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Asia Argento: perché è giusto parlare dopo 20 anni

A chi critica un'attrice per non aver denunciato l'uomo più potente di Hollywood a soli 21 anni: avete rotto il cazzo

Asia Argento: perché è giusto parlare dopo 20 anni

Asia Argento nel 2013 al Festival di Cannes. Foto di Depoilly / Alpaca / Andia / IPA

Avete rotto il cazzo. Sì, avete letto bene. Uomini superficiali e rozzamente violenti, convinti di poter capire cosa succeda in pochi centimetri tra un carnefice e una vittima; donne protette dalle loro poltrone, dalle loro sedie gestatorie da cui pontificano su tempi, modi e presunte ipocrisie, tutte intente a scrivere editoriali puntuti verso chi non rappresenta il loro ideale femminile.

Asia Argento complice e opportunista, nel migliore dei casi. Puttana, nel peggiore. Ecco cosa leggiamo da giorni.

Perché? Non avrebbe parlato 20 anni fa, ma solo ora. È evidente a tutti quanto sia pretenziosa e in mala fede questa posizione, ma proviamo a immaginare l’attrice Asia Argento, aspirante regista, che confessa, subito, o magari uno o due anni dopo, lo stupro di Harvey Weinstein ai suoi danni. Proviamoci.

Abbiamo scollinato di poco la metà degli anni ’90. Io, a casa, ho sul letto la copertina di Max con Asia Argento che mi guarda con sguardo provocante e allo stesso tempo divertito. Mi sfotte: perché la desidero, è vero, con quelle braccia a coprire i seni e la faccia di chi sa chi è, cosa vuole. E lei, come farà in tutta la carriera, della donna oggetto farà sempre un elemento di analisi ma anche di destrutturazione. Non c’è un suo nudo, in foto o al cinema, che non sia uno schiaffo alle convenzioni e spesso uno sbugiardare lo sguardo maschilista con cui io, ancora minorenne, la guardassi.

Di Asia Argento, siamo onesti, allora si parlava come, nell’ordine: di una bonazza da paura, di una figlia d’arte raccomandata, di una che non sapeva recitare (che poi fateli voi, Le amiche del cuore e Perdiamoci di vista entrando nella testa e nella pancia del pubblico), di una che mangiava uomini, di una disinibita e trasgressiva. In Italia questo vuol dire una sola cosa, lo sappiamo tutti: zoccola. Sì, perché se una donna che ha talento e intelligenza ha la sfortuna di essere bella e sexy e libera, gli uomini (ma ancora di più le donne) parleranno di quant’è brava ad aprire le gambe per ottenere i risultati a cui è arrivata o arriverà. È uno dei tre cardini del vittimismo dell’uomo qualunque italico (ma pure della donna qualunque): non ce l’ho fatta perché lei la dà a tutti, non ce l’ho fatta perché lui ha amici potenti e non ce l’ho fatta perché “arbitro cornuto, era rigore”.

Ecco, Asia Argento subisce un atto di aggressione, prevaricazione e violenza vergognoso da un uomo potente e fisicamente imponente, sa che prima di lei ce ne sono state già troppe e molto più famose di lei, sa cosa si dice di lei. E, attenzione, ha solo 21 anni. Io, a 21 anni, avevo paura di un capo ignorante e rozzo che urlava contro di me con violenza inaudita. E stavo zitto, mortificato. Ora se mi manchi di rispetto, non ti conviene scoprire come reagisco. Ma ora ho quasi 40 anni.

Asia Argento a 21 anni dovrebbe fare ciò che almeno una dozzina di donne e dive più potenti di lei, più credibili di lei per la società bacchettona, più grandi di lei d’età ha evitato con cura di mettere in atto: denunciare “la gallina dalle uova d’oro”, “l’uomo più potente di Hollywood”, l’amico (allora) dei Clinton (e degli Obama poi), l’uomo che aveva portato in Italia 4 oscar in 9 anni (Tornatore, Salvatores, Troisi e Benigni) e che ora veniva santificato per il prezioso lavoro negli Usa su La vita è bella.

