimini, inevitabili reminiscenze felliniane: «Questo pomeriggio ero in camera a riposare e c’era questa grande scritta, una citazione di Fellini: quand’ero ragazzo, non avrei mai pensato che sarei diventato un aggettivo». Felliniano, appunto.

E, sempre sul Federico locale, persino un confronto psicanalitico: «La mia passione per Sigmund Freud è nota, ogni volta che torno a Vienna vado a rivedere la sua casa e scopro sempre qualche punto che non avevo visto. Fellini era junghiano per via di quella sua follia magica, Freud per lui era più freddo. Ma, a guardare bene, anche Fellini è un freudiano. Fellini ha sempre raccontato l’amore, e tutte le nostre passioni. E questo sta tutto dentro Freud».

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