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Andy Serkis: il mio ‘Mowgli’, più vicino ai toni cupi di Kipling

Abbiamo incontrato il re della performance capture per il debutto del trailer del nuovo adattamento cinematografico del 'Libro della Giungla', che lo vede dietro la macchina da presa e nei panni dell'orso Baloo.

Il ragazzino dorme, al centro della gabbia che lo imprigiona. Poi apre gli occhi, si accorge delle sbarre: le morde, le prende a pugni, cerca di liberarsi senza riuscirci. La voce della pantera Bagheera (Christian Bale), che lo osserva da fuori, lo mette in guardia: «Della giungla conosco solo i racconti. Vivevo in un palazzo reale, dentro una gabbia come questa. Mordevo e graffiavo, e passavo ogni momento della mia vita a lottare. Finché, un giorno, mi sono fermato. E si sono fidati di me». E mentre gli occhi di Mowgli si riempiono di lacrime, gli offre un consiglio prezioso: «Fa che si fidino di te, fratellino».

È la scena di apertura dello spettacolare trailer di Mowgli, nuovo adattamento cinematografico del Libro della Giungla diretto da Andy Serkis e in uscita il 25 ottobre, distribuito da Warner Bros. Italia. Dimenticate il film del 2016 targato Disney, un incasso mondiale di 966 milioni di dollari. In questa versione della storia, più dark e fedele al libro di Rudyard Kipling del 1894, non c’è spazio per animali simpatici, coreografie e canzoni. Perché la vita nella giungla, secondo il 54enne inglese Serkis (che veste anche i panni dell’orso Baloo), non ha nulla di magico: è dura, crudele e insidiosa. Nelle prime immagini del film vediamo Mowgli (l’esordiente Rohan Chand) rapito da un esercito di scimmie, che lo trascinano lungo la montagna ignorandone le urla, ma anche tra le grinfie del serpente Kaa (Cate Blanchett) e alle prese con la sua nemesi per eccellenza, Shere Khan. «Ma guarda quanto sei cresciuto!» gli dice la tigre interpretata da Benedict Cumberbatch, osservandolo con aria minacciosa.

Gli animali, iperrealistici, sono stati realizzati grazie alla performance capture, che registra espressioni e movimenti degli attori per poi restituirli ai personaggi digitali. Serkis è considerato il re della tecnica, che ha iniziato a studiare e sviluppare oltre 16 anni fa, quando diede vita a Gollum nel secondo capitolo del Signore degli Anelli. Da allora ha fondato una compagnia di produzione specializzata in performance capture (The Imaginarium Studios) e interpretato personaggi come King Kong, Capitan Haddock in Tintin, Cesare nel Pianeta delle Scimmie e il mostruoso leader supremo Snoke nella nuova trilogia di Star Wars. Girato nel 2015, Mowgli (inizialmente intitolato Jungle Book: Origins) è il suo primo film da regista, anche se arriva in sala dopo Ogni tuo respiro, uscito a novembre 2017.

Cosa significa debuttare dietro la macchina da presa con un simile blockbuster?

È stata una bella sfida, sotto parecchi punti di vista. Quando ho letto la sceneggiatura di Callie Kloves me ne sono innamorato perché si avvicinava ai toni cupi dei racconti di Kipling e, per certi versi, alle complicazioni legate alla sua figura.

In che senso?

Lo scrittore, venerato in quanto premio Nobel per la letteratura, era anche un imperialista. Trovo che si tratti di un conflitto interessante, così come lo è quello presente nel Libro della Giungla, dove assistiamo alla continua lotta tra le leggi della natura e quelle degli esseri umani.

La storia di Mowgli, diviso tra due mondi, è soprattutto un viaggio alla ricerca della propria identità.

Kipling, nato in India nel 1865, si trasferì in Inghilterra a 5 anni e lì trascorse un periodo terribile, lontano dalla propria terra. L’idea dell’altro, dell’outsider, gli apparteneva. Allo stesso modo Mowgli si scopre diverso da ciò che pensava di essere. Mostriamo il suo arco di trasformazione: dapprima orfano convinto che i suoi genitori siano degli animali, poi ragazzo consapevole di aver vissuto una bugia per tutta la sua infanzia. Impara a capire chi è e si confronta con cosa significa essere umano, cercando di conservare il meglio di entrambi i mondi. Il nostro film non offre solo grande intrattenimento: contiene tematiche che lo rendono complesso e che regaleranno al pubblico un’esperienza nuova.

Il tema della scoperta di sé sembra caro anche a te: molti dei tuoi personaggi precedenti, da Gollum a Cesare, lo sentono vicino.

È vero, nutro un certo interesse al riguardo. Il senso dell’altro mi appartiene. Mio padre era un medico iracheno, mia madre un’insegnante inglese per bambini disabili. Sono cresciuto tra due culture e da ragazzino andavo spesso a Bagdad, dove sono cresciute le mie tre sorelle. Ho trascorso molto tempo cercando di capire chi ero e chi sono.

Ti consideri un outsider?

Assolutamente, a partire dalle mie origini. Ma anche la mia professione alimenta questi sentimenti attraverso un continuo cambio di identità, l’esplorazione di mondi diversi e di altre emozioni. Recitare significa iniziare una ricerca dentro di sé.