Certo, vi immaginiamo voi soloni infallibili, trovare il coraggio di farlo. E immaginate di farlo essendo Asia Argento, che aveva la colpa suprema per una donna: vivere se stessa con libertà totale, senza schemi, senza una sessualità definita a livello pubblico e con la tendenza a invadere il nostro immaginario erotico.

Sapete cosa sarebbe successo, vent’anni fa, editorialiste? Direttori tribuni che andate in tv a definirla complice? Leoni da tastiera che sui social vi scatenate, siate nomi illustri o emeriti sconosciuti?

Non le avreste creduto. L’avreste subissata di critiche, insinuazioni, avreste tirato fuori presunti scheletri nell’armadio, testimonianze di ex fidanzati, interviste rivelatorie. L’avreste schiacciata con la vostra arroganza, quella giovane donna sensuale sarebbe divenuta un’arrivista che provava a farsi pubblicità. Non le avreste creduto, perché il suo corpo faceva capolino, nudo, da pagine di riviste, perché lei non dava risposte convenienti agli interlocutori dei media, perché sul grande schermo aveva impersonato ruoli forti. Per i suoi tatuaggi, per il suo sguardo mai dimesso, perché non è la donna che gli uomini immaginano nella propria cucina ma che vorrebbero nel proprio letto, perché come “Bocca di rosa”, è colei che tutte le donne vorrebbero essere.

Care “cagnette a cui aveva sottratto l’osso” la chiamavate puttana già prima di Weinstein.
E perché lui era l’uomo giusto: democratico, scendeva in piazza per i diritti delle donne, cominciava a produrre Michael Moore, era l’idolo di autori e attori che portava regolarmente agli Oscar. Tutti erano suoi amici. E amiche.

Asia Argento a 21 anni sarebbe stata travolta da dicerie, insulti, accuse di ogni tipo. E di fronte a un uomo così potente, non avrebbe avuto la forza di reggere l’urto: le donne che non hanno avuto il coraggio di denunciarlo, nel 1997 lo abbracciavano, baciavano, coccolavano in pubblico. E forse l’avrebbero massacrata parlandone come di un uomo “irreprensibile”. Persino un’outsider come Courtney Love si è “svegliata” solo tre anni fa. Immaginate mesi di gogna così a 21 anni: non le avete creduto ora, le avreste mai creduto allora? Asia Argento, così piccola, forse non avrebbe retto. E ora piangeremmo un suicidio, come quello di Amy Winehouse, tritata a fette dal circo mediatico per aver avuto l’unica colpa di averlo affrontato, sbugiardato. Come Tiziana Cantone, che ora tutti piangono dopo averla derisa. Tre storie diverse, ma poi mica tanto.

Quindi sì, andate tutti a fanculo. Perché non avete idea di cos’ha passato. Anzi no, potreste aver-cela. Se aveste letto la bellissima intervista di Gianmaria Tammaro su La Stampa, la scoprireste fragile, ferita e sì, ora anche rinata. E potreste avercela, l’idea, perché grazie ad Asia Argento – che ora, sì, dovrebbe fare anche il nome di quel regista italiano che l’ha molestata da minorenne, perché ora non deve più nascondersi, ha dimostrato che possiamo e dobbiamo parlare, tutti – hanno parlato in tante.

Anche le nostre fidanzate e sorelle. Che con #quellavoltache o #metoo hanno iniziato a dirci che no, non siamo brave persone. Che noi uomini spesso fingiamo di non vedere ciò che accade. Di non vedere la loro paura a far cose normali – tornare a casa di notte, farsi dare un passaggio da un collega che si conosce da poco, bere un po’ di più a una festa -, di non saper capire, magari, quando uno di noi, vicino a noi, sbaglia, le umilia, le molesta. Quanto il maschilismo introiettato da uomini e soprattutto donne (i maschi maschilisti spesso hanno madri, sorelle e fidanzate che li hanno cresciuti a pane e machismo) ci abbia impedito di capire cosa succeda ogni giorno. Ovunque. È insopportabilmente la normalità. Come l’aggressione ad Asia Argento dopo la confessione sul New Yorker.

Mi fate schifo. Anzi, mi faccio schifo: perché chissà se io, a 19 anni, davanti alla mia copertina di Max in cui lei mi guardava ridicolizzandomi un po’, le avrei creduto. E allora comincio io, Asia.
Comincio io a chiederti scusa.

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