L’intenzione di realizzare un film PG-13, ossia vietato ai minori di 13 anni non accompagnati dai genitori, c’era dall’inizio?

Sì, era l’unico modo per fare qualcosa di inedito. Questo è un viaggio per adulti, nonostante il ruolo principale sia affidato ad un bambino. La giungla è un luogo selvaggio, inospitale. Ci saranno scene di grande impatto, con gli animali impegnati in combattimenti epici. Non ci siamo tirati indietro, ma gli spettatori non dovrebbero aspettarsi nulla di eccessivamente violento: in quanto a toni il film è vicino a quelli del Pianeta delle Scimmie, quindi va bene per tutta la famiglia. Diciamo, però, che è più adatto ad un bambino di 9 anni che ad uno di 6.

Dove lo avete girato?

La produzione ha avuto inizio nel 2015 e le riprese sono durate 85 giorni: le prime tre settimane abbiamo registrato i movimenti degli attori con la performance capture, mentre il mese seguente abbiamo girato le scene nei Leavesden Studios di Londra, dove abbiamo ricostruito la giungla. Lì potevamo controllare le luci e scegliere le piante da utilizzare, così da trasformarla, all’occorrenza, da luogo idilliaco e magico a posto pieno di pericoli. Ho usato molte foglie morte, perché volevo che fosse un posto realistico, più che di fantasia. Gli ultimi 30 giorni, poi, ci siamo trasferiti in Sudafrica, dove abbiamo ricostruito il villaggio indiano in cui il protagonista incontra per la prima volta i suoi simili.

Come avete disegnato gli animali?

Per me l’aspetto fondamentale era che queste creature parlanti fossero credibili. L’idea di doppiare un animale fotorealistico non mi interessava. Perciò abbiamo impiegato la performance capture: per la maggior parte del cast si trattava di un’esperienza nuova, ad eccezione di Benedict Cumberbatch (che l’aveva sperimentata ne Lo Hobbit, dove era il drago Smaug, nda). La faccia degli attori è stata unita a quella del personaggio che avrebbero interpretato grazie al morphing, allungandola e tirandola al punto giusto, fino a quando potevamo vedere sia il volto umano che quello animale. C’è voluto molto tempo, da un punto di vista dell’animazione. Tutto ha inizio con la recitazione, però, non dimentichiamolo. Volevo che Mowgli interagisse con il resto del cast, che sentisse la presenza degli attori al suo fianco.

Perché hai scelto Baloo per te?

All’inizio, a dire la verità, non avevo intenzione di fare parte del cast. Baloo è uno dei personaggi principali, ma la storia non parla di lui. Il film riguarda solo Mowgli e il suo percorso: il compito degli animali è di supportare il suo viaggio. I fan del Libro della Giungla hanno un’idea precisa di Baloo, che è considerato un’orso allegro e ottimista che ama schiacciare pisolini. Il libro, invece, fa capire che la sua relazione con il bambino ha a che fare soprattutto con la durezza dell’amore. Per lui la vita si fonda su alcune regole che vanno rispettate: lavorare duro e osservare le leggi della giungla. È un tipo all’antica e un imperialista, per certi versi. Una specie di sergente, molto severo sia con i cuccioli di lupo che con Mowgli.

Il libro racconta anche l’età adulta di Mowgli. Avete parlato di possibili sequel?

Credo che Cloves abbia scritto il copione pensando ad un possibile franchise, ma il film funziona perfettamente così ed è autoconclusivo. Quando abbiamo iniziato a lavorarci, nel 2014, non sapevamo che Disney avesse in programma di realizzare una versione live action del Libro della Giungla, ispirandosi al cartone animato del 1967. Il confronto non mi preoccupa affatto, si tratta di due tipi di film completamente diversi.

Kipling scrisse il libro per sua figlia. Tu hai tre figli, avuti dall’attrice Lorraine Ashbourne. In che misura le tue scelte come filmmaker sono influenzate dall’essere padre?

Sin dai tempi del Signore degli Anelli mi piace la metafora del fantasy, che ci permette di raccontare storie che riguardano la condizione umana. In questo periodo storico si tratta di un genere che consente agli autori di essere sovversivi e di esplorare temi profondi in un modo accessibile per chiunque. Prendiamo i cinecomic della Marvel, che considero veri e propri miti moderni. Tra 500 anni la gente guarderà indietro e accosterà Hans Christian Andersen ai supereroi della Casa delle Idee. Queste storie sono la nostra versione delle favole e permettono ai nostri bambini di abbracciare e comprendere i pericoli del mondo reale, ma in un modo sicuro, controllato.

A marzo hai vinto un premio come Showman dell’anno. Come vivi questa fase della tua carriera?
È stato un anno straordinario, tra l’uscita di Ogni tuo respiro, Star Wars: Gli Ultimi Jedi e Black Panther. Sono sempre stato interessato a lavorare in ambiti diversi e per questo ho creato gli Imaginarium Studios, con cui stiamo esplorando realtà virtuale e realtà aumentata. Recitare ha rappresentato il centro del mio mondo per lungo tempo, ma non mi dà tutto ciò di cui ho bisogno. Con la regia, invece, ho finalmente trovato qualcosa che mi soddisfa appieno. D’ora in poi cercherò di stare dietro la macchina da presa il più possibile.

